L’EURISPES FOTOGRAFA L’INSODDISFAZIONE, GLI AMORI E I MALI DEGLI ITALIANI

di Stefania Paradiso *

Presentato dall’Eurispes la 23a edizione del Rapporto Italia 2011. Quello che il Presidente Prof. Gian Maria Fara dice nella parte introduttiva èquello che poi emerge dall’analisi. La miopia della classe dirigente porta ad una sfiducia quasi totale dei cittadini verso la politica, le Istituzioni, la sanità. Carenti i servizi, gli investimenti, la qualità. Restano alcuni stereotipi. Indagati gli omicidi relazionali e l’amore per gli animali. Uno sguardo sull’Italia e gli italiani a 360°.

(UNMONDODITALIANI)Arrivato alla sua 23a edizione il Rapporto Italia 2011, è stato costruito, attorno a sei dicotomie, illustrate attraverso altrettanti saggi accompagnati da sessanta schede fenomenologiche

Le dicotomie tematiche individuate per il Rapporto Italia 2011 sono: fiducia/sfiducia, progettazione/improvvisazione, benessere/malessere, cittadinanza/sudditanza, nord/sud, uomo/donna.

L’indagine condotta quest’anno ha toccato le tematiche che più hanno stimolato nel corso degli ultimi mesi, e non solo, il dibattito e l’interesse dell’opinione pubblica. Vi hanno partecipato ben 1.532 cittadini. La rilevazione è stata effettuata nel periodo tra il 20 dicembre 2010 e il 12 gennaio 2011.

“L’Italia sta vivendo, insieme, una grave crisi politica istituzionale, economica e sociale. Tre percorsi – dichiara il Presidente dell’Eurispes, Prof. Gian Maria Fara – di crisi che si intrecciano, si alimentano e si avviluppano l’uno con l’altro fino a formare un tutt’uno solido, resistente, refrattario ad ogni tentativo di districarlo, di venirne a capo.

Abbiamo sempre rifiutato di attribuire alla sola classe politica la responsabilità di tutti i nostri mali perché questa rappresenta solo una parte della classe dirigente. Noi preferiamo riferirci ad una “classe dirigente generale” della quale fanno parte con ruoli e responsabilità tutti coloro che sono in grado, per le funzioni che esercitano, per il senso che possono affidare al loro impegno, per l’esempio che possono trasferire alla società, di esercitare un ruolo, anche pedagogico, di guida e di orientamento. Questa “classe dirigente generale” deve ri-costituirsi in una vera e propria grande “agenzia di senso” e ri-prendere in mano il destino e il futuro dell’Italia.

La nostra classe dirigente attuale, a differenza di quanto accade in altri paesi, non è né coesa né solidale. Possiede una grande consapevolezza di sé e nessuna consapevolezza dei problemi generali. Si stenta ad ammettere – prosegue Fara – che il modello di sviluppo realizzato in Italia nel dopoguerra, dopo aver prodotto risultati straordinari, si è semplicemente esaurito perché si sono modificate tutte le ragioni dello scambio sui mercati internazionali. Molte questioni – sottolinea il Presidente dell’Eurispes – non trovano spazio nell’agenda della politica, eppure segnano in profondità la qualità del rapporto tra cittadini e Istituzioni. E, nello stesso tempo, nessuno si pone neppure il problema di come favorire in ogni modo una rigenerazione dell’esperienza e della tradizione delle botteghe artigiane che sono state la vera specificità italiana ed, insieme, il terreno di coltura dell’imprenditoria e l’origine del vero Made in Italy: dalla sartoria alle calzature, dalle ceramiche alla meccanica di precisione, al design.

Nello scenario attuale, vi sono, secondo il Presidente dell’Eurispes, almeno due “bombe innescate”. Alcuni dicono che negli ultimi quindici anni il Paese sia rimasto fermo: le cose non stanno assolutamente così. Al contrario, in questi ultimi anni ci siamo fattivamente adoperati per distruggere quello che era stato costruito. Abbiamo fatto terra bruciata intorno alle Istituzioni repubblicane e ora i nodi vengono drammaticamente al pettine. Nelle scorse settimane molti hanno fatto finta di non accorgersi che l’Italia ha rasentato uno scontro istituzionale che avrebbe potuto avere esiti devastanti. Infatti, piaccia o non piaccia, gli elettori sono convinti di aver nominato con il loro voto il Capo del Governo, mentre la Costituzione affida questo compito al Presidente delle Repubblica e alla successiva ratifica parlamentare. È evidente il pasticcio pericoloso nel quale è stato trascinato il Paese dagli improvvisati riformatori che hanno smantellato allegramente il sistema della Prima repubblica senza sostituirlo con regole chiare e certe.

Viviamo in una sorta di terra di nessuno della quale non si intuiscono i confini e viviamo alla giornata nella speranza che non accada il peggio. Per anni ci siamo baloccati tra primo e secondo turno, tra repubblica presidenziale e cancellierato, tra preferenze e liste bloccate. Ora, davvero, non ci sono più margini. O si ha il coraggio di fare due passi indietro ripristinando ciò che è stato maldestramente abolito o di farne uno in avanti chiudendo il cerchio e definendo una volta per tutte l’assetto della nostra Repubblica.

