Italiani all’Estero: specchio dei mali della nostra Italia

di Fabio GHIA

Che cosa spinge le nuove generazioni verso lidi sino ad ieri a noi culturalmente sconosciuti? A prescindere da tutti coloro (“meno di 1.200.000” voti espressi nelle ultime consultazioni elettorali nel 2008) iscritti all’AIRE presso i relativi Comuni, esiste più di 1.500.000 di giovani di età compresa tra i 18 e 35 anni che risultano all'estero o per lavoro (500.000 – età tra i 28 e 35) o per completare i loro iter di studi (900.000 età tra i 15 e 28 anni) in un ambiente diverso da quello domestico. Le ragioni sono da attribuire al sistema “educativo” da una parte e a quello “giudiziario” dall’altro.
Per quanto riguarda la nostra gioventù, a prescindere dal sistema formativo che oggi è da considerare già di buon livello, l’indice va puntato sull’ambiente educativo, quindi il binomio “Scuola – Famiglia”. Un sistema basato sul “mammismo” e sulla “partecipazione passiva all’apprendimento”, che quindi esula dall’antica concezione di costrizione disciplinare, ingenerando “insicurezza nelle proprie capacità” e senso di “protezione” espresso dal sistema. Un dato di fatto lo osserviamo a livello universitario. Alla “Sapienza di Roma” solo il 18% degli iscritti al 1° anno riesce a conseguire la laurea, a dimostrazione che appena il giovane è immesso ad un livello di gestione autonoma delle proprie risorse e capacità, si scopre un “disadattato”. D’altra parte, il processo di integrazione europeo ha comportato un allargamento del concetto di sovranità nazionale, che viene sentito soprattutto dalla nostra gioventù. Se a questa voglia di “uscire dal grembo protettivo istituzionale”, viene aggiunta la possibilità alla “mobilità”, ecco che assistiamo alla ricollocazione in altri Stati della nostra migliore gioventù.
E che cosa dire del mondo imprenditoriale che conta più di mezzo milione di “migranti”? Seri ed apprezzati professionisti che, di massima, possono e debbono essere presi a riferimento sia per il modo con cui si sono integrati nelle nuove realtà sociali, sia per il contributo che danno alla visione all’estero della nostra Italia. Per contro, nel loro comportamento di gruppo emerge una sensazione “dissociativa” non indifferente. La ragione è ascrivibile principalmente al diffuso senso di “malessere” a cui sono andati soggetti in Italia. La stragrande maggioranza è stata oggetto ad una disillusione definita: “fallimento”. Ma, anche in questo caso, la ragione “migratoria” è da attribuire al male oscuro del “Sistema Italia”. Si provi solo ad immaginare che cosa comporta per un imprenditore portare la propria contabilità in tribunale per “fallimento”. Mi riferisco a quelle centinaia di episodi (solo nel 2009 sono state dichiarate 117.000 procedure) che giornalmente accadono in Italia; Paese che conta più di 5.500.000 imprese, unico esempio al mondo di piccola ma validissima imprenditoria. Purtroppo, dal momento in cui si apre una procedura di fallimento, l’individuo diventa un “perseguitato”. L’imprenditore è considerato, malgrado l’inserimento nel nostro Ordinamento dell’istituto dell’”esdebitamento”(7,8 anni di giudizio), come un “untore” capace di diffondere solo la propria insolvenza. In tutto questo, il malcapitato “fallito” non può minimamente avvicinarsi ad altra attività imprenditoriale o, Dio ci salvi, ad una banca per ottenere finanziamenti o fidi per nuovi progetti imprenditoriali. Tra l’altro e a rigor di cronaca, questa è da considerasi la causa principale di illegalità finanziaria, usura e di lavoro nero in Italia.
E’ chiaro quindi, che questa moltitudine di persone che costituisce la “nuova Italia migrante” è affetta da crisi “dissociativa” che cerca in nuovo territorio il suo “nuovo corso” da imprenditore. Tutto ciò significa: marginalizzazione di tutto ciò che gli ricorda la punibilità espressa dal sistema Italia.
Ancora una volta, quindi, vengono chiamati in causa i nostri parlamentari della Circoscrizione Estero che, invece di cercare di cambiare il sistema proponendo soluzioni per ovviare a queste tragiche realtà, non fanno altro che gareggiare per mettere in salvo la propria poltrona con continue istanze/interpellanze sulla chiusura di consolati o maltrattamenti a “sacre” istituzioni, quale Comites o Consiglio degli italiani all’estero, delle quali per contro se ne sente sempre meno la necessità.
Sta quindi alla nostra classe dirigente, cercare di interpretare i mutamenti che la nostra società sta vivendo, fornendo soluzioni tali da dare maggiore dignità al comune senso della nostra “italianità”.

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy