Il programma di Futuro e Libertà  e il discorso di insediamento di Fini

di Gianluca Sadun Bordoni

Nell’attuale magma politico, e in attesa delle prevedibili convulsioni settembrine, conviene cercare di ragionare in modo pacato sugli orizzonti che si aprono all’area di “Futuro e libertà”, sul piano politico e culturale, in vista della costruzione – ormai inevitabile – di un nuovo soggetto politico.
Credo che in tal senso un buon punto di partenza sia tornare al discorso che il Presidente Fini fece il 29 aprile 2008, all’atto dell’insediamento alla presidenza della Camera. In quel discorso infatti, nonostante i vincoli posti dall’occasione, Fini toccò alcuni temi fondamentali, che a distanza di due anni appaiono ancora contenere i motivi centrali di un impegno politico fondato sull’assunzione di una responsabilità nazionale, oggi più che mai necessaria. E anche a smentire l’idea che vi sia, oggi, contraddizione vera tra il ruolo ‘istituzionale’ e quello ‘politico’ di Fini.
Rileggendo il discorso d’insediamento, infatti, si nota subito che i punti centrali sono proprio quelli la cui difesa ha determinato l’espulsione di Fini dal partito di maggioranza. La contraddizione sembra allora trovarsi piuttosto in chi, dopo aver applaudito due anni fa il discorso di Fini, ieri lo ha illiberalmente espulso dal Pdl, per presunta incompatibilità con i suoi ‘principi’.
Forse qualcuno pensava che, quando Fini allora criticò “l’affievolirsi del principio di legalità” stesse scherzando. O che non fosse sincero l’apprezzamento per i magistrati “di ogni ordine e grado” e per le forze dell’ordine, custodi della legalità. E che non pensasse davvero, in generale, che la difesa della libertà implicasse la lotta contro “la progressiva perdita di autorevolezza dello Stato”, che quella libertà mette a repentaglio, esponendo i cittadini a pericoli, minacce e arbitri di ogni sorta. Ogni discorso sulla ‘giustizia’ non può partire di fatto che da qui, dal senso dello Stato, che è cura dell’interesse collettivo, ed esclude la possibilità di norme palesemente non rivolte a tutelare la generalità dei cittadini.
Ma oltre al tema della legalità e della giustizia ci sono almeno altri tre punti fondamentali del discorso d’insediamento di Fini che mi preme sottolineare, perché credo da essi discendano le coordinate di fondo dell’impegno politico che oggi ci attende.
Il primo era l’invito alla riconciliazione e all’unità nazionale. Il tempo delle contrapposizioni ideologiche e delle memorie divise, disse Fini, è ormai per sempre alle nostre spalle. Ciò concerne non solo la politica, ma l’intero mondo della società e del lavoro, ove si è chiamati a confrontarsi con “il tramonto delle ideologie classiste e vetero-liberiste del Novecento”, in un contesto nuovo in cui solo uno sforzo unitario della nazione può consentici di affrontare la sfida epocale della globalizzazione dei mercati. E questo richiede, naturalmente, l’unità di capitale e lavoro, da un lato, e delle ragioni del Nord e del Sud, dall’altro, ove le divergenti aspirazioni devono essere conciliate “nel nome di un autentico interesse nazionale”.
Il secondo punto fondamentale era l’auspicio di aprire una ‘legislatura costituente’. Purtroppo, il declino del berlusconismo ha ormai vanificato questo obiettivo nell’ambito della XVI legislatura. Le mancate riforme costituzionali sono forse la principale delle ‘promesse non mantenute’ del berlusconismo, causa dell’ibrida situazione in cui versiamo, tra l’impianto costituzionale di una democrazia parlamentare, ed un conato presidenzialista inattuato.
L’obiettivo di aprire una fase costituente resta dunque immutato nel suo scopo di fondo, che è ancora quello di creare – come disse Fini – “una nuova architettura costituzionale che faccia della nostra democrazia una democrazia più rappresentativa e più governante”, con un rafforzamento dei poteri dell’esecutivo e, contestualmente, dei poteri di controllo del Parlamento, e la realizzazione di “un federalismo unitario e solidale”.
Si noti che tra i due punti evidenziati nel discorso di Fini – riconciliazione nazionale e riforme costituzionali – sussiste un nesso di fondo. Superare le lacerazioni ideologiche e chiudere per sempre il lungo dopoguerra italiano significa anche superare la Costituzione della Prima Repubblica, che di quell’epoca storica – con i suoi pregi e i suoi limiti – è l’espressione più alta e lo specchio fedele. L’obiettivo, congiuntamente, è quello di poter aprire, finalmente e per davvero, l’epoca della ‘Seconda Repubblica’, con le forze che a tale sfida sapranno corrispondere.
Il terzo, infine, dei grandi temi sollevati da Fini era la critica del relativismo culturale, vera minaccia del nostro tempo. Qui è particolarmente importante definire un orizzonte culturale che, soprattutto di fronte alle sfida della biopolitica, garantisca un’equidistanza dagli opposti integralismi, nella rivendicazione della laicità dello Stato, ma anche del “ruolo fondamentale che nell’arco dei secoli la religione cristiana ha avuto e ha tuttora nella formazione e nella difesa dell’identità culturale della nostra patria, della nazione italiana”. L’Italia, come tutti i paesi occidentali, è attraversata da forti spinte secolarizzatrici, di cui è necessario tenere conto, e che costituiscono anche una ricchezza, in termini di tolleranza e pluralismo morale. Non è tuttavia possibile difendere unità e identità della nazione dimenticando il rispetto per quell’identità cristiana, formatasi nei secoli, che è così evidente in ogni angolo della nostra penisola.
Unità nazionale, riforme costituzionali, critica del relativismo culturale come minaccia per la vera libertà. Questi erano i temi che il Presidente Fini indicò due anni fa, dallo scranno più alto di Montecitorio, al Parlamento e al Paese e questi sono i temi che oggi, crediamo, debbano definire l’orizzonte etico e politico di “Futuro e libertà”.

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