Intervento della sen. Donatella Poretti, Radicali-Pd
Mentre al ministero della Giustizia il ministro riunisce tutti gli ordini e le corporazioni chiedendo loro come vorrebbero le leggi che li riguardano, mentre l'interesse pubblico della generalita' dei cittadini viene evidentemente dopo quello delle corporazioni, in aula al Senato si fanno le prove generali con il ddl 601 della Riforma forense. Un testo voluto dall'ordine e dal Consiglio Nazionale forense contro la legislazione europea, contro le regole del mercato e contro i cittadini e gli utenti. Dalla prossima settimana si esamineranno gli emendamenti, mentre da ieri si e' aperto il dibattito generale. Di seguito il mio intervento incentrato sull'illiberalita' di questo disegno di legge e l'incompatibilita' di una norma nell'ambito dell'Unione Europea.
PORETTI (PD). Signor Presidente, lei sottolinea che ho a disposizione venti minuti, ma non è che sono un caso singolare: è una delle poche occasioni in cui quest'Aula si trova a discutere senza avere i tempi contingentati, quindi ciascun senatore può liberamente intervenire fino ad un tempo massimo di venti minuti. Non bisogna essere obbligatoriamente prolissi, anzi, la sintesi spesso è un buon dono; ciò non vuol dire che se occorre argomentare maggiormente le proprie tesi e vi sono motivazioni che spingono ad intervenire, credo che questa sia una delle poche occasioni dove il non contingentamento dei tempi dà a quest'Aula l'occasione di essere davvero Parlamento, nel senso di poter parlare ed intervenire sull'argomento.
Stiamo discutendo della riforma dell'ordine forense. Riforma forse è una parola che mal si addice al testo che andiamo ad esaminare; controriforma forse già potrebbe essere più idoneo come termine. Perché dico controriforma? L'accenno alla data del testo che andiamo a rivedere ormai lo abbiamo già fatto.
Se consultiamo il dossier del Servizio studi del Senato, si nota come l'Italia arrivi ben ultima nel rivedere un testo di legge che risale al 1934. Se guardiamo la prima parte del dossier elaborato dal Servizio studi del Senato, vediamo come i Paesi a noi vicini e membri, come noi, dell'Unione europea siano intervenuti in altri anni: l'Inghilterra e il Galles nel 1990 e nel 1999. Nel 2004 si tutelano ulteriormente i consumatori, quelli che poi si rivolgono agli avvocati. La Spagna ha delle leggi del 1995, ma interviene anche nel 2001 con lo statuto generale dell'avvocatura spagnola; la Francia ha una legge del 1971, ma sopravvengono ulteriori modifiche nel 1991, nel 2004, nel 2005; la Germania interviene in materia nel 2007.
Noi nel 2010 incredibilmente facciamo un'operazione che, secondo me, ha quasi del grottesco perché è quasi una parodia del regime fascista. Nel 1934 c'era il fascismo e c'era Mussolini che decideva di ordinare, dirigere e gestire la società dei fasci e delle corporazioni e, in qualche modo, di indirizzarla. Nel 2010 abbiamo una situazione praticamente inversa, dove i fasci e le corporazioni – in questo caso gli ordini – dettano la legge al Parlamento. Non lo dico io, ma il relatore Valentino che è intervenuto in Aula la scorsa settimana dicendo: «È accaduto qualcosa, signor Presidente, che a mia memoria – ormai da qualche anno siedo in questi banchi – non ricordo sia mai avvenuto prima.
Addirittura il Consiglio nazionale forense, l'organo istituzionale più alto dell'avvocatura, ha ritenuto doveroso e opportuno – questo ci lusinga molto – prendere una intera pagina di grandi quotidiani a tiratura nazionale per dire che il documento licenziato dalla Commissione giustizia del Senato, riguardante il nuovo ordinamento forense, è apprezzabile e condiviso, un documento del quale si auspica la celere definizione. Reputo questo un motivo di grande soddisfazione».
