SULLA NECESSITA’ DI UNA RABBIOSA RICONQUISTA DELLA PROPRIA DIGNITA’

La stanchezza dell'essere forzatamente imprigionati nella povertà e nella miseria della propria condizione sociale, la sofferenza latente dell'essere soli di fronte al teatrino della politica parlamentare ed al cabaret dei soggetti economici nazionali ed internazionali, ci consegnano una vera rassegnazione sociale e civile, appurata da una gran fetta di società italiana indietreggiante nei confronti delle idee e delle progettualità alternative a quello che è già noto.

E questo è esattamente l'obiettivo del nostro avversario più temibile e pericoloso. Ad oggi, direi, vittorioso. La nostra lenta emarginazione, furbescamente silenziosa ma efficiente, dal nostro diritto alla partecipazione politica e sociale da parte delle oligarchie politiche ed economiche del Paese. L'allontanamento coatto di noi stessi dalla nostra dignità di individui.

Gli otto milioni di cittadini che vivono in condizione di povertà gridano rabbia. I quasi quattro milioni di poveri assoluti, invece, gridano dolore ed, in molti casi, odio. Chi, per poter vivere dignitosamente, lavora 60 ore a settimana, chi fa più di un lavoro molto spesso nello stesso arco della giornata, chi fatica ad arrivare alla fine del mese per il salario ridicolo e ridicolizzante che non cresce da anni, rivendica con rabbia la riconquista della propria dignità di essere umano.

Un mio pensiero va a chi quotidianamente si rivolge agli sportelli della Caritas per poter sopravvivere. Un 16% di italiani in più rispetto all'anno precedente l'hanno fatto nel 2009. E' indubbio che la società italiana vada rifondata più che riformata. Oserei dire, rivoluzionata nel suo tessuto economico. Ma pure restando nel moderato campo del riformismo, non ha senso parlare di riformismo senza un progetto, una progettualità. Non ha senso fare a gara a chi sia il più riformista tra i soggetti politici oppure tra le forze sindacali. Parliamo di progettualità per la definizione e l'implementazione di nuove tipologie di lavoro inserite in un quadro che tenga conto della dignità della persona e dell'ambiente.

Il tessuto economico del Paese va gradualmente rivoluzionato ripensandolo nella sua sistematicità. Va rivoluzionato abbattendo la grande industria inquinante e riconvertendo il lavoro verso forme occupazionali ambientalmente compatibili; valorizzando le risorse del Paese e, di conseguenza, le energie da fonti rinnovabili; incentivando la piccola-media impresa per un economia “amichevole”, a misura d'uomo, con una semplificazione amministrativa e fiscale e, soprattutto, con un rinvigorimento forte della contrattazione salariale decentrata basata su indici come la crescita di qualità, la redditività, l'efficienza organizzativa e l'innovazione. Va rivoluzionato cancellando il P.I.L ed utilizzando il Q.U.A.R.S. come vero indicatore di benessere di un Paese in quanto sintesi di quattro indici: l'indice di Sviluppo Umano, elaborato dall'ONU; l'indice di Qualità Sociale, composto da indicatori su sanità, salute, scuola e pari opportunità; l'indice di Ecosistema Urbano, ottenuto da Legambiente; l'indice di Dimensione della Spesa Pubblica, che valuta i livelli di spesa su istruzione, sanità, ambiente ed assistenza. Questi sono solo alcuni punti ma, di certo, tutti fondamentali.

Parliamo, quindi, di rivoluzione economica. Una rivoluzione che indichi una strada percorribile su cosa è oggi lavoro e cosa debba significare domani. Personalmente vorrei discutere di questo. Non è più interessante il gossip della politica e non sono più interessanti le masturbazioni mentali degli esponenti politici sui berlusconismi di turno. Non sono più interessanti gli improbabili puzzle, elettorali e non, di formazioni politiche in disuso e senza progettualità.

A me interessa raccogliere la rabbia diffusa di donne ed uomini stanchi e convogliarla nella definizione ed attuazione di un progetto politico e programmatico chiaro. Un progetto che abbia nel diritto al lavoro e nella qualità della vita del cittadino alcuni dei suoi punti portanti.

Manuel Santoro

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