La crisi istituzionale italiana è giunta ad un punto di gravità tale, che sarebbe possibile immaginare ogni scenario, se non facessimo parte di un sistema politico integrato come è quello dell'Unione Europea.
Per fortuna – è uno dei tanti paradossi attuali – ci sono personaggi della prima repubblica, che rappresentano una continuità di senso dello stato, come il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: una serie di fortuite “coincidenze” temporali, ha portato ai vertici delle istituzioni, due galantuomini (già il termine è ottocentesco), come Ciampi e, appunto, Napolitano.
Chissà dove sarebbe giunta, senza di loro, la crisi istituzionale – che si accompagna a una crisi politica e dell'etica pubblica senza precedenti nell'Europa moderna.
Il centro-sinistra per cultura politica era, fino al 2008, composito e plurale e non del tutto convertito al modello bipolare, poi imposto dalla coppia Veltroni e Berlusconi, né dedito allo schema dello spoil system, senza i contrappesi e i controlli del regime presidenziale americano.
Per puro caso il sistema maggioritario con premio di maggioranza, soglia di accesso e liste bloccate non ha scardinato il nostro ordinamento costituzionale. Una maggioranza parlamentare artificiale di nominati, scelti per fedeltà e servilismo da meno di una decina di oligarchi, politosauri, satrapi o sultani, se avesse eletto alla presidenza della repubblica un capo partito (indifferente, che fosse stato D'Alema o che sarà Berlusconi), avrebbe stravolto tutto un sistema di pesi e contrappesi, compresa la scelta proporzionale implicita con i suoi quorum di garanzia.
Corte Costituzionale e CSM, per fare due esempi, in poco tempo sarebbero stati asserviti ad una maggioranza parlamentare, neppure corrispondente alla maggioranza del corpo elettorale. Il disegno eversivo non era di una sola parte: la riforma in senso maggioritario del sistema elettorale, dai comuni, alle regioni e fino al parlamento è stata largamente condivisa.
Una parte del centro-sinistra ha persino sostenuto i referendum Guzzetta, ammessi dalla Corte Costituzionale, ma anche occasione con le sentenze n. 15 e 16 del 2008 per chiedere, finora invano, che un giudice trovasse il coraggio civile di rinviare alla Consulta la legge elettorale 270/2005, ormai conosciuta come il porcellum.
Il Mediterraneo, nella sua parte meridionale, è in ebollizione, e anche la sponda orientale dell'Adriatico. La crisi di regimi autoritari, cioè l'espansione delle libertà, si accompagna al timore di nuovi regimi integralisti islamici, di cui sono segni simbolici preoccupanti l'incendio di una sinagoga in Tunisia e la sorte dei cristiani copti in Egitto. In questa situazione è un segno del degrado delle nostre istituzioni un ministro degli esteri, assente dagli scenari mediterranei, ma servizievole, con la complicità del presidente del Senato, alla macchina del fango berlusconiana.
Ora, chi vuol fare pulizia, se vuol essere coerente, non può limitarsi a chiedere le dimissioni di Berlusconi e Fini, ma anche di Schifani e Frattini.
Uno sbocco politico è necessario. Se comprende un passaggio elettorale, non può avere luogo con questa legge. Una sua modifica parlamentare è impossibile, ma rinviarla in tempi brevi alla Corte Costituzionale sì. E lo sarà a maggior ragione se il prossimo 16 marzo la Prima sezione del Tribunale di Milano accerterà il diritto di un cittadino a votare con una legge elettorale conforme a Costituzione.
Il Parlamento deve tornare a rappresentare le forze politiche, escluse da un meccanismo elettorale iniquo.
In questo momento resta evidente che una debolezza del nostro sistema politico è proprio l'assenza di una sinistra, come nel resto d'Europa, dove l'egemonia è colà assicurata, malgrado le recenti sfortune elettorali, da un partito membro del PSE e dell'Internazionale Socialista, socialista, socialdemocratico o laburista.
La sinistra italiana nel suo complesso esce indebolita dal referendum FIAT a Mirafiori, sia che si metta a cavalcare i Sì e la modernità di Marchionne o la percentuale elevata dei No come superiorità antropologica, senza essere capace di indicare la strada difficile dell'unità sindacale e nuove forme di partecipazione alla gestione delle imprese. Ma occorre che la Mitbestimmung cessi di essere una bestemmia a sinistra.
La sinistra che c'è oggi in Italia è la più debole d'Europa e nelle regioni più sviluppate del settentrione appare ridotta a una forza marginale, senza radici né tra gli strati popolari tradizionali dei lavoratori dipendenti, né tra le classi medie del composito mondo delle partite IVA e delle libere professioni.
Ci sono le condizioni per rilanciare una sfida a sinistra per dare uno sbocco europeo alla crisi, contro ogni tentazione di soluzioni all'egiziana, i cui elementi costitutivi sarebbero uno sciopero generale, insieme con la protesta di massa degli studenti vittime della Gelmini, dei precari, dei disoccupati e delle donne umiliate dal modello Arcore, più tutte le aree del disagio sociale e personale: in poche parole la maggioranza degli italiani e delle italiane.
Per non farsi sopraffare dalla forza delle semplificazioni, come via di fuga dalle frustrazioni accumulate negli anni, bisogna essere lucidi e avere fatto scelte di fondo: metodo democratico, europeismo, laicità, giustizia sociale, libertà individuali e collettive e una certa idea di socialismo, che tenga insieme tutto questo.
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