COSI’ E’ ANCHE SE L”UNITA” NON LO HA MAI DETTO

Questo per avere solo un’idea contro quali personaggi i fascisti avevano a che fare

Ovviamente operando i dovuti distinguo

di Filippo Giannini

Qualche giorno fa un amico lettore, Gianmarco Dosselli mi chiese notizie sull’attentato avvenuto a Milano, in Viale Abruzzi, l’8 agosto 1944. Il signor Gianmarco Dosselli, inviò le notizie a me richieste ampliandole, probabilmente, con altre di fonte diversa, al giornale Bresciaoggi e da qui nuovamente a me rispedite con una diversa interpretazione dei fatti, questi a firma del signor Renato Bettinzioli, probabilmente un redattore del giornale bresciano. Dato che il signor Bettinzioli, a mio modo di vedere ha stravolto i fatti, ritengo mio dovere intervenire. E essenziale una premessa. Dato che l’attentato in questione fu opera di uno o di un gruppo di partigiani, esaminiamo chi erano e come operavano i partigiani. E da ricordare, prima di iniziare, che immediatamente dopo l’8 settembre 1943, da Radio Bari, poi da Radio Salerno e da Radio Napoli, tutte sotto controllo Alleato, venivano lanciati quotidiani appelli incitanti ad uccidere i fascisti. Questo per preparare l’ora del soviet italiano ed eliminare chiunque avesse potuto, in qualche modo, opporsi al disegno comunista. Ed i comunisti si misero immediatamente e diligentemente al lavoro.

Per non perdere tempo anticipo che il partigiano era un illegittimo combattente, in altre parole un fuori legge, quindi, se questo è vero, un fuori legge se uccide qualcuno commette un omicidio.

Ciò premesso, osservo che chiunque per operare nell’ambito legale deve assoggettarsi alle leggi vigenti. Il partigiano operava in codesto ambito? Apriamo il volume riguardante il Diritto Internazionale, a pag. 583 e seguenti, leggiamo: . Mi riferisco alle Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907 (quindi concepite a quasi mezzo secolo dall’inizio del Secondo Conflitto mondiale, nda) e alla Convenzione di Ginevra del 1929. Per brevità (il lettore che volesse approfondire può consultare il volume da me indicato) riporto: <(Sono legittimi combattenti) purché indossino una uniforme conosciuta dal nemico, portino apertamente le armi, dipendano da ufficiali responsabili e dimostrino di rispettare le leggi di guerra>. Il partigiano, almeno per come lo conosciamo e per come più avanti approfondiremo la conoscenza NON rispondeva ad alcuna di queste imperative condizioni: di conseguenza era un illegittimo combattente. I combattenti della Repubblica Sociale Italiana rispondevano a tutte le suddette condizioni, di conseguenza erano legittimi combattenti. Ma le suddette Convenzioni Internazionali prevedevano anche: . Poco più avanti, pag. 584, si legge: . Poco più avanti ancora, quasi per sanzionare la severità di quanto prescritto, leggiamo: .

Ed ora esaminiamo alcuni esempi di come veniva concepita la lotta partigiana. Come ulteriore premessa è bene ricordare che degli oltre 800 mila legittimi combattenti della Rsi, non uno si arruolò per combattere contro altri italiani, ma solo per contrastare l’invasione anglo-americana che proveniva da sud. Qual’era la tecnica bellica partigiana? E chiaramente espressa dal partigiano Beppe Fenoglio ne Il partigiano Jonny: . Così il 29 settembre ’43 cadde assassinato il giovane volontario Salvatore Morelli; due uomini nascosti in un cespuglio freddarono il diciottenne studente. Morelli fu solo il primo di una lunga serie di uccisi alle spalle, beninteso. Decine e decine di altri aderenti alla Rsi caddero per mano degli illegittimi combattenti. Per ordine di Mussolini sino a metà del mese di novembre non venne applicato il diritto di rappresaglia. Un elenco sommario dei caduti viene riportato nel libro di E. Accolla Lotta su tre fronti.

