Travolti dalle intercettazioni, ci dimentichiamo della Giustizia

di Gianmario Mariniello

Come al solito, in Italia, guardiamo il dito e non la luna.
Il problema delle intercettazioni è secondario rispetto a tutta una serie di questioni di gran lunga più importanti.
Andiamo per ordine: le indagini. Con la riforma del codice di procedura penale del 1989, “Il poliziotto non può più interrogare i testimoni se non su delega del PM. Non fa più le indagini di propria iniziativa. Non ha più lo strumento del fermo di polizia”, ci ricorda il Capo della Polizia, Antonio Manganelli. Con la conseguenza che le intercettazioni divengono per le forze dell’ordine l’unico strumento utilizzabile. Ed ecco che l’abuso diviene fisiologico.
Il tempo del processo. Il ddl all’esame della commissione Giustizia del Senato, prevede il divieto di pubblicazione delle intercettazioni “fino al termine dell’udienza preliminare”. La norma potrebbe pure andare bene, ma spesso per arrivare al termine dell’udienza preliminare ci vogliono anni. Il problema è dunque innanzitutto la durata del processo penale, non (solo) la pubblicazione delle intercettazioni.
I giornali. Ha ragione Giuliano Ferrara quando dalle colonne de Il Foglio scrive: “Chiunque legga una decina di giornali stranieri non è mai incappato nelle lenzuolate di intercettazioni”. Vietare anche il mero riassunto delle intercettazioni è un errore, sia chiaro. Però bisogna pure ammettere che i giornali italiani hanno esagerato. I giornalisti diranno “vero, ma se ci danno le intercettazioni, noi le pubblichiamo”. Giusto. E qui arriviamo a un altro punto: la fuga di notizie.
Oggi Gaetano Pecorella, sul Corriere, rilancia una vecchia legge approvata la scorsa legislatura (all’unanimità) solo dalla Camera: “è il PM a rispondere del suo archivio: se escono le notizie, la responsabilità è da attribuire all’incuria del magistrato”. Potrebbe essere una soluzione. Oggi si apre fascicolo contro ignoti e tutto finisce nel dimenticatoio. D’altronde è difficile vedere un PM che indaga e incrimina un suo collega. E questa storia ci ricollega al primo punto.
Poi c’è il problema dei reati “collegati”. Va bene il “doppio binario” a favore delle indagini su mafia e terrorismo (non vi sono limiti alle intercettazioni), ma nel caso dei reati ambientali (spesso realizzati dalle Ecomafie), aspettare “i gravi indizi di reato” per avviare le intercettazioni è come chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati.
Come è chiaro, le intercettazioni sono solo parte di un problema (la Giustizia) che attende da anni una doverosa riforma complessiva.

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