di Aldo Perotti
Prendo spunto dalla recente approvazione del federalismo demaniale per avviare una riflessione sul futuro del nostro paese. Mi ripeto e ripeto spesso che il disegno che sembra delinearsi nel combinato disposto delle intenzioni della Lega, del sostanziale assenso della sinistra e della connivenza delle regioni meridionali, e quello di un’Italia in un assetto pre-unitario quasi a cancellare 150 anni e più di storia.Cos’è una nazione ? Un popolo, un territorio, una sovranità, una storia, un lingua, un ordinamento giuridico. Si potrebbe dissertare su ognuno di questi concetti per definire lo stato nazionale e molti hanno studiato come nascono le nazioni, le loro finalità, i loro meriti e demeriti. E’ solo il caso di ricordare che i “padri della patria”, i vari Mazzini, Garibaldi, Cavour ecc. non fossero proprio degli stupidi e che avessero più che valide ragioni per la costruzione dell’Italia unita, che non si limitavano al semplice desiderio di casa Savoia di ampliare i suoi domini, ma facevano riferimento ad una serie di condizioni che imponevano al nostro paese di trovare una sua struttura unitaria, una sua massa critica, in grado di dialogare alla pari con gli altri stati nazionali che si andavano via via assestando.
Del resto il territorio italiano è da sempre ben definito. Separato dal resto d’Europa a nord dalle Alpi ed altrove dal mare, l’Italia ha – anche geograficamente – una sua ragion d’essere.Ma ormai questa idea sembra essere superata e nel nord del paese, sondaggi e risultati elettorali alla mano, il modello secessionista Leghista sembra aver preso il sopravvento e quindi nel futuro tutto sembra destinato a cambiare. Parlo di modello secessionista perché il faro che guida la politica della Lega è in fondo (il primo amore non si scorda mai) la secessione, nel senso di creazione di una nazione-stato distinto dal resto della penisola con il fiume Pò suo confine naturale a sud.
Questa ambizione è conseguenza di un percorso storico che ha visto, anche grazie all’unità d’Italia, attraverso l’industrializzazione e le favorevoli condizioni geografiche, la disponibilità di manodopera meridionale facilmente (anche se non immediatamente) integrabile, uno sviluppo economico particolarmente forte delle regioni del nord a fronte di un grande ritardo delle regioni del sud a prevalente vocazione agricola. Il paese vanta quindi un nord ricco e benestante che sopporta e supporta (così si dice) un sud povero ed arretrato che nonostante la generosità delle regioni ricche non riesce a sollevarsi dalla sua misera condizione.
Il bisogno delle regioni ricche di liberarsi di chi si avvantaggia di una condizione parassitaria è assolutamente comprensibile e quindi la secessione, la separazione, quell’ ognuno per la sua strada che si dicono i coniugi dopo il divorzio, sembra essere del tutto comprensibile.
L’idea di secessione è ovviamente contrastata da chi invece – rifacendosi alla storia – vede nell’idea di aggregazione, nella forza del numero, dei vantaggi in grado di superare le differenze tra uomini, territori e risorse. Chi ha sognato e sogna un’Europa politicamente unita, un grande nazione Europea, non può che ritenere l’aspirazione all’autonomia, all’indipendenza, solo il retaggio di un antico passato – medioevale come approccio – che crede di saper e poter gestire il suo feudo anche in barba all’imperatore, grazie ad alte mura ed ad un “fedele” esercito di mercenari (non ha caso la Lega fa continuo riferimento ad un momento storico che è tardo-mediovale o pre-comunale, ovvero un periodo che ricorda la situazione attuale, territori ricchi che vogliono autogovernarsi ed affrancarsi dall’impero che parassita risorse).
Quindi sembra proprio che, mascherata da federalismo (che poi federalismo non è perché il federalismo è l’unione di più stati per fini comuni), assisteremo ad una secessione di fatto o meglio ad una “esplosione” del paese in 21 staterelli tenuti insieme da una “costituzione federale” che sarà la vecchia e amata costituzione italiana ampiamente riveduta e corretta.
