Col varo della Legge 459/2001, che ha introdotto il diritto di voto dei Connazionali residenti all’estero per corrispondenza, c’eravamo subito messi all’erta. Non tanto per il varo di una “Circoscrizione Estero” della quale non ravvisavamo l’utilità concreta, ma per la difficile gestione del diritto democratico per lungo tempo disatteso proprio da quella classe politica che, dopo Tangentopoli, si era dileguata come nebbia al primo sole. Oggi, a circa dieci anni dal varo della normativa più arcaica della Repubblica, il problema del meccanismo di voto previsto per gli italiani oltre frontiera rimane ancora lo stesso. Nonostante tutti i segnali di palese incongruenza che lo stesso ha rivelato. Entro la fine di questa Legislatura, sempre che non ci siano colpi di coda da parte del Potere Giudiziario della Repubblica, sarà assai difficile che l’Esecutivo Berlusconi sia nelle condizioni di modificare, col placet del Parlamento, questa legge che non ci ha mai effettivamente convinto. La riforma del nostro Sistema Elettorale, della quale si sente, in ogni modo, la pressante necessità, non prevede modifiche di rilievo per la legge 459. Nelle more delle Commissioni Parlamentari esiste solo la proposta d’affiancare al voto per corrispondenza quello elettronico. Ma nulla di più. La stessa suddivisione della Circoscrizione Estero in quattro Ripartizioni geografiche (Europa, America settentrionale e Centrale, America meridionale, Africa, Asia ed Oceania) resterebbe, ancora una volta, immutata. Il riconoscimento del diritto di voto da oltre frontiera, che da noi è arrivato con parecchio ritardo rispetto agli altri Stati UE, condiziona l’impegno politico dei potenziali elettori costretti, loro malgrado, a votare per Candidati residenti all’estero ed inseriti nelle formazioni partitiche già in essere nella penisola. Anche su questa realtà, ci sarebbero da evidenziare parecchi distinguo. Intanto, perché da noi i Partiti, piccoli e grandi, continuano a modificarsi nel nome e nei componenti. Ne consegue che chi ha votato dall’estero può ora trovare il suo candidato in altro ruolo politico; magari assai difforme da quello col quale si era presentato all’elettorato. Non esiste, a tutt’oggi, un Partito, ufficialmente operativo, “indipendente” al quale potrebbero far capo gli elettori italiani d’oltre frontiera. Secondo noi, il problema non è solo di metodo, ma anche d’opportunità. Del resto, sino ad oggi non abbiamo mai avuto modo di leggere un programma elettorale elaborato unitariamente da Candidati che si sono presentati al voto nella Circoscrizione Estero. I partiti nazionali di confluenza, che abbiamo diligentemente monitorato, non hanno nei loro programmi spunti ed iniziative atte alla tutela dei diritti degli italiani all’estero. Quindi, pur rispettando il credo politico di ciascuno, non riusciamo a comprendere come gli Onorevoli eletti nella Circoscrizione Estero possano portare in Parlamento bozze di provvedimenti normativi di specifica attinenza ai nostri Emigrati. Facendo d’ogni erba un fascio, si vanificano, in definitiva, anche le buone intenzioni di chi si è candidato oltre frontiera. Proprio per la mancanza di segnali in positivo, dubitiamo della volontà di cambiamento a tempi brevi. Se alle consultazioni elettorali del 2013 si andrà con l’attuale legge elettorale, ancora una volta, la nostra Comunità all’estero ne risulterà penalizzata. Non basta, di conseguenza, aver riconosciuto il diritto di voto agli italiani nel mondo, ora ci sembra indispensabile riempire questa conquista di precisi ed autonomi contenuti.
Giorgio Brignola