Perdono tutti, elezioni più vicine

da Il Sole 24 Ore, 15 dicembre 2010

Se il tentativo di disarcionare Berlusconi è fallito, una tra le più vaste maggioranze della storia repubblicana si riduce ad un piccolo margine di tre parlamentari. È questa la fotografia finale di una battaglia popolata solo da perdenti. Naturalmente perde Fini, e male, pagando il prezzo della differenza che corre tra un progetto coraggioso (radicare in Italia una destra europea e non berlusconiana) e il materiale concreto con cui dovrebbe essere costruito (essenzialmente ex-Msi di ascendenza rautiana). Perde anche il Partito democratico, che si è rintanato nella propria metà campo sperando che la resa dei conti nel PdL gli restituisse come per miracolo un ruolo politico. Quel ruolo perduto da tempo e non ritrovato neanche con la manifestazione dell’11 dicembre che ha visto, come ha scritto Lina Palmerini sul Sole, “l’inedito di una piazza che invoca la sua riscossa in un governo tecnico”. Perde la Lega, o quanto meno la sua anima di governo incarnata da Roberto Maroni, perché da domani la corte di un Bossi sempre più iconico e sempre meno capace di guidare la macchina del partito troverà irresistibile la tentazione di incassare direttamente nelle urne il vantaggio accumulato grazie alle difficoltà del PdL. Infine, nonostante tutte le apparenze, Silvio Berlusconi rischia di perdere la guerra dopo avere vinto questa battaglia. Ieri il Cavaliere ha trovato una riserva di ossigeno in un parlamento di nominati con una pessima legge elettorale, grazie ad una contrattazione dai contorni imbarazzanti e profittando soprattutto della debolezza degli avversari. Ma la sua esperienza a Palazzo Chigi potrà continuare solo se riuscirà ad imbarcare qua e là un transfuga di ritorno da Futuro e Libertà e qualche più consistente pezzo dell’UdC, restando comunque ostaggio della Lega e della sua voglia di voto. All’ennesima linea di galleggiamento verrà forse dato il nome di “nuovo patto di legislatura”. Ma è difficile immaginare qualcosa di diverso da un supplemento di agonia per un governo che avrebbe dovuto realizzare riforme di impronta storica e che invece si è rapidamente trovato prigioniero del declino di quello che un tempo fu l’alfiere della “rivoluzione liberale”. Sullo sfondo rimane un paese che attende stordito elezioni ormai più che probabili, e dove la dimensione della crisi di consenso della politica e delle istituzioni è molto maggiore di quella che può essere misurata su tre voti di scarto.

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