Con il federalismo demaniale – il primo passo – la questione “territorio” sembra risolta in parte.
Ci saranno contenziosi in futuro, questo è certo, ma il fatto che la regione disponga di un proprio demanio, di propri beni pubblici, è un segnale molto forte. Il fatto che il Pò rimanga in qualche modo “extraterritoriale” in quanto “statale” ricorda non poco il regime di extraterritorialità che riguarda il Danubio, fiume su quale si affacciano più nazioni.
L’approccio regional-nazionale (come potremmo forse definire un regionalismo spinto, per certi aspetti xenofobo) sarà in futuro portatore di conflitti spesso irrisolvibili. Già oggi ne abbiamo un assaggio quando lo stato “centrale” emana norme, che in qualche modo riguardano l’autonomia (la sovranità) regionale, subito partono ricorsi alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione, competenza, ecc.
Stabilire, non solo nelle materie concorrenti ma in tutta la sfera pubblica, dove arriva lo stato centrale e dove quello regionale diverrà via via più complesso.
Il federalismo fiscale, che dovrebbe concedere autonomia impositiva e responsabilizzare nell’utilizzo delle risorse, rischia di rivelarsi anche per le regioni più ricche un terribile boomerang.
La tassazione è una “imposizione” nel senso che un’autorità più forte “impone” il suo volere ed “esige” il versamento di somme per scopi vari e non sempre ben giustificati agli occhi del “tassato” (il termine contribuente è solo più elegante). Per far pagare le tasse occorre forza, si deve essere grandi e grossi e poter contare su amici ancora più forti (essenzialmente un esercito). Se qualcuno non intende pagare le tasse lo Stato ricorre alla forza per farle pagare o comunque interviene (è il caso del crimine organizzato) per impedire o interrompere attività svolte e flussi di denaro che sfuggano al suo controllo.
Come spera un’Amministrazione Regionale di combattere l’evasione, la criminalità affaristica, senza avere a disposizione dei funzionari, un piccolo esercito, in grado di intervenire. Tra l’altro dovendo evitare quei fenomeni di “sub-corruzione” che, nelle piccole comunità, sono più facili ed incontrollabili. In un piccolo paese, un vigile non è in grado di fare multe ai suoi concittadini (non è carino e non e simpatico) e si concentra sui forestieri. Per questo motivo i carabinieri di prima nomina non possono lavorare nei paesi di origine, la loro funzione di “soggetti terzi” ne risulterebbe sminuita; potrebbero avere un occhio di riguardo con i compagni di scuola.
Le Regioni dovranno affiancare alle strutture regionalizzate dell’attuale Agenzia delle Entrate un sistema di esazione del tutto simile a quello nazionale (Equitalia, Commissioni Tributarie, ecc.) ma regionalizzato se non vorranno che fare continuo ricorso allo Stato Centrale (con i suoi tempi). Uno Stato centrale tra l’altro sempre meno interessato a svolgere il ruolo del “cattivo conto terzi” e la cui centralità è e sarà continuamente messa in discussione.
Se per lo Stato centrale è difficile riscuotere le imposte per uno stato parcellizzato diverrà quasi impossibile e sarà costretto a far pagare di volta in volta i singoli servizi per garantire il funzionamento delle strutture pubbliche, con un venir meno di quei servizi totalmente pubblici che non è agevole sottoporre a tariffa (come la pulizia delle strade, la loro manutenzione, ecc.).
Un grosso passo indietro nella storia.
In Bulgaria, dove non navigano nell’oro ed il sistema fiscale non è del tutto funzionante (anche perché prima – con il comunismo – quasi non esisteva), la manutenzione dei marciapiedi è affidata ai negozianti con il risultato che i marciapiedi sono un patchwork assurdo di materiali (con qualche buca qua e la).
Ho paura che si finirà anche da noi, in qualche quartiere, a dover rinunciare del tutto ai marciapiedi…..
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