I manifesti di Formigoni: il corpo mistico del Potere

Pubblichiamo l'editoriale che apre il nuovo numero di “Duellanti”, la rivista di cinema diretta da Gianni Canova, in edicola da questa settimana.

di Gianni Canova

Circola un’idea di Potere abbastanza inquietante tra gli uomini di potere (o al potere) nell’Italia di oggi. La si vede (o la si intravede…) chiaramente (o oscuramente?) nel rapporto che essi hanno con le immagini. O nel modo in cui le usano, le immagini. O, più ancora, nel modo in cui si fanno (o cercano di farsi) essi stessi immagine.

Prendete il caso del governatore della Regione Lombardia Roberto Formigoni, ricandidato a ricoprire il suo ruolo di potere alla guida della Regione per il quarto mandato consecutivo (un ventennio: un po’ sinistro, non vi pare?). Per la sua campagna elettorale, Formigoni ha scelto di addobbare le strade e le piazze di Lombardia con una gigantografia in cui la sua effigie si forma – come in una sorta di puzzle in equilibrio visivo su una dissolvenza incrociata – attraverso l’accostamento di centinaia e centinaia di foto-tessere che rappresentano evidentemente cittadini e/o elettori lombardi.

Dal punto di vista del Governatore, l’intento comunicativo è abbastanza palese: Formigoni presenta se stesso come la sintesi di coloro che lo votano. Meglio: come il corpo mistico che sussume in sé la soggettività di quel popolo sovrano che ancora una volta si accinge a scegliere di farsi rappresentare da Lui. E’ un’idea del Potere che sta fra il cristologico e l’assolutistico. Cioè – modernissimamente, no? – fra Ratzinger e Richelieu: il corpo del sovrano trascende i sudditi, li incarna, si genera in essi e da essi. Lo slogan che accompagna l’immagine recita “Uno di noi”. Ma forse, sarebbe stato più corretto dire: “tutti noi in uno”. “Tutti noi in LUI”.

Proviamo a rovesciare il punto di vista e a guardare la stessa immagine non nella prospettiva del Governatore che in essa si autorappresenta, ma dal punto di vista di uno qualsiasi di quei NOI che nel manifesto vengono evocati. Ora: a me sembra evidente che per generare il viso del capo/sovrano, i sudditi scompaiono. Non hanno più identità. Sono pure tessere anonime di un puzzle che li schiaccia. Buone tutt’al più per il televoto. Push the Button, e via. A reti unificate. Il Potere non è espressione della volontà dei sudditi: il Potere afferma se stesso e si rende visibile annichilendo i sudditi. Deprivandoli di ogni riconoscibilità, identità, soggettività.

Potrebbe esserci chiunque, in quel puzzle. Chiunque ci sia, non lo si vede. Perché al Potere non interessa CHI schiaccia i pulsante del televoto, ma QUANTI l’hanno schiacciato. E invece, forse, bisognerebbe ricominciare a prendersi cura del CHI. Provare a andare a vedere CHI c’è in quella immagine. Come è fatto. Come sono/siamo fatti. Se si prende una lente e si prova ad andare a guardare da vicino le facce che il Capo/Re/Dio ha un po’ vampirirescamente risucchiato in sé, si scopre ad esempio che si fa fatica a trovare un volto, uno solo – magari c’è anche, ma io non l’ho trovato – che non sia di razza bianca. Tutti della stessa etnia, insomma, le tessere del corpo mistico di colui che si accinge a rigovernare per volontà del popolo sovrano.

Vuoi vedere che se vai a vedere un po’ meglio come sono fatte le immagini, scopri che quel che voleva sembrare Dio è, tutt’al più, soltanto un idolo pagano? Meglio: un idolo padano.

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