Selfin di Caserta

Tante volte più che la crisi a fare i danni sono le manovre spregiudicate delle aziende che fanno i loro giochi con in testa solo l’idea di aumentare i profitti e considerano i lavoratori che dipendono da loro pedine che quando serve si possono sacrificare senza pensarci sopra troppo.
Fino a pochi anni fa, quando era ancora una filiale dell’Ibm, lo stabilimento di Caserta che oggi si chiama Selfin era un centro d’eccellenza, il “fiore all’occhiello dell’intera elettronica” nel Sud d’Italia. Ci lavorano 130 persone, più altre 40 sparse nelle filiali di Roma, Cagliari e Palermo. Sono tutti laureati, dotati di una grandissima professionalità, di età media sui 35 anni. Di giovani così costretti a lasciare il Sud ce ne sono tantissimi. Trecentocinquantamila circa ogni anno. Se ci pensate, è come se ogni anno una città sparisse dal Mezzogiorno.
E’ questa la nuova emigrazione, che non è più fatta dai poveracci che arrivavano nelle grandi città del nord dalla campagna con solo una valigia di cartone sulle spalle, come negli anni ’60, ma da ragazzi laureati con una forte professionalità che un lavoro al Sud non lo trovano e se ne devono andare. E con loro lascia il Sud anche la sua principale risorsa, la professionalità di quei giovani.
Anche per questo se uno dei pochi centri che dava lavoro e speranza proprio a quel tipo di lavoratori chiude baracca è un segnale di disperazione non solo per i suo dipendenti ma per tutti i giovani professionalizzati del Sud.
Tre anni fa la Selfin è stata comprata da una società di Ivrea, la Comdata, che la ha gestita in modo dissennato senza preoccuparsi per niente di rilanciarla e sfruttarne le potenzialità. Tutt’al contrario, la ha picconata in tutti i modi possibili. Nei primi due anni ci sono stati quattro ricambi dei vertici. I codici sorgenti dei pacchetti informatici, cioè il cuore della produzione elettronica qualificata, venivano creati a Caserta ma poi subito dirottati in un altro stabilimento, quello di La Spezia. Tutte le attività commerciali sono state commissariate dal Piemonte. Tutti i dipendenti sono stati messi in casa integrazione a quattro ore.
Poi, il 10 novembre del 2009, si è presentato nello stabilimento un signore che nessuno aveva visto prima. Però si è presentato da solo: “Salve. Mi chiamo Generoso Galluccio e sono il nuovo amministratore delegato. Purtroppo devo portarvi brutte notizie. Il cda ha deciso di mettere in liquidazione questo stabilimento”. E perché mai una scelta così definitiva? Perché il bilancio dell’anno precedente si era chiuso con un buco di 2 milioni e seicentomila euro. Però se uno pensa che la azienda proprietaria prima di Comdata, la Ibm, al momento della vendita, aveva lasciato in dote un contratto di fornitura di 50 milioni di euro più una commessa di per il 2009 di altri 10 milioni di euro, quel buco improvviso non si può spiegare. E’ chiaro che qualcuno ha fatto il furbo. Forse la Selfin o forse l’Ibm, però nell’uno come nell’altro caso sono sempre i lavoratori dello stabilimento a farne le spese.
L’Idv si è sin dall’inizio impegnata strenuamente, con il coordinatore regionale Nello Formisano, il segretario di Napoli Ruggiero e il nostro europarlamentare Luigi De Magistris, perché il governo facesse il suo dovere sia Comdata che l’Ibm, ricordando che proprio Ibm, dopo aver goduto per anni di ingenti finanziamenti pubblici, aveva la responsabilità di aver abbandonato tutti gli impianti industriali del Sud d’Italia.
Alla fine dello scorso ottobre il ministero dello Sviluppo economico si è deciso a convocare tutte le parti e ha giurato di essere vicinissimo a risolvere la situazione. Da quel momento in poi, però, i lavoratori non hanno saputo più niente. Lo stabilimento non è ancora tornato in funzione. Non è stato fornito alcun chiarimento sull’impegno a ricollocare i lavoratori, che non prendono un soldo di salario da ormai nove mesi. In questo gioco delle tre cartine, il sospetto che tutti stiano tirando solo a prendere tempo per poi chiudere lo stabilimento e chi s’è visto s’è visto è inevitabile. Noi dell’Idv però resteremo sino all’ultimo con quei lavoratori e non permetteremo che il governo e le aziende responsabili di questa situazione se la svignino lasciando i lor dipendenti nella disperazione e condannando piano piano l’intero sud a non poter mai avere un vero sviluppo economico.

Antonio Di Pietro, Maurizio Zipponi

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