Sorpresa, l’Italia sta vincendo in Afghanistan

di Gian Micalessin

I soldati italiani applicano la strategia americana e la dottrina Petraeus con un pizzico di fantasia nostrana. Nella provincia di Farah, dove un tempo era rischioso circolare, ora gli alpini dormono nei villaggi con i locali
Shindand – Era la valle dell’oppio e della morte. La valle dove nel settembre 2007 furono rapiti due agenti del Sismi liberati con il sanguinoso blitz costato la vita a Lorenzo Lauria. Tre anni dopo è uno dei simboli del successo italiano nelle provincie occidentali dell’Afghanistan. Oggi i nostri alpini dormono nei suoi villaggi, trattano con gli anziani, contendono il territorio ai talebani e ai trafficanti di oppio. Oggi il 31enne capitano Emanuele De Mitri del 3° reggimento alpini è uno dei padroni di casa della Zeerko Valley. Il titolo gli spetta di diritto. Da mesi questo ufficiale e gli uomini della 36ma compagnia al suo comando, sono gli ospiti fissi della vallata, gli inquilini di uno sperduto avamposto denominato «base Luna». «Le primo volte leggevo la paura e la diffidenza negli occhi degli anziani dei villaggi … da quelle parti aver rapporti con noi significava rischia di essere decapitati. Ora non soltanto ci considerano ospiti abituali, ma ci passano informazioni sugli ordigni piazzati contro le nostre pattuglie e sul passaggio delle bande d’insorti».

La ricetta del giovane capitano, originario di Lequile in provincia di Lecce, è come sempre un miscuglio di strategia americana e di fantasia italiana. La strategia americana è quella riscoperta dal generale David Petraeus rileggendo il manuale anti guerriglia scritto negli anni 50 da David Galula, un giovane ufficiale franco tunisino ispirato dall’inferno della guerra d’Algeria. La dottrina Galula – sviluppata da Petraeus prima in chiave irachena e poi afghana – raccomanda innanzitutto la protezione dei civili e dei centri abitati. Emanuele de Mitro e i suoi uomini lo fanno quotidianamente. «La base Luna nella valle di Zeerko è la realizzazione pratica della dottrina Petraeus – assicura il colonnello Giulio Armando Lucia, comandante della base di Shindand e del 3° reggimento alpini – lì una squadra di 18 alpini affiancati da soldati afghani trascorre turni di una settimana in un presidio a fianco di un villaggio. Stando lì capiamo le necessità degli abitanti, finanziamo la costruzione di pozzi e altre infrastrutture ottenendo informazioni preziose per contrastare l’attività dei talebani». A far la differenza è anche qui la «via» italiana alla conquista delle menti e dei cuori afghani. I marine statunitensi arrivati nella Zeerko Valley per dar vita a milizie di autodifesa fanno i conti, anche a causa di metodi troppo pressanti e aggressivi, con l’ostilità della popolazione. Il capitano Emanuele De Mitri e i suoi lavorano con più calma. «Cerchiamo d’imporci, rispettando tradizioni e abitudini. I progressi sono più lenti, ma evidenti. Prima eravamo soltanto intrusi, oggi molti sono pronti a rischiar la vita per passarci informazioni sui talebani. Questo si traduce in sicurezza e controllo del territorio».

I successi della Zeerko Valley sono anche la conseguenza dell’allargamento del nostro contingente passato dai 2.500 uomini di due anni fa a oltre 3.500. Questo consente lo schieramento di 1.300 militari italiani pienamente operativi e in grado di contendere ai talebani il controllo del territorio. Agli effettivi italiani vanno aggiunti 2.000 soldati americani, 1.500 spagnoli e vari altri contingenti per un totale di circa 7.000 mila uomini. La decisione del comando Isaf di concentrare queste forze – raddoppiate nel giro di due anni – esclusivamente intorno alle aree più abitate e agli assi di comunicazioni più importanti sta trasformando gli italiani e gli alleati in forza egemone. L’esempio più concreto è quello della famigerata 517 la strada sui cadde nel luglio 2009 il paracadutista della Folgore Di Lisio. Su quella strada i nostri soldati erano continuamente esposti alle imboscate organizzate al villaggio di Shiwan, una delle roccaforti talebane della provincia di Farah. Oggi a dar retta al colonnello Franco Federici, comandante del quartier generale italiano nella provincia la situazione è decisamente migliorata. «Un tempo tutta la provincia di Farah e il villaggio di Shiwan erano minacciati dai talebani in movimento verso ovest, oggi invece garantiamo la libertà di transito sulla 517 e gli insorti non sono più in grado di attaccarci in terreno aperto. L’unica arma a loro disposizione restano le trappole esplosive». Anche qui però il controllo del territorio consente di sfruttare al meglio le informazioni fornite da una popolazione ormai abituata a vivere a stretto controllo con gli italiani. «Guardate le statistiche degli ultimi mesi, qui a Farah – spiega Federici – sono esplose 56 trappole esplosive, ma i nostri uomini ne hanno disinnescate 57 Questo perché le informazioni raccolte sul terreno ci consentono di neutralizzare gran parte delle minacce». Ma la marcia degli alpini e del contingente italiano non si ferma. Il primo settembre la «task force sud est» , una nuova unità composta dal 7° reggimento alpini e dalla Brigata Julia, ha assunto il controllo di una base nel Gulistan e di una a Bakwa, due località considerate un tempo i santuari talebani della provincia. Gli americani fino a qualche tempo erano convinti di esser gli unici a poterne garantire il controllo. Dopo la visita del comandante David Petraeus al settore ovest qualcuno però ha deciso che Italians do it better». Gli italiani lo fanno meglio.

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