Narducci (PD) sulla conversione del decreto: No a proroga scadenza dei Comites e CGIE

Oggi in Aula è iniziato il dibattito sull’Atto Camera 344, un testo in cui è contenuto un dispositivo per il rinvio delle elezioni del Comites e del CGIE e un altro dispositivo concernente le immunità degli Stati in caso di azioni giudiziarie in atto sul territorio italiano.

Due provvedimenti completamente diversi l’uno dall’altro e ritenuti troppo frettolosamente urgenti dal Governo. L’on. Narducci, che è il primo firmatario dell’emendamento soppressivo dell’articolo che proroga i Comites e il CGIE, nel suo intervento ha invitato ad una riflessione pacata nell’interesse della comunità italiana intera e degli italiani nel mondo che chiedono di rinnovare gli organismi di rappresentanza secondo la naturale scadenza. Qui di seguito l’intervento integrale dell’on. Narducci.

Mi sono iscritto a parlare nella discussione generale sul decreto legge in esame mosso dall’attenzione che mi deriva dall’essere un parlamentare eletto dalle comunità all’estero, nonché dalla più che trentennale condivisione delle battaglie che i nostri connazionali all’estero hanno combattuto per i più elementari diritti di cittadinanza, tra i quali si annoverano in particolare il diritto alla rappresentanza e dunque alla possibilità di incidere su questioni fondamentali quali la democratizzazione degli uffici consolari e l’erogazione dei servizi ai cittadini, l’integrazione sociale e professionale nel paese di accoglienza, il successo scolastico dei figli degli italiani, la lotta alla marginalizzazione che molto spesso è insita nella condizione di migrante, e all’affermazione di quel sistema Italia all’estero, che è sempre esistito ma che con i progressi fatti registrare ovunque dalle nostre comunità emigrate ha bisogno di un’articolazione sistemica per essere ancora una volta risorsa di strategica importanza per l’Italia e soprattutto per esserlo ancora in futuro.

Ora io credo che non sfugga a tutti noi il ruolo fondamentale che hanno avuto gli organismi di rappresentanza di base – riformati e ribattezzati più volte, Comitati consolari di coordinamento, Comitati emigrati italiani, fino all’attuale acronimo di Comites cioè Comitati italiani all’estero – e il Consiglio generale degli italiani all’estero (CGIE) nel portare avanti le rivendicazioni sopra menzionate e nel perseguire il fondamentale obiettivo di promuovere e valorizzare la presenza così numerosa dei nostri concittadini residenti all’estero e della diaspora italiana nel mondo che conta oltre 60 milioni di persone con origini italiane.

Un anno fa si sarebbe dovuto procedere al rinnovo dei Comites indicendo le elezioni per il loro rinnovo, ma nonostante le innumerevoli prese di posizione espresse in primis dai Comites stessi e dal CGIE, la maggioranza di Governo fece una scelta sbagliata come dimostra il fatto che oggi siamo qui a discutere un ulteriore decreto di proroga che addirittura potrebbe allungare il mandato degli eletti fino a otto anni, cioè fino al 2012.

Sarebbe facile per noi dell’opposizione, che in ogni occasione che ci è stata data abbiamo contrastato le soluzioni restrittive messe in campo da maggioranza e governo, cavalcare oggi le dure e inequivocabili prese di posizione assunte a larghissima maggioranza dal più alto organismo di rappresentanza degli italiani all’estero, il CGIE, sfociate nella contestazione bipartisan al Sottosegretario Mantica in occasione della recente assemblea, e di molti Comites esausti per il protrarsi della scadenza fissata per le elezioni. Ma pur condividendone affermazioni e preoccupazioni, preferiamo, soprattutto in un momento di così teso confronto, impegnarci fino in fondo in uno sforzo di ragionevolezza e chiedere che anche gli altri, a partire dai responsabili di governo in materia, facciano altrettanto.

Nessuno può far finta di non sentire la voce di forte disagio che si è levata dai rappresentanti di tutte le comunità sparse per il mondo senza distinzione di orientamento politico e culturale. Peggio ancora, nessuno che voglia onorare la sua responsabilità istituzionale può considerare le conclusioni cui è pervenuto il CGIE come un tentativo di estrema difesa di situazioni del passato o, peggio ancora, come uno scatto di autoconservazione. Semmai, quelle prese di posizioni possono essere l’occasione da molti attesa per riorganizzare trasversalmente le forze e per rilanciare l’impegno per una politica attiva e moderna verso le comunità all’estero, che incominci a parlare un linguaggio diverso dai tagli indiscriminati e dall’emarginazione di una realtà considerata ingiustamente residuale. Insomma non dovremmo correre il rischio di manzoniana memoria dei capponi di Renzo che si beccavano tra loro mentre si compiva il loro destino.

Dunque pur auspicando un dibattito franco, vorremmo convincere i colleghi della maggioranza sugli effetti deleteri di questa nuova proroga con cui si rischia evidentemente di affossare definitivamente i COMITES, facendoli morire per affaticamento e mancanza di carica propulsiva. I Comites sono, come noto, basati sulla volontarietà dell'impegno da parte degli eletti, tanto più non si può strapazzare il loro senso di responsabilità prolungandone all’infinito l’impegno stesso.

