Pd: Alla ricerca di una identità  smarrita

In queste ore, lo stato d’animo della militanza del Pd è simile a quello di uno studente che si scopre impreparato il giorno prima di affrontare l’ esame.

Avendolo programmato molto in là nel tempo, quello studente si era trastullato in tante divertenti iniziative collaterali che, con l’ acquisizione della materia richiesta dall’ esame , avevano ben poco a che fare.

Trattandosi di materia politica, la disarmata sorpresa del Pd, nel profilarsi di un imminente cimento elettorale, sta nel dover prendere tardivamente atto di una sua immagine complessiva di inaccettabile consistenza e povera di tematiche coerenti e autenticamente sue.

Cioè, per dirla con le parole tante volte ribadite nei servizi giornalistici e nei dibattiti televisivi, si usa icasticamente definire il Pd come un partito senza identità.

Eppure, nel quadro comparativo dei partiti attualmente in campo nell’ offerta elettorale complessiva di tutto l’ arco politico complessivo, il Pd era, storicamente e politicamente, nelle condizioni meno

svantaggiate nella esibizione di una sua specifica carta d’ identità.

Nel concludersi, con la caduta del muro di Berlino, della fase storica della guerra fredda, il ricordo di quel biennio ’46 – ‘47 , in cui i partiti democratici seppero prescinderne approvando la Costituzione, poteva legittimamente ravvisare una esperienza, di idee e di comportamento, di efficacissimo riferimento.

Il Pd , quale punto d’ approdo dei partiti che, di quel breve periodo, erano stati protagonisti, poteva naturalmente identificarsi con quell’ esperienza : non tuttavia con la sua interpretazione mistica, come di fatto è avvenuto, ma con la necessità di una sua rivisitazione critica.

Intraprenderne specificamente una fase finalmente attuativa di tutti quegli articoli, della sua prima parte, che definivano un modo nuovo di essere dei veri centri di potere della vita delle comunità nazionali del mondo moderno.

Ai poteri classici ma statici del potere legislativo, esecutivo e giudiziario, la Costituzione seppe cogliere, per regolarli, i poteri dinamici della vita moderna , quelli dell’ impresa, dei partiti, dei rapporti uomo – donna, ponendo il metodo democratico a fondamento del loro funzionamento.

Quei partiti, proprio in conseguenza della guerra fredda, erano forse stati obbligati a rinunciare a quegli obiettivi ma i loro eredi di oggi, in un mutato contesto nazionale e internazionale, hanno rivelato la loro inidoneità a riprendere un nobile cammino interrotto.

E, avvalendoci del metodo della dimostrazione “per assurdo”, si può chiedere a chi volesse denegare la validità di questa posizione : quale altra ipotesi storica di riferimento poteva valere più di quel magistero, nella sua ambivalente funzione di formulazione teorica e di programma politico ?

E invece, le rispettive dirigenze – ex popolari ed ex diessine – con comportamenti tesi soprattutto a concentrarsi sulle rispettive preminenze – nei sindacati, nei partiti, nelle imprese – hanno gradualmente scarnificato ogni afflato ideale fino a ridurre lo stesso Pd all’ identificazione stessa di partito di potere.

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