Chi sbaglia sulla sentenza Dell’Utri

di Carmelo Briguglio

Dunque i giudici di Palermo hanno pronunciato una sentenza di condanna. A sette anni di carcere. Il senatore Marcello dell’Utri per la Corte di Appello è colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa. Ognuno ha cercato di tirare la sentenza dalla propria parte. Imputato e pubblica accusa con pieno diritto. E’ umano e naturale. Dalla politica sono venute invece interpretazioni che è opportuno riprendere. La prima è quella di tanti, troppi esponenti di vertice del Popolo della Libertà. I quali hanno liquidato la condanna con una solidarietà rituale a dell’Utri, concentrandosi con tutte le loro forze sull’”assoluzione” di Forza Italia dal peccato originale della nascita mafiosa. Una leggera quanto sorprendente euforia ha dato alla testa ad alcuni amici nostri i quali poco ci manca che festeggino la sentenza di condanna di una delle persone più vicine, anzi certamente la più vicina a Silvio Berlusconi. Un po’ di sobrietà non guasterebbe per rispetto alla persona e ancor di più perché anche sul piano politico c’è poco da festeggiare. Un primo errore: di stile e di sostanza. Comprendiamo perché la sentenza induca alcuni a sentimenti di rivincita rispetto a indimostrati teoremi sulla genesi del partito berlusconiano e della discesa in campo del Cavaliere. Lo comprendiamo, ma è un atteggiamento che merita un’analisi non superficiale. La sentenza ha un valore anche politico ma non si presta a strumentalizzazioni. L’uso politico della giustizia, giustamente richiamato da Fabrizio Cicchitto, non può essere fatto valere da nessuno e in nessun senso. E a rigor di logica, la sentenza o la si accoglie per intero e si è conseguenti o non la si accetta integralmente. Politicamente parlando s’intende, perché sul piano giudiziario non si può che rispettarla. Cioè non si può come taluni fanno, dire che la Corte ha assolto per sempre non solo dell’Utri ma anche Silvio Berlusconi dall’accusa, per noi abnorme, di avere a che fare con le stragi mafiose del ’92 e ’93.. O comunque di essere dentro il patto, se ci fu, tra Stato e Cosa Nostra. Insomma la sentenza equivarrebbe per Forza Italia e quindi per il Pdl a un certificato di garanzia a “prova di bomba”. Ottimo. Ma non si può, non si può proprio, dire nello stesso tempo che la sentenza è sbagliata, pilatesca, cedevole verso la pubblica accusa per quel che riguarda la condanna di Dell’Utri perché egli secondo gli stessi giudici è colpevole di relazioni penalmente rilevanti con boss mafiosi nel periodo antecedente il 1992. E non tanto perché la sentenza è unica ed è dotata di una sua “ratio” coerente, anche se la capiremo meglio quando ne saranno rese pubbliche le motivazioni. Ma perché non si può avere una visione della giustizia e dei giudici, secondo due pesi e due misure, in ragione delle convenienze del momento. Oltre che metodo incredibilmente banale, anche questo è utilizzo a senso unico della giustizia: Nella fattispecie è ancora peggio di altri casi, perché qui si pretenderebbe di mettere al servizio delle proprie ragioni un pezzo di sentenza, di ritenere i giudici imparziali ma solo per metà, di valutare il processo equo soltanto per la parte che sposa i propri interessi e teoremi. Perché così si finisce per elaborare un uso politico della giustizia e teoremi, di segno uguale e contrario a quelli che siamo abituati a criticare sul fronte della sinistra radicale e giustizialista. I due opposti estremismi, quello giustizialista e quello ipergarantista, finiscono per equivalersi.
L’altro errore lo commette lo stesso Marcello Dell’Utri. Lo vogliamo dire con serenità e con un pizzico di umana comprensione. Sia chiaro che il senatore ha diritto alla presunzione d’innocenza fino all’ultimo grado di giudizio. E va rispettato come cittadino della Repubblica, non perché sia Marcello dell’Utri. Ha anche diritto di difendersi fino in fondo e a credere che la Cassazione possa mandarlo assolto, restituendogli l’onore e un futuro sereno. Ne ha diritto, senza pregiudizi e condanne definitive anticipate. Questo deve essere chiaro. L’ultima parola spetta alla Suprema Corte e abbiamo tutti il dovere di attenderne il verdetto. Questo sul piano giudiziario. Ma nemmeno il senatore dell’Utri, che oltre ad essere un imputato è anche un uomo politico e un parlamentare della Repubblica, si può permettere di esaltare la figura di un boss mafioso, conclamato e riconosciuto, come Vittorio Mangano. Si certo, è una sua valutazione molto soggettiva. Consideri pure un torto alla sua intelligenza se qualcuno pensa che egli non consideri eroi veri Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma il mettere Mangano nel Pantheon dell’eroismo al pari dei due giudici assassinati dalla mafia, è non solo inelegante ma moralmente e politicamente inaccettabile. Sbagliato e inaccettabile. Per questo, pur commettendo un errore sul piano formale (non si può chiedere l’espulsione di chi non ha una condanna definitiva), hanno ragione quei nostri ragazzi e ragazze di Palermo, che si sono ribellati a vedere un uomo dell’anti-Stato messo sullo stesso piano del loro e nostro Paolo Borsellino. Chi saremmo noi e dove andremmo senza le loro ragioni, ma anche senza le loro impazienze e i loro errori?

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