Io, invece, non reputo motivo di soddisfazione il fatto che un ordine ci consegni un testo e noi, come Parlamento, lo prendiamo, lo recepiamo e ne facciamo una legge. Nel frattempo, infatti, la Camera dei fasci e delle corporazioni è stata abolita e siamo in uno Stato democratico (forse sarebbe più adeguato in questo caso definirlo partitocratico), facciamo parte dell'Unione europea e poi viviamo in un contesto più aperto. A livello internazionale, quindi, sarebbe forse utile confrontarsi con le altre legislazioni per vedere come gli altri Paesi hanno affrontato questa materia, anche perché nel mondo dei liberi scambi avviene che, nonostante in Italia esistano oltre 220.000 avvocati, andiamo perfino ad importare la consulenza legale dall'estero. Qualche dubbio, quindi, sul fatto che non siamo più negli anni nel fascismo forse ci dovrebbe davvero venire.
Al di là delle date delle leggi che citavo prima, nel dossier del Servizio studi del Senato si trova anche un buon riassunto su come Inghilterra, Galles, Spagna, Francia e Germania affrontino i punti nodali che sono già emersi fino ad oggi. Come è organizzata dunque questa libera professione? Esistono dei professionisti, delle società di persone, ma anche di capitali; esistono dei liberi professionisti, ma anche degli avvocati che svolgono la loro attività come lavoro subordinato. Ciò accade in Inghilterra, in Galles, in Spagna, in Francia ed in Germania, anche se lì le forme societarie sono meno diffuse, poiché non sono previste le società di capitale.
In tutti i Paesi menzionati esiste la possibilità di fare della pubblicità. In Italia, invece, decidiamo che la pubblicità, anima del commercio, in questo caso non si possa utilizzare, perché non si tratta certo di commercio! Basterebbe semplicemente far rispettare la normativa generale in materia di pubblicità, ma sembra che la parola pubblicità sia sconveniente se abbinata al lavoro del libero professionista. Ma perché mai lo è?
Ricordo che è vero che in Italia ci sono tanti avvocati, ma la necessità da parte dei cittadini di avere consulenze legali e supporti di tipo legale e stragiudiziale è enorme, tanto è vero che esistono associazioni di consumatori, patronati, sindacati; addirittura a breve – come certo saprete tutti benissimo – apriranno dei veri e propri negozi, delle botteghe giuridiche con la scritta su strada, con una vetrina: ogni persona entrando vede il tariffario, chiede una consulenza ed esce con la sua consulenza. Gli avvocati dovranno pure chiedersi perché quella consulenza non venga chiesta a loro, ma in un negozio, per strada.
E pensate che la risposta possa essere rappresentata da un provvedimento che chiude l'accesso alla professione? Questo forse poteva accadere nel 1934, ma è il caso di chiedersi se abbia un senso nel 2010.
Scorrendo il dossier del Servizio studi del Senato, ci si rende conto che in tema di tariffe siamo sotto osservazione da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee da anni. Continuiamo ad accumulare sentenze, continuano ad essere aperte nuove procedure nei confronti del nostro Paese, ma non vi è alcun tentativo da parte nostra di adeguarci alle decisioni assunte da tutti gli altri Paesi europei. L'Unione europea è già intervenuta per ribadire come armonizzare le modalità di accesso e di esercizio della professione forense fra tutti i Paesi, ma noi ci chiudiamo a riccio e poniamo ostacoli e gabelli che lo rendono un percorso ad ostacoli difficilissimo per scoraggiare. Si poteva dire nel disegno di legge che in Italia non deve esistere più di un certo numero di avvocati, stabilendo un numero fisso e dicendo chiaramente che la torta da spartire era quella.
