Jenny Saville : la realtà  nuda e cruda

Jenny Saville è una pittrice inglese che vive tra Londra e Palermo, nota per le sue enormi tele, incentrate prevalentemente sul corpo. Alcune delle sue idee si avvicinano alle teorie di Luce Irigaray – filosofa e psicoanalista belga, che negli anni ’70, aderì al movimento delle donne, rielaborando le teorie fondamentali della psicoanalisi e della filosofia, come l’inconscio femminile con il proprio corpo ed il legame della donna con la madre. Le sue teorie sono incentrate sulle differenze, il mistero dell'altro, la parità dei diritti sessuali e la necessità di un pensiero femminile in politica, per la messa in atto di una vera democrazia. Si potrebbe affermare che i quadri dell’artista, siano stati in grado di dar forma ai modelli teorici Irigarayani.
Il suo lavoro è stato spesso avvicinato al movimento delle donne, vissuto non in forma assolutistica e dogmatica, ma come dialogo aperto, affermando che essere femministe sia un modo di esprimere se stesse, una forma di comunicazione diretta e schietta. Il lavoro con esse è anche un'esperienza introspettiva, dove il femminismo non è avvertito come minaccia alla sua creatività, ma ritiene che la vera arte, non sia sempre legata alla fede, ad un ideale politico, sociale, ideologico, altrimenti scivolerebbe solamente nella denuncia e propaganda. Infatti in un’intervista dichiara che: “… non m'interessa affermare che la chirurgia estetica sia giusta o sbagliata, che qualcosa sia bello o brutto o che la bellezza sia questa piuttosto che altro. Io lavoro sulle contraddizioni, metto insieme le dissonanze, il mio è un lavoro incentrato essenzialmente sulle dicotomie dell'esistenza.” …. “cerco di dire le cose cosi come stanno a costo di essere crude.”
Saville rappresenta la femminilità tormentata, associata alla corporeità maschile, che apparentemente più rude e brutale, non si differenzia in sostanza da quella della donna a cui si rimanda sempre l'immagine di una corporeità ideale ed estetizzata. Quello che invece l’artista tende a sottolineare, è come un corpo muliebre, possa essere estremamente violento, pensando ad esempio al ciclo mestruale, vissuto come “uno stato animale.” Il corpo femminino rappresenta la sofferenza, dal mestruo, alla gravidanza, al cambiamento fisico, al dolore del parto; tutte queste metamorfosi, sono espressioni violente della corporeità. L’artista constata la necessità, da parte delle donne, di un processo d'identificazione con l’oppressore, per esorcizzare le violenze subite, mentre essa, dovrebbe avvicinarsi ad una nuova coscienza di sé, acquisendo una vera e propria autonomia. Nella storia dell'arte, nella raffigurazione della donna, c’è sempre il senso di colpa e del peccato, derivante da una visione religiosa, dove convive una sorta di dualismo tra santità e prostituzione, tutto è incentrato sulla purezza o sulla colpa, dove il peccato è qualcosa di socialmente costruito per fini strumentalistici.
Saville, ama celebrare la carnalità senza preconcetti e senza convenzioni. E’ attratta da corpi in stato di trasformazione, attraverso ferite o cicatrici chirurgiche. Per lei, la violenza si trova ovunque, non fa più clamore e notizia, è diventata un fatto quotidiano, una sorta di anestesia al dolore e della sua banalizzazione. I suoi soggetti vengono isolati, chiusi all'interno di uno spazio circoscritto, eliminando tutti i dettagli esterni, per focalizzare l'attenzione su un unico particolare: la carne. E’ irrilevante l'aspetto narrativo, la loro storia personale e l'ambiente che li circonda. Il corpo rappresenta tutto ciò che ogni persona possiede, le esperienze, il tempo, i fatti, lasciano dei segni riconoscibili proprio attraverso la corporeità. Infatti l’aspetto affascinante del corpo transgender è la contemporaneità dell’artificiale con l’organico. Dopo una lunga fase nella quale, lavorando su foto mediche o di cronaca era ininfluente dire chi fossero le persone, il coinvolgimento emotivo nei confronti della pura corporeità cambia, soprattutto nell’opera intitolata S. Sebastiano. Saville fa riferimento ad una foto scattata personalmente nel 1993, nella quale pone cura, attenzione ed enfasi sugli strumenti ospedalieri – elemento artificiale – che tengono in vita l’uomo e la luce – elemento naturale – e la posizione del corpo, su cui posa la luce del sole.
La stessa emotività la coinvolge nel ritrarre Rosetta, figura molto romantica, che racconta sofferenze reali e concrete, guardando dentro l'anima. La rappresentazione della cecità ha una forza ed una difficoltà non comune. “Bisogna dipingere un vuoto”… dice l’artista e continua: ”dovevo catturare l'attenzione dipingendo il nulla.”… “Rosetta non ha mai visto nessun'immagine, è cieca dalla nascita, non vede, ma ti guarda: la sua è una presenza estremamente potente. Rosetta è uno strano territorio che ti porta a guardare indietro nel tempo, un riflesso, uno specchio che ti porta a guardarti dentro, come una contemplazione.” … “Lei non poteva mai vedere cosa stavo per rappresentare e quando la fotografavo. Mi accorgevo che veniva giudicata “visivamente” ma lei “visivamente” non poteva giudicare nessuno.”
La potenza della pittura di Jenny Saville, oltre il talento tecnico, sta in quella sottile linea che divide la trascendenza dal misticismo.

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