Le banche europee più esposte nella crisi dell’Est

Di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

E’ ingenuo e fuorviante dividersi sul default si, default no dell’Ungheria. Non è una questione psicologica di qualche leader magiaro, né un affare esclusivamente centro europeo. La crisi finanziaria è sistemica. Merita più serie e approfondite riflessioni. La crisi ungherese dovrebbe fornire invece uno stimolo in più per capire l’emergenza della bolla del debito pubblico e privato nel mondo e per accelerare la definizione di regole globalmente accettate.

Secondo un recente studio pubblicato dalla rivista economica americana Forbes, gli Stati Uniti rappresentano il vero grande problema dei mercati finanziari investiti dallo tsunami del rifinanziamento dei debiti. Si calcola che nel 2010 i titoli di debito pubblico di tutti i paesi da collocare sui mercati ammonterebbero complessivamente a 4.500 miliardi di dollari. Ben il 45% del totale sono obbligazioni americane.

Questo è lo scenario nel quale si collocano anche le difficoltà dei paesi dell’Europa orientale. Esse naturalmente possono riverberare effetti esplosivi sulle banche dell’Unione Europea.

All’inizio dello scorso anno, quando il rischio di default di alcuni paesi dell’Est cominciava a manifestarsi, molti dati erano già intelligibili. Si calcolava, infatti, che l’Europa dell’Est avesse sottoscritto sui mercati esteri debiti per circa 1.700 miliardi di dollari, in gran parte a breve scadenza. Le banche europee, a cominciare da quelle tedesche, francesi e austriache, erano già massicciamente coinvolte. Si pensi che le sole banche austriache possedevano titoli dei paesi in questione per 230 miliardi di euro.

Anche il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, in un’audizione alla Camera dei Deputati il 17 marzo 2009, si sentì in dovere di avvisare il sistema bancario italiano dei rischi. Quantificò in 150 miliardi di euro i bond dei paesi dell’Europa orientale in possesso delle banche italiane.

Mentre il mondo della finanza e dei media inducono i governi e l’opinione pubblica a concentrarsi sui tagli di bilancio come unica soluzione, si tende a minimizzare gli effetti devastanti provocati dal calo di produzione e dalla crisi dei mercati dell’Est Europa. L’Ungheria, che ha avuto un deficit di bilancio del 6,2% nel 2009, dovrebbe sanare i propri conti con drastici tagli delle spese e con un aumento delle esportazioni. Si dimentica però che il 75% dell’export magiaro interessa la zona dell’euro, dove ancora persiste la stagnazione economica, come dimostra il grande calo dei consumi interni. In Romania, non potendo superare nel 2010 il limite del 6,8% di deficit di bilancio imposto dal FMI, si pensa a una riduzione del 25% dei salari pubblici. Anche la Lettonia nel biennio 2008-9 ha registrato un calo della produzione del 25%.

Come è facilmente intuibile, il valore dei titoli di debito di uno Stato non dipende esclusivamente dal pareggio monetario dei conti pubblici, ma dalla sua capacità di produrre vera ricchezza. La crisi dei settori produttivi nell’Europa dell’Est, così come nell’eurozona, intacca le quotazioni delle obbligazioni e incide sulla capacità di rifinanziamento. Ciò potrebbe minare la stabilità del sistema bancario europeo. Non è un caso che le banche europee, invece di aprire nuove linee di credito per i vari settori dell’economia, hanno deciso di depositare oltre trecento miliardi di euro presso la BCE.

Inoltre, secondo l’OCSE le grandi banche americane operano con una tasso di leverage (il rapporto tra asset e capitale azionario) tra 12 e 17, mentre quello di molte banche europee è tra 21 e 49. Il che significa che queste ultime hanno più debiti e più titoli nei loro bilanci e quindi risentono maggiormente delle turbolenze dei mercati.

In una tale situazione sarebbe devastante se l’Europa e gli Usa cadessero in una competizione per la propria sopravvivenza a discapito dell’altro. Secondo noi non si può delegare sempre e tutto ai mercati, soprattutto ora che sono profondamente malati e drogati. Ciò dovrebbe indurre i governi e le loro organizzazioni (G 20) ad accelerare il global legal standard.

*Sottosegretario all'Economia nel governo Prodi ** Economista

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