Abbiamo sostenuto fin dal dibattito sulla finanziaria 2010 che la legge attuale è stata promulgata soltanto a fine 2003 e che è stata applicata per la prima volta nel 2004 allorquando si poté anche sperimentare il voto per corrispondenza che diede buona prova di se facendo accrescere notevolmente la partecipazione dei nostri connazionali al voto. Per inciso va anche detto che vi sono ampi margini per una migliore applicazione della legge, purché le rappresentanze consolari e diplomatiche mostrino più attenzione e interesse verso una reale cooperazione e valorizzazione degli organismi di rappresentanza e quindi alla promozione delle nostre comunità all’estero. Per tutte queste ragioni avevamo chiesto con forza che si indicessero le elezioni, ritenendo che non si può prorogare la democrazia, ponendo con ciò le basi per una riforma ponderata del CGIE avendo davanti un orizzonte di tempo meno affannoso. Perché non è vero che questo organismo ha fatto il suo tempo come sostengono alcuni che probabilmente non hanno piena contezza delle complessità che caratterizzano il mondo degli italiani all’estero. Viviamo un tempo di grandi trasformazioni che si susseguono a grande velocità e sicuramente anche il CGIE deve essere riformato, ma senza minarne le potenzialità e il ruolo che deve avere. E a quelli che vorrebbero abolirlo in nome di una rappresentanza affidata esclusivamente ai parlamentari eletti all’estero vorrei dire che in Italia nessuno propone di abolire i Comuni o le Regioni e di affidare la rappresentanza dei cittadini al solo Parlamento.

In Commissione affari esteri il Partito Democratico ha chiesto ai colleghi ed al Governo di lavorare affinché la proroga per lo svolgimento delle elezioni sia fissata tutt’al più al 30 giugno del 2011; ma poiché l’appello non è stato accolto il nostro gruppo ho presentato un emendamento soppressivo dell’articolo che proroga la durata di tali organismi fino al 31 dicembre del 2012.

Le nostre comunità all'estero ci chiedono in maniera inequivocabile di salvaguardare e di aiutare il funzionamento delle strutture di rappresentanza intermedie come Comites e CGIE anche intensificando la collaborazione con gli eletti all'estero. Ce lo chiedono sottolineando che questi organismi sono parte essenziale di quelle politiche migratorie che il nostro Paese dovrebbe assicurare come quelle della promozione della lingua e cultura italiana, dell'assistenza agli indigenti, della valorizzazione delle nuove mobilità professionali che sempre più frequentemente s’incontrano nelle grandi città europee, del collegamento sinergico con l’imprenditoria sviluppata all’estero dai nostri concittadini emigrati, del turismo di ritorno.

Signora Presidente, avviandomi a conclusione non posso esimermi dal sottolineare lo strano connubio che caratterizza questo decreto, contenendo esso due provvedimenti così diversi l’uno dall’altro, come si evince già nel titolo, dei quali non ravviso l’urgenza come sostenuto dal Governo.

I colleghi che mi hanno preceduto, in particolare l’on. Barbi che ha illustrato esaustivamente le perplessità del nostro gruppo su questo dispositivo, alle quali mi associo pienamente, hanno messo a fuoco la situazione che riguarda i 600mila internati militari italiani in Germania nel periodo compreso tra il 1943 ed il 1945, quando i due Paesi ex-alleati si ritrovarono repentinamente su opposti fronti. Come per altro noto sono ben cinquanta le cause contro la Germania attualmente pendenti davanti ai tribunali italiani, intentate da vittime di quel periodo nefasto, ed è altrettanto noto che la Germania e la Corte di Cassazione italiana muovono da posizioni giuridiche nettamente contrastanti relativamente all’ammissibilità di tali cause.

Il Governo italiano, con questo decreto, ha voluto probabilmente evitare che si inasprisse il contenzioso con la Germaniama personalmente ritengo che esso sia criticabile sotto molteplici punti.

Ritengo che sarebbe auspicabile un riordino organico della disciplina italiana sull’immunità della giurisdizione degli Stati stranieri, che preveda anche la ratifica della Convenzione ONU sull'immunità giurisdizionale degli Stati e dei loro beni del 2005.

Si tratta di argomentazioni che non possono essere ignorate e che attengono al diritto internazionale. Altro discorso è la valenza politica di un intervento normativo d'iniziativa governativa che potrebbe avere il valore di “tranquillizzare” la Germania sulla volontà politica di non arrecarle pregiudizi, malgrado i procedimenti in corso.

Il Governo, tuttavia, non può ignorare i precedenti giurisdizionali che vanno nella direzione del venir meno dell'immunità nel caso di violazione di norme imperative di diritto internazionale (ius cogens),quali le violazione dei diritti umani fondamentali perpetrate in occasione dei massacri compiuti in Grecia durante la seconda guerra mondiale. Anche se sarà la CIG a dire l'ultima parola sul punto e la sospensione dei provvedimenti esecutivi ha carattere meramente temporaneo. Soprattutto, il Governo nell'utilizzare gli strumenti normativi più adeguati al raggiungimento dei suoi fini non può ignorare l'evoluzione normativa interna e lo sviluppo progressivo del diritto internazionale. Senza contare che l'Italia potrebbe a sua volta non essere del tutto immune da procedimenti esecutivi simili a quello che ha riguardato la Germania.

Signor Presidente, non bisogna lasciarsi andare a misure frettolose come quelle contenute in questo decreto che danno l’impressione di gestire l’immediato senza porsi un orizzonte più ampio. Vorremmo capire se il Governo vuole realizzare politiche per il futuro, politiche in cui la grande comunità italiana all’estero ha un valore. Se si vuole guardare al futuro della nostra comunità bisogna fermarsi e studiare le situazione per capire le priorità; solo così si potrà affrontare il problema in maniera organica e far sentire al cittadino all’estero la presenza di uno Stato attento che guarda oltre i propri confini nazionali.

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