PRIMATI ITALIANI

Mentre l’Esecutivo Berlusconi tenta di portare avanti le sue iniziative con lo scopo di frenare il progressivo peggioramento della situazione economica e politica nazionale, sembra che il Paese non sia nelle condizioni di recepire le proposte che Berlusconi intende varare entro fine anno. La situazione, da complessa, sta diventando critica. I dati recenti, proprio a livello UE, hanno evidenziato il progressivo deterioramento del quadro politico nazionale, con conseguenze che non tentiamo neppure di focalizzare. A livello interno, che è quello che maggiormente ci preme, l’inflazione sembra stata frenata. Resta, però, una crisi di liquidità che rispecchia la fibrillazione dei comparti produttivi nazionali. Senza particolari pessimismi, abbiamo notato che il Prodotto Nazionale Lordo (PIL) non dovrebbe arrivare, per il 2011, a quell’1% che potrebbe rappresentare il reale segno di ripresa della nostra economia. Invece, tutto è assai statico ed il livello d’occupazione, legato ai cicli produttivi, sembra sempre essere incompleto. Ma non solo: oggi in Italia si rischia di perdere il lavoro assai di più che per il passato. Lo stesso stile di vita di chi abita nella penisola si è drasticamente ridimensionato. Dati, non ancora ufficializzati, indicano che sono a livello d’indigenza almeno otto milioni d’italiani. Ciò significa, senza ombra di smentita, che gli obiettivi sociali che il Governo di Destra si era proposto non sono stati ancora raggiunti; almeno nella loro generalità. In quest’atmosfera, che già avevamo respirato in Prima Repubblica, le rivendicazioni sindacali sono tornate a farsi sentire. Ma le Forze Sociali, da tempo, non sono più unitarie e gli effetti di quest’effettivo scollamento rendono più problematico un dialogo costruttivo con i possibili datori di lavoro. Del resto, la stessa competitività nazionale sta perdendo parecchi colpi . Il costo del lavoro, quando c’è, è difficilmente calmierabile e vivere dignitosamente è più difficile che agli albori di questo nuovo Millennio. La ventilata proposta di ridurre, pur se gradualmente, il costo del lavoro (di almeno un punto) non ha calmato le turbolenti acque del fronte occupazionale. Lo Stato, per sopravvivere, ha bisogno di rimpinguare il suo bilancio; ma il “piatto piange”. Lo si nota in tutti gli aspetti della vita pubblica e privata del Paese. Il costo del denaro à aumentato e l’economia spicciola si è fatta impossibile. Il tutto con grave danno nei confronti dei piccoli risparmiatori che non hanno più lo stimolo ad investire. La situazione è critica. Indipendentemente dagli ottimismi di facciata. Del resto, anche se la produttività dovesse essere incrementata, il deficit nazionale è tanto grande che ci vorrebbero anni per apprezzarne gli effetti. Così, se a livello internazionale non siamo più il fanalino di coda della grand’Europa, a livello interno abbiamo perso gran parte della grinta indispensabile per superare, col tempo, le maggiori pecche di casa nostra. Così, mentre la Maggioranza di Governo tenta un improbabile rilancio del suo programma, i problemi si sommano ai problemi. Soluzioni non sembrano essercene. Resta che i primati italiani, non per nostra colpa, si presentano ancora in negativo. Ancora per quanto?

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