Pietro Citati su La Repubblica del 10 luglio, scrive: “Secondo Benedetto XVI, alla fine del ventesimo secolo, il regno del peccato si è esteso. Quasi nessuno prega, varca le porte delle cattedrali, pensa a Dio e a Cristo, rispetta le leggi della Chiesa sulla vita e la morte. La società è profondamente irreligiosa e anticristiana”. Qualche considerazione che lo scrittore non fa nel suo articolo. Se per pregare s'intende recitare preghiere nelle chiese, forse è vero che gli oranti siano pochi, ma se per preghiera s'intende rivolgere il pensiero a Dio qualora vediamo qualcuno soffrire, o quando noi stessi siamo nella sofferenza o semplicemente in difficoltà, ma anche nei momenti di gioia, allora non si può affermare che “quasi nessuno prega”. Poi: l'estensione del regno del peccato non si misura in base al numero delle persone che entrano nelle cattedrali, ma in base al loro comportamento verso il prossimo; non si misura in base al rispetto verso le leggi della Chiesa, ma in base al rispetto dei valori espressi dal Vangelo. Le leggi della Chiesa, infatti, non sempre s'identificano con la legge del Signore. Ma io credo che l'inquietudine e l'angoscia di Benedetto XVI siano da attribuire a ben altro.
Miriam Della Croce