di Massimo Donadi
C’è una cosa che proprio non mi va proprio dall’inizio di questa vicenda e mi riferisco all’aria da integerrimo servitore dello Stato che Guido Bertolaso si è stampato in faccia e con la quale si presenta davanti a tutte le telecamere possibili ed immaginabili, nove volte su dieci con gli uomini della protezione civile che gli fanno da scenografia di contorno. Lo ha fatto anche ieri sera, a Porta a Porta, quando ha tirato fuori le lettere inviate lo scorso Natale ai suoi uomini, con cui li esortava ed ammoniva a resistere alla tentazione dei regali di Natale. Francamente viene da ridere.
Ribadisco, ancora una volta, che riguardo alle inchieste penali non ho nulla da dire e non voglio dire nulla. Sarà la magistratura a fare chiarezza. Anzi, per parte mia, auguro a Guido Bertolaso di uscire indenne dagli addebiti che gli vengono contestati. La questione che voglio porre qui, e che ho posto a lui ieri sera, è eminentemente politica ed etica.Mi domando come sia possibile che Guido Bertolaso, in nove anni, non abbia capito con chi aveva a che fare.
Come sia possibile che, un integerrimo servitore dello stato quale lui si dipinge, non si sia fatto saltare la mosca al naso di fronte alla disinvoltura di un personaggio scaltro e furbo come Angelo Balducci. Mi domando come sia possibile che il ministro Di Pietro ci abbia impiegato tre giorni a capire chi fosse Balducci e due per rimuoverlo dall’incarico prestigioso che rivestiva e Bertolaso in nove anni non si sia accorto di nulla. Mi domando come sia possibile che un integerrimo servitore dello Stato quale lui si dipinge possa avere frequentazioni così assidue con gli imprenditori coinvolti e quasi vantarsene.
Perché per prenotare quelle che lui definisce innocenti sessioni di fisioterapia debba chiamare al telefono l’imprenditore amico, proprietario del Salaria Sport village, procacciatore delle ormai note “ripassate” o “rilassate” con la fisioterapista brasiliana Monica.
Mi domando come sia possibile che colui che si definisce un integerrimo servitore dello Stato, severissimo con i suoi, possa aver favorito nella distribuzione degli appalti cognati, fratelli, parenti e via discorrendo.Come sia possibile che, quando a settembre dello scorso anno il settimanale l’Espresso scoperchiò la pentola della cupola d’affari, come le tre scimmiette, Bertolaso abbia fatto finta di niente e non abbia invece sentito il dovere morale e professionale, come un qualunque serio servitore dello stato avrebbe sentito, di prendere informazioni sulla cricca di affari intorno al G8 della Maddalena?
Quando penso alla figura del servitore dello Stato, mi viene in mente quando vent’anni fa, l’anziano avvocato con il quale studiavo mi raccontò un episodio della sua infanzia. Camminava con suo padre, a sua volta avvocato, per le strade di una cittadine veneta, e questi gli indicava i notabili de paese, il farmacista, il maresciallo dei carabinieri e via discorrendo. Tutti si profondevano in calorosi saluti. Finché non passò un signore che non parlava con nessuno e che a testa alta attraversava le strade della cittadina. Al passaggio di questo signore, il padre disse al figlio: “E questo è il procuratore della Repubblica, che non parla con nessuno e non saluta nessuno perché lui rappresenta lo Stato”. E’ questa l’immagine che preferisco serbare nella mia mente quando penso all’idea di un servitore dello Stato.