Ma non funziona così. Soprattutto perché in questo modo forse si può tutelare il numero di avvocati a cui si decide di permettere la loro esistenza. Vien da chiedersi: ma facciamo una legge per permettere l'esistenza degli avvocati, o nell'interesse di tutti i cittadini? È così che si tutela un cittadino che ri rivolge ad un avvocato e che vorrebbe avvalersi di un buon professionista? Come fa il cittadino a scegliere, in un mercato così organizzato, il buon professionista? Siamo certi poi che attraverso tariffe uguali per tutti si garantisca un buon servizio? Che disponendo di tariffe minime e di tariffe massime il cittadino sia tutelato? Anzi, mi correggo. Per le tariffe massime prevedete la possibilità che l'eccezione si possa fare, ma non per le tariffe minime.
È abbastanza scontato e banale che qui si vada a toccare l'impossibilità per un giovane avvocato di entrare, di farsi dei clienti e di poter iniziare la sua attività. Sulle tariffe siamo in osservazione dal 2002, da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea di Lussemburgo, eppure continuiamo su questa strada.
Abbiamo, anzi avete esaminato il disegno di legge in Commissione giustizia: anche in questo caso sollevo un dubbio sul metodo, chiedendo se esso fosse davvero di competenza della sola Commissione giustizia. La Commissione lavoro su questo tema davvero non esiste? La professione dell'avvocato non può essere affrontata anche come professione, come lavoro? È un'entità astratta che deve essere esaminata nella sola Commissione giustizia? L'Autorità antitrust vi ha mandato una serie di osservazioni lunghissime e approfondite, ma non c'è stato nessun approfondimento su quelle segnalazioni.
Che cos'è l'Antitrust: un partito di opposizione che non può essere preso in considerazione? Se davvero continuiamo a disattendere completamente e a non prestare mai la benché minima attenzione alle segnalazioni dell'Autorità antitrust, credo sarebbe utile che il Governo e la maggioranza considerino seriamente l'opportunità di abolirla. Altrimenti che utilità ha un'autorità indipendente che viene presa in considerazione solo se esprime un parere conforme a quello della maggioranza e del Governo? Credo che la sua inutilità sarebbe davvero scritta.
Abbiamo trasformato il parere dell'Antitrust in una serie di ordini del giorno, che interviene meticolosamente, articolo per articolo: mi chiedo come il Governo intenderà porsi di fronte a un dispositivo banale, come quello con cui gli si chiede di prendere in considerazione gli appunti che fa l'Antitrust sull'accesso alla professione, sul Consiglio nazionale forense e su quanta potestà di regolamentazione è rimasta in capo ad esso, sulle associazioni multidisciplinari, sulle incompatibilità, sulle tariffe, sulla pubblicità, sulle specializzazioni e sulle rigidità ancora una volta del Consiglio nazionale forense. Mi chiedo se davvero il Governo – e già inizio a sollecitarlo – non ha alcuna intenzione di prendere in seria considerazione tutti questi appunti fatti dall'Antitrust.
Siccome quelli in esame sono disegni di legge di iniziativa parlamentare, e visto che per ora la Commissione parlamentare non ha tenuto in alcun conto tali osservazioni, considerandole come una «letterina» spedita da un qualsiasi cittadino per segnalare alcune criticità di un disegno di legge, mi auguro che almeno il Governo le prenda in considerazione. Non sono particolarmente ottimista, anche perché sappiamo bene che domani, proprio al Ministero della giustizia, sono stati organizzati gli stati generali delle corporazioni. È una definizione forse un po' di parte, ma di questo si tratta, degli stati generali degli ordini professionali e quindi delle corporazioni. Tra l'altro, colgo l'occasione per ricordare che domattina alle ore 10 «Radicali italiani» organizzerà un presidio proprio davanti al Ministero della giustizia contro gli stati generali delle corporazioni, perché le professioni siano davvero libere.