La seconda bomba pronta a far esplodere la Repubblica è quella del debito pubblico, del quale si parla ormai da anni come di un parente con una malattia cronica con la quale si può tutto sommato convivere. E invece anche in questo caso il tempo è finito. Nei mesi scorsi la Cancelliera tedesca Angela Merkel ci ha brutalmente ricordato che i debiti pubblici degli Stati altro non sono che debiti dei privati i quali, volenti o nolenti, prima o poi, saranno chiamati a risponderne. La signora Merkel ha rotto un tabù dietro il quale ci siamo rifugiati per molti anni e ci ha spiegato che questo debito, in un modo o nell’altro, dovrà rientrare nel bilancio delle nostre famiglie. Non serve a niente continuare a ripetere che il debito è stato creato dalla Prima repubblica a causa della spesa. La spesa pubblica ha continuato a lievitare anche in questi anni ma non ha prodotto nessuna crescita. Con la Prima repubblica cresceva il debito ma c’era sviluppo. Da più di diciassette anni continua a crescere il debito e non c’è sviluppo.

Proprio su questo terreno, la politica dovrà dimostrare di essere all’altezza del compito e di saper raccontare la verità agli italiani, anche quella più dolorosa. Ma deve essere chiaro che non sarà possibile scaricare direttamente sulle famiglie italiane una parte del debito pubblico senza aver prima eliminato gli sprechi a danno delle finanze pubbliche e ridotto drasticamente i costi, diretti e indiretti, della politica.

Gli italiani potrebbero essere anche disposti a sopportare una stagione di sacrifici, ma chiedono in cambio serietà, correttezza e trasparenza.

La prima necessità è oggi quella di far uscire la politica dalle trincee dentro le quali si è rifugiata e di affrontare il peso e la sfida della riflessione e del confronto. Si sta affacciando alla ribalta politica l’ipotesi di un Terzo polo, ma questo potrà avere un senso ed uno spazio solo se riuscirà a rimettere in discussione gli equilibri complessivi e le attuali regole del gioco.

Sino ad oggi – conclude Fara – gli opposti schieramenti si sono strutturati solo per combattersi con la propaganda. Ma alla democrazia non servono le trincee e neppure i campi di battaglia: sono invece utili e necessari i terreni di confronto e di mediazione. Agli anatemi e alle invettive bisogna sostituire le idee e i progetti. Noi pensiamo che ciò possa accadere: la storia tormentata del nostro Paese ci ha insegnato che gli italiani riescono a trovare, nei momenti più difficili, le energie e le risorse necessarie per rialzarsi e ripartire.

Quando in auto si imbocca un tunnel del quale, a causa della curvatura del suo tracciato, non si vede l’uscita, calcolano gli ingegneri che istintivamente il guidatore riduca la velocità di almeno il 30%. Rallentiamo perché non vediamo il portale dell’uscita. Ma l’uscita c’è. Bisogna avere il coraggio di superare la curva e il portale d’uscita, per lontano che sia, apparirà.”.

Questi, in linea generale, i risultati emersi dal rapporto.

Situazione economica del Paese: un peggioramento generalizzato. Sempre più spesso dietro una apparente normalità si nascondono situazioni di profondo disagio. Una casa in affitto, un lavoro modesto, la spesa nei mercati rionali e tanti sacrifici per arrivare a fine mese, è questa la condizione di una rilevante quota di famiglie a elevato rischio di impoverimento. La forza della crisi ha fatto aumentare il numero di famiglie che non riescono a far fronte sia alle spese quotidiane sia agli impegni contratti – per necessità e non per spese voluttuarie – con le società finanziarie o con gli istituti di credito, ricorrendo così ad ulteriori indebitamenti. La maggior parte nota come siano aumentati i prezzi del carburante, delle bollette, della spesa sanitaria; tutti costi ineliminabili dal budget e che per quanto si cerca di ridurre al minimo, incidono pesantemente sull’economia familiare, portando a una visione del futuro per nulla rosea.

Banche e assicurazioni: italiani in crisi di fiducia. In tempi di crisi economica e di recessione è normale attendersi una discesa della popolarità della banche. Le banche italiane non sembrano godere di grande credito presso i cittadini. Esse sono state promosse con la sufficienza per il servizio offerto.

Dall’economia di carta all’economia delle materie prime. Collasso delle azioni tecnologiche, 11 settembre, le lunghe guerre in Iraq e in Afghanistan, crisi immobiliare e finanziaria, l’attuale crisi economica hanno contribuito a modificare radicalmente l’atteggiamento degli investitori sui mercati azionari di tutto il mondo, che hanno manifestato un crescente interesse nei confronti dei mercati emergenti delle commodities e delle materie prime, in grado di rispondere meglio alle attese dei mercati e delle economie mondiali. Dinanzi alla paura di una stagnazione, o di ricadute in recessione e deflazione, ai pericoli di una politica di rigore basata su una massiccia espansione fiscale e, ad una guerra delle monete (che altro non è che una guerra commerciale per la leadership economica globale), gli interventi anti-crisi non riescono ancora a risolvere i due nodi di fondo che riguardano il rilancio dei consumi e il dilagante e sempre più preoccupante fenomeno della disoccupazione. L’effetto combinato della crisi dell’economia di carta, dell’incertezza sulla ripresa economica globale e dei gravi disastri ambientali è stato il boom del mercato delle materie prime.

