Riconoscere la minoranza nel Pdl. Per evitare il divorzio Fini-Berlusconi

di Italo Bocchino

Dopo la direzione nazionale di giovedì scorso e le parole di Fini di ieri si può avviare una pausa di riflessione per individuare quale percorso deve avviarsi nel Pdl. Berlusconi in direzione nazionale ha cercato di far emergere un partito in cui Fini era uno dei tanti, ma l’operazione è fallita. Agli occhi di tutti è emerso che il partito ha due forti personalità che devono trovare un equilibrio, con buona pace degli altri cofondatori che Berlusconi voleva promuovere sul campo (portatori di importanti culture politiche e di consensi, ma diversi da Fini) e degli ex colonnelli di Alleanza Nazionale.

Ieri Fini ha però chiarito che riconosce e rispetta la leadership di Berlusconi e chiede di discutere e di evitare l’appiattimento sulla Lega, dando inoltre più attenzione alle questioni economico-sociali e al Sud. Ha inoltre ribadito lealtà al partito e al governo, ha escluso l’ipotesi di scissione e ha consigliato di non dar vita a epurazioni, incompatibili con un partito che si chiama Popolo della Libertà, e di non parlare di ricorso alle urne.

Detto questo adesso occorre riflettere su che sviluppo può avere questa nuova fase del Pdl. E’ innegabile che c’è una crisi in corso, profonda ed esplicita, tra fondatore e cofondatore e che somiglia a una crisi coniugale. Dopo 16 anni circa di vita comune Berlusconi e Fini sono vicini alla rottura e gli scenari possibili sono quattro, come accade per i matrimoni: divorzio rovinoso, separazione consensuale, separazione in casa o ritorno alla vita coniugale.

L’ultima ipotesi prevede che schiocchi la scintilla e ritorni l’amore. Mai dire mai, ma appare assai improbabile che accada. La prima è la peggiore perché il divorzio rovinoso sarebbe la fine del Pdl, del governo e della legislatura, con l’altissimo rischio di vedere la sinistra al governo nonostante la sua incapacità di avere consensi e di governare.

Restano le ipotesi di separazione, con quella consensuale certamente meno traumatica del divorzio, ma comunque letale per il Pdl. Il nuovo partito del centrodestra, infatti, si fonda sulla convergenza tra Forza Italia e Alleanza Nazionale, ma anche tra Berlusconi e Fini e l’assorbimento in maggioranza degli ex colonnelli di An serve come maquillage, ma non risolve i problemi che una rottura con Fini creerebbe a Berlusconi anche in termini di consensi per quel che il presidente della Camera rappresenta nel paese e nella destra e che in tempi brevi e medi non è rimpiazzabile.

Resta una soluzione soltanto, la separazione in casa, che è poi una dinamica normale in ogni grande partito democratico. Vivere da separati in casa altro non è che dividersi in maggioranza e minoranza, con una veloce convocazione del congresso e regole certe per la convivenza, stabilendo con chiarezza che la minoranza non può sabotare partito e governo e che la minoranza ha diritto a veder dibattute le sue proposte nelle sedi di partito e a vedersi proporzionalmente rappresentata e tutelata negli spazi politici.

Nel partito carismatico simile a Forza Italia che il Pdl stava diventando fino a giovedì scorso una dinamica del genere appariva impossibile, ma adesso è l’unica strada per chi vuole evitare lo sfascio. Si tratta di costruire il grande partito democratico del centrodestra dove devono convivere sotto la leadership di Berlusconi due anime, una delle quali è la destra di Fini, attenta all’unità nazionale, alla coesione socio-economica, alla sicurezza, alla legalità, simile alle destre europee e occidentali e quindi attenta alle evoluzioni delle società moderne. La sfida è questa e spetta a Berlusconi accettarla, scegliendo tra la scorciatoia del partito carismatico e la strada più lunga e tortuosa, ma più fruttuosa, del grande partito plurale e democratico.

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