Si è cercato di solennizzare un vittoria della massoneria
XX SETTEMBRE FRAGILE FESTA LAICA
Il Dominio pontificio espressione del Diritto naturale contro l’oppressione statale
Quest’anno il 20 settembre è stato festeggiato con maggiore solennità rispetto al passato, e gli organi di informazione non hanno mancato di sottolineare come alle commemorazioni per l’invasione di Roma da parte dell’esercito dello Stato italiano unitario nel 1870, siano intervenuti alti esponenti sella S.Sede, ossia personaggi di primo piano di quello Stato che fu invaso e il cui Capo temporale, il Papa, fu costretto a riparare in Vaticano di fronte agli assalti militari e politici della massoneria e dei suoi adepti.
Se noi vogliamo commemorare un evento fra Stati, niente di male. Dal punto di vista storico anche la presa di Roma è un dato di fatto, e i fatti dopo alcuni decenni o dopo qualche secolo, vengono superati, le conseguenze mutano, gli animi si calmano. Oggi Francia e Germania vivono un lungo periodo di collaborazione internazionale dopo una secolare avversione, Stati Uniti e Inghilterra sono alleati dopo aver combattuto una guerra coloniale, e si sono instaurati ottimi rapporti tra la Spagna e il Messico che ancora riconosceva il Governo repubblicano combattuto da Franco.
Quel che piuttosto lascia perplessi può essere il tentativo dei media e dei politici più o meno informati dei fatti storici, di voler fornire una sponda a un gesto che, invece di valore militare e politico, assunse una valenza tutta religiosa, nel nome scellerato di una religione laica ed universale che, dopo aver tentato di scacciare Dio dalla società, cacciava il Papa da Roma, sicura di infierire con un colpo decisivo nella storia del mondo cristiano. Il deputato Petruccelli della Gattina, un ex-seminarista passato al più bieco servilismo nei confronti della massoneria, a proposito della presa di Roma, poteva gridare in Parlamento mentre era ancora vivo Pio IX: “Il papato morì; voi ne seppelliste il cadavere e sulla fossa maledetta innalzaste la statua d’Italia. La Roma d’Italia, come la Roma antica è ridivenuta la patria di ogni dio, il tempio di ogni culto. Impossessandoci di Roma con la forza, noi abbiamo schiantato dal mondo il papato temporale e messo lo spirituale nella necessità di morire” (cf. L.VILLA-A.DI NICOLA, Pio IX e i framassoni, Chieti 1978, pp.16-17).
Così non è stato, e non poteva essere diversamente, visto che non istituzione politica, non espressione di un visionarismo millenario è la Chiesa, quanto istituzione divina che ha ricevuto da Gesù Cristo la promessa di eternità e di vittoria sul male. Non riuscirono i massoni a far morire la Chiesa, non riuscirono ad impossessarsi del cadavere di Pio IX, quando il Papa del dominio temporale morì e si cercò di strapparne il corpo al corteo dei fedeli nel corso della traslazione del feretro, per buttarlo nel Tevere. Anche questo, del resto, era accaduto, quando il corpo del Papa medievale Formoso fu gettato nel fiume dal furore feroce dei suoi aguzzini ed avversari politici, anche se poco dopo le acque ne restituirono il sacro deposito. La folla devota allora salvò le reliquie di Pio IX dal sacrilegio; mentre solo pochi anni fa tutto il mondo ha assistito ad un altro funerale ben diverso, in cui folle di milioni di fedeli venuti da ogni parte del mondo hanno tributato il segno della loro devozione e del loro amore a Giovanni Paolo II.
Se dunque vogliamo parlare di un fatto storico, parliamone con la dovuta consapevolezza di chi affronta l’analisi di un periodo e le motivazioni alla base degli avvenimenti. Ma certo non dobbiamo intendere come si vorrebbe sottintendere, come fra le tante colpe che vengono attribuite alla Chiesa, si trovasse anche la permanenza del Dominio temporale. Credo invece che sia necessario ricordare come questo Dominio si sia formato attraverso i secoli: non per conquista o per violenza; ma attraverso un’opera di dedizione spontanea di molte popolazioni che, di fronte al dileguarsi o all’indebolirsi della pubblica autorità, ritenevano di potersi porre sotto l’autorità vigilante e protettiva del Papa e dei vescovi che rimanevano spesso gli unici segni di un potere organizzato sul territorio. Il Sillabo degli errori che sconvolsero la società di Pio IX e sconvolgono ancora la nostra società, al paragrafo XXIV comprende anche la falsa proposizione secondo cui “la Chiesa non ha potestà di usare la forza, né alcuna potestà temporale diretta o indiretta”. Non si tratta soltanto di un principio che riguarda la costituzione divina della Chiesa che veniva colpita nella sua libertà di detenere un Dominio temporale, quanto del principio che preserva le comunità dalle conseguenze dell’imposizione assoluto del diritto statale nei confronti di tutti gli altri diritti umani, e quindi si eleva contro l’assoluta soggezione dei diritti privati a quelli delle dottrine dittatoriali che non ammettono opposizioni o dissensi al loro interno. Con intuizione profetica il paragrafo XXXIX del Sillabo riassumeva e condannava come errore esiziale quell’insano postulato del materialismo che provocò le stragi del XX secolo, secondo cui “Lo Stato, come origine e fonte di tutti i diritti, gode di un diritto tale che non ammette confini”.
Il Papa ufficialmente sconfitto con la breccia di Porta Pio, il Papa del Sillabo, non era dunque l’ultimo re di un Dominio antistorico ed oppressivo.
Ha scritto opportunamente Gianni Vannoni a questo proposito: “il Sillabo testimonia, in Pio IX, una volontà di difesa e di preservazione, una politica di reazione al processo generale di sradicamento, di livellamento e imbastardimento dei popoli, dei costumi, delle tradizioni europee(…). Ciò che è stato descritto molto spesso come il manifesto dell’oscurantismo, dell’intolleranza e del fanatismo, può essere paradossalmente assunto a simbolo dell’ultimo, autorevole sforzo di difendere la qualità della vita” (cf. Sillabo, a cura di G.VANNONI, Siena 1977, pp.52-53).
Nessun trionfalismo, dunque, per un a presa di Roma che è ricordata solo da chi vorrebbe inventarsi una nuova data di festeggiamento laico. Cristo e il Papa non sono finiti, e non finiranno.
Carmelo Currò