A cosa tendevano questi attentati? Le finalità riportate dall’ex fascistissimo poi super antifascista e capo partigiano Giorgio Bocca, fanno rabbrividire; ecco come Giorgio Bocca intendeva la lotta partigiana: . Quale mente diabolica può giustificare una lotta avente queste finalità? Vi ricordate il Presidente più amato dagli italiani, Sandro Pertini quando si recava a rendere omaggio ai martiri delle Cave Ardeatine? Vi ricordate come si guardava attorno per accertarsi che ci fossero le camere per le riprese TV, mentre si asciugava la lacrimuccia che gli sgorgava pietosa? Ma non ricordava, in quel momento, che era stato uno degli artefici della morte di quegli sventurati in quanto uno dei capi del CVdL, quindi uno degli autori dell’ordine dell’attentato di Via Rasella che ebbe come conseguenza la rappresaglia delle Cave Ardeatine? Ma certo che lo sapeva, come sapeva che i tedeschi si sarebbero avvalsi del diritto di rappresaglia! La verità è che tanti furbacchioni sapevano che quei morti avrebbero fruttato onori e prebende. Così a Cuneo, così a Marzabotto, come a Via Rasella e cento e cento altri casi simili. Boia se si è presentato un attentatore, uno solo ad assumersi le responsabilità e salvare gli ostaggi. Per la verità uno ci fu. Quel certo Salvo D’Aquisto, ma Lui non vale: era un fascista riconosciuto.

Ed ora veniamo all’attentato dell’agosto 1944.

Propongo la testimonianza di Franco Bandini, venuto a mancare, purtroppo, pochi anni fa. Bandini fu uno dei più attendibili storici e testimone diretto di quei terribili giorni. Egli ha scritto (Il Giornale, 1/9/1996): . Seguendo la regola ormai convalidata, Visone, o chi per lui non rispose al bando che preavvertiva la rappresaglia qualora il responsabile non si fosse presentato. Così il 10 agosto vennero prelevati dal carcere di san Vittore quindici persone e fucilate a piazzale Loreto. Ma il cerchio (che poi fu una spirale) non si chiuse con questo fatto doloroso. Seguirà la rappresaglia alla rappresaglia: i partigiani fucilarono a loro volta 45 militari italiani e tedeschi caduti nelle loro mani (30 italiani e 15 tedeschi).

Quanto riportato è solo un episodio di una faida nazionale che è, ancora, tutta da scrivere. Mi auguro che quanto sopra trattato risulti chiaro il mio dissenso dalla tesi del signor Renato Bettinzioli in quanto, ripeto, confido più nella testimonianza di Franco Bandini che in quella del tanto politicizzato signor Bettinzioli.

Prima di terminare desidero proporre una notizia che, molto probabilmente, è sconosciuta alla maggior parte dei lettori. Riprendiamo il volume Diritto Internazionale e apriamolo a pagg. 794-795 e leggiamo: <(…). L’art. 33 della IV Convenzione di Ginevra del 1949, in deroga a quanto prima era consentito dall’art. 50 dei Regolamenti dell’Aja del 1899 e del 1907, proibisce in modo tassativo le misure di repressione collettiva, di cui si ebbe abuso delittuoso nell’ultimo conflitto (…)>. Quindi il Diritto di rappresaglia se era riconosciuto e consentito nel periodo bellico, alla fine del conflitto venne proibito in modo tassativo. Allora chiedo: perché quando detto Diritto era lecito viene continuamente ricordato e condannato, mentre quando il Diritto di rappresaglia, venne tassativamente proibito, i Paesi che ne fanno uso, e tutt’ora se ne avvalgono, non vengono mai ricordati? E mi rivolgo alle rappresaglie commesse dai sovietici in Afghanistan, dagli anglo americani in Corea, in Vietnam, in Irak e, ancora, in Afghanistan. E gli israeliani che per il ferimento o per la morte di un loro connazionale hanno scatenato e scatenano rappresaglie su inermi civili causando morti, feriti e distruzioni.

Spero di avere una risposta a questo quesito, magari dal signor Renato Bettinzioli. Così che, dato che chi scrive queste note ha una sua risposta, possiamo vedere se, almeno su un punto, le nostre idee possano collimare.

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