La combinazione tra esportazioni incentrate prevalentemente sul commercio di prodotti delle industrie alimentari ed importazioni incentrate prevalentemente sul commercio di materie prime non lavorate, unitariamente al più alto valore economico delle preparazioni di prodotto rispetto alle materie prime, contribuisce in maniera significativa al divario tra deficit commerciale in valore e deficit commerciale in quantità del settore agroalimentare italiano.

Nell’ambito dei consumi degli italiani nel tempo libero il cinema, preceduto dalla televisione, si conferma ai primi posti, prevalendo sullo sport e sui musei.

I servizi restano inadeguati per 8 italiani su 10, ma, dovendo scegliere, meglio quelli privati. La qualità complessiva dei servizi nel nostro Paese è valutata dal 52,5% dei cittadini (contro il 61,9% del 2010) come “poco soddisfacente” e dal 28,6% “per niente soddisfacente” (il 15,5% nel 2010).

Nel rapporto con la politica si nota come diminuiscono gli astensionisti, ma aumentano gli elettori “saltuari”. Questa sorta di “democrazia” a metà a causa del sistema elettorale, il non cambiamento, il ripetersi del disinteresse danno un cittadino disilluso e lontano dalla “res publica”.

Nell’indagine dello scorso anno l’Eurispes ha rilevato come nell’opinione dei cittadini la corruzione in Italia sia un male radicato. Quest’anno è stato chiesto in quale misura la corruzione nella vita pubblica italiana sia variata rispetto al 1992, segnato da Tangentopoli. Nella maggioranza dei casi (51,7%), l’idea è quella di un ulteriore aumento della corruzione rispetto al periodo di Tangentopoli.

È stato poi chiesta un’opinione su quale sia, tra i diversi settori del Paese, quello in cui è maggiormente diffusa la corruzione. La politica e i partiti (46,6%) sono al primo posto, al secondo posto si colloca la Pubblica amministrazione (29,9%). Il resto delle risposte si frammenta in diversi settori.

L’inadeguata presenza femminile in Parlamento, ai vertici dei partiti, tra gli amministratori locali – per non parlare del fatto che in Italia nessuna donna ha mai raggiunto la Presidenza della Repubblica o la Presidenza del Consiglio – non è che lo specchio di un Paese in cui i ruoli dirigenziali sono ancora difficilmente accessibili alle donne.

A 150 dall’Unità d’Italia… Chiamato ad esprimersi in merito alla reale coesione del nostro Paese ed al suo valore a 150 dalla proclamazione dell’Unità d’Italia, il 67,5% dei cittadini ha risposto che l’Italia è un Paese in parte ancora diviso, ma l’unità nazionale è un valore da difendere. Il 14,9% ritiene invece che il Paese sia frammentato con troppe culture al suo interno e per questo non sarà mai uno Stato unitario; per il 9,4% l’Italia è una nazione coesa, mentre per un 2,1% sarebbe stato meglio che non vi fosse stata alcuna unità.

Settentrionali e meridionali: l’Italia divisa? Nel solco di una lunghissima tradizione che, da Totò e Peppino stranieri in terra milanese in Totò, Peppino e la malafemmina a Sordi e Gassman strana coppia romano-meneghina de La grande guerra, ha sempre parlato del dialogo non facile tra le diverse anime del Paese, le recenti commedie di successo in Italia hanno ironizzato sulle differenze, i pregiudizi, i piccoli e grandi razzismi ancora dilaganti. Poco è cambiato, nel corso dei decenni, nella rappresentazione degli italiani: operosi, precisi, un po’ freddi i settentrionali; comunicativi, mammoni, poco ligi alle regole ma capaci di godersi la vita i meridionali.

I meridionali sono considerati ancora generosi e creativi, mentre i settentrionali sono ritenuti un po’ razzisti ma con maggiore senso civico.

I cittadini che si dicono favorevoli all’introduzione del federalismo sono il 26,9%. Il 48,6% si dice invece contrario, ma un cospicuo 24,5% non ha saputo esprimere un giudizio al riguardo.

Il nostro è davvero il Belpaese? Quasi due terzi dei cittadini (62,9%) sostengono che vivere in Italia sia una fortuna, contro il 33,9% di quelli che la considerano una sfortuna e il 3,2% che è indeciso sulla risposta da dare. Libertà di opinione e tradizione artistico-culturale fanno dell’Italia un Paese nel quale vivere bene. Precarietà, mancanza di senso civico e corruzione sono invece i mali dell’Italia. Quattro italiani su dieci si trasferirebbero all’estero e Francia, Usa e Spagna sono i paesi più gettonati per “rifarsi un vita”.

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