Su questo argomento stiamo preparando degli emendamenti. Tra l'altro, è slittato ulteriormente il termine per la loro presentazione, e mi auguro che ciò sia di buon auspicio, nel senso che si stia iniziando a riflettere su che tipo di disegno di legge si stava predisponendo. Non tutta l'avvocatura, come segnalava il relatore Valentino, è d'accordo sul disegno di legge in esame. Anche se il Consiglio nazionale forense ha avuto il buon gusto di spendere dei soldi per fare pubblicità al disegno di legge in discussione, in realtà non tutti gli avvocati e non tutti i liberi professionisti concordano su tale testo; basta andare su Internet, in particolare su Facebook, per verificarlo. Credo infatti che sia utile aprire quest'Aula alle riflessioni e alle argomentazioni di tanti giovani avvocati che stanno segnalando le criticità del disegno di legge in esame.
Con Irene Testa abbiamo aperto un gruppo e l'abbiamo chiamato «Opposizione radicale in Parlamento contro la (contro)Riforma Forense»; ebbene, ad esso hanno già aderito diversi gruppi. Vi do questa informazione, che non vuol significare che bisogna fare una legge scritta su Facebook: credo tuttavia che anche questi siano appunti utili al dibattito e alla discussione, e che le pagine del Consiglio nazionale forense non rappresentino tutta l'avvocatura e tutti i professionisti. Ricordo che ci sono tanti professionisti non iscritti all'ordine, quindi a maggior ragione bisognerebbe sentirli; ci sono inoltre i poveri cittadini, utenti e consumatori della giustizia, che pure dovrebbero avere voce in capitolo. Al gruppo a cui ho fatto riferimento hanno già aderito: Unione Giovani Avvocati Italiani, con 2.243 contatti (ricordo che per contatti si intendono delle persone); Consulta Studenti Giurisprudenza Ugai, con 810 contatti; Universitari Giurisprudenza Studenti Legge, con 1.969
contatti; Avvocato Legale Avvocati Legali, con 1.080 contatti; Unione Giovani Avvocati Italiani; ForumGiovani Avvocati, con 1.762 contatti; i Giovaniavvocati Praticantavvocato, con 2.024 contatti; Rompiamo il muro.
Con i nostri emendamenti cercheremo di ridurre il danno prodotto dal disegno di legge in discussione, ma il danno sta nell'impianto, sta nell'articolo 2, quando si prevede: “L'iscrizione a un albo circondariale è condizione per l'esercizio della professione di avvocato”. È quindi l'iscrizione all'albo che dà titolo per esercitare, non l'avere studiato all'università ed avere superato l'esame di Stato. È l'ordine che dà la patente per potersi dire avvocato. Si va avanti nell'assurdo quando, all'articolo 22, si legge: «Il Consiglio nazionale forense e gli ordini circondariali sono enti pubblici non economici a carattere associativo istituiti per garantire il rispetto dei princìpi previsti dalla presente legge e delle regole deontologiche. Essi hanno prevalente finalità di tutela della utenza…». Come si fa a pensare che un'associazione di avvocati abbia come finalità prevalente quella di tutelare tutti gli altri, tutti quelli che non sono iscritti a quell'ordine? È
normale che un ordine, un'associazione, una corporazione tuteli i propri iscritti; non si può pensare che non si tutelino i propri iscritti, ma gli altri, quelli che, caso mai, hanno da presentare delle lamentele. Qualcuno ha mai provato a rivolgersi all'ordine per far presente che un avvocato ha chiesto una parcella esorbitante? Qualcuno ha mai tentato di fare una causa ad un avvocato in questo modo?
È normale che l'ordine cerchi di tutelare i propri iscritti anche perché… (Il microfono si disattiva automaticamente).
PRESIDENTE. Senatrice Poretti, deve concludere.
PORETTI (PD). Mi auguro, quindi, che queste ore servano ancora a riflettere e a rimettere in discussione il provvedimento al nostro esame.
Qui il comunicato di presentazione degli emendamenti:
http://blog.donatellaporetti.it/?p=1323