La redazione IDV
«Per vincere a Napoli c’è un solo modo: chiudere un capitolo del passato e sbarrare il passo alla destra. E la candidatura di Luigi De Magistris può fare proprio questo. D’altro canto, non vedo nel centrosinistra nomi della stessa potenzialità e dello stesso prestigio che siano disponibili alla sfida. Per questo, mi auguro che il Pd voglia fare un atto di responsabilità. Ma se non lo facesse, mi appellerei alla Napoli sana, al voto della società civile». Lo afferma in un’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica di Napoli, il presidente dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. «Noi andremo avanti». Ma chiede al Pd di non chiudere la porta. E, un po’ come Morandi da quel palco dell’Ariston, invita: «Stiamo uniti».
Onorevole Di Pietro, a destra e a sinistra c’è chi ironizza. Così, dicono, Di Pietro si insedierebbe nella capitale del sud e si libererebbe di De Magistris.
«Ecco, due piccioni con una fava. Da un lato diamo la possibilità di svoltare alla prima amministrazione del sud, dall’altro strutturiamo una persona affinché abbia un ruolo importante nella politica nazionale di primo livello, e nell’Idv».
Il Pd ha già detto «no alle imposizioni». A troppi di loro non va giù il nome di De Magistris.
«Ma noi abbiamo provato a trovarne un altro. E per dirla tutta: è stato il Pd a depotenziare le primarie, un istituto democratico importante ridotto ad un regolamento interno. Che vogliamo fare: continuare a farci del male?».
Proprio lei lanciò l’ultimatum su Cantone, “o dentro o fuori”. Non pensa che questo abbia influito sul no del magistrato?
«Non credo proprio. Io e De Magistris abbiamo spinto affinché accettasse, era il nome che poteva tenere unita la coalizione. Ma è vero che abbiamo già perso troppo tempo per il macello delle primarie. Perdere altri giorni è autolesionistico».
Come spera di convincere Bersani?
«Diciamo la verità: non è Bersani che devo convincere. Fosse per me e per lui, ci metteremmo d’accordo in 5 secondi. No, dobbiamo far capire alla nomenclatura locale del Pd che è tempo di fare un passo indietro. E di coinvolgere militanti e gente che non va a votare, cittadini che lavorano per una società migliore e anche quelli che si sono rassegnati. A Napoli ci vuole una cosa: chiudere un capitolo, quella della politica politicante di destra e di sinistra».
Non le hanno detto che De Magistris, da poche ore, è meno tranchant di lei? Ha riconosciuto al periodo di Bassolino anche «il buono che c’era».
«Difatti il problema non è tanto la diagnosi del passato. Per chi si accinge a correre come sindaco, non è giusto girare la testa all’indietro. Diamoci il compito, tutti insieme, di far capire agli elettori che con questa candidatura c’è l’opportunità di non consegnare la città nelle mani del centrodestra».
La tesi opposta è che in questo modo il centrosinistra si sfalda definitivamente in tante sfide personali. Non sarebbe stato meglio un candidato unitario?
«Faccia un nome. Io non ne vedo. Non di questa potenzialità».
Libero Mancuso, ma anche qualche intellettuale, obiettano: basta magistrati, il centrosinistra così alimenta l’antipolitica.
«Non mi sembra preoccupante che un magistrato, cioè un servitore dello Stato, passi a servire lo Stato in altra veste. A me preoccupa che un delinquente o un incapace diventino amministratori. E poi, nello specifico, mi risulta che Mancuso sia stato un ottimo magistrato apprezzato come amministratore».
Se voi e il Pd doveste andare separati al primo turno, non sarebbe già una sconfitta?
«Porte aperte al Pd sempre, fino all’ultimo minuto. Dobbiamo stare uniti. Ma se il partito dovesse rimanere imprigionato da un sentimento di gelosia o invidia, perché noi esprimiamo un candidato e loro no, allora mi rivolgerei direttamente alla città, perché faccia contare il suo voto».