Natura La priorità planetaria è la tutela degli ecosistemi. Pochi gli impegni mantenuti. L'esperto avverte: «Il rischio che l'ambiente stia raggiungendo un punto di non ritorno per gli equilibri biotici è rimasto inascoltato dai mezzi d'informazione»
Nell'agenda ambientalista internazionale il 2009 doveva essere l'anno dell'accordo per il Clima. Poco di fatto. Il 2010 invece dovrebbe essere l'anno della biodiversità delle specie, per combattere l'estinzione in aumento di piante ed animali da un lato e la distruzione di ecosistemi e nicchie ecologiche che queste specie mantengono in equilibrio dall'altro.
Ma le premesse non sono delle migliori. Il target 2010 sulla biodiversità è stato solo parzialmente raggiunto denunciano associazioni e scienziati e la promozione del 2010 come anno della biodiversità stenta a decollare.
Adottato per la prima volta dai capi di Stato europei a Goteborg nel giugno, il testo dichiarava: “Il declino della biodiversità deve essere fermato entro il 2010”. Il tema viene rafforzato al World Summit on Sustainable Development di Johannesburg nel 2002 dove si sancisce che serve una riduzione del tasso di perdita della diversità biologica degli ecosistemi. Poi il nulla.
Il tema cade nel dimenticatoio delle agende nazionali e della stampa. Non significa che non si sia fatto nulla. Ministeri virtuosi, centri di ricerca ed associazioni continuano a portare avanti la lotta. Ma è mancato un supporto politico più largo e una consapevolezza condivisa.
L'Unione europea non si arrende e ci riprova. Il 28 gennaio a Madrid la presidenza di turno spagnola annuncia durante la conferenza Post-2010 Biodiversity Visioni e Obiettivi, il ruolo delle aree protette e dei network ecologici in Europa la necessità di “darsi nuovi obiettivi per fermare la biodiversità e fermare la degradazione dei servizi offerti dagli ecosistemi (mitigazione all'erosione, purificazione delle acque, prodotti primari, nda) entro il 2020”.
Il documento richiede ai partner europei una serie di impegni: applicazione delle direttive europee su uccelli ed habitat, completamento dei network Natura2000 e Emerald, azioni per la preservazione marina, lotta all'invasività delle specie aliene, integrazione dei saperi scientifici nei processi decisionali, contrasto alla deforestazione che avanza. Il 2010 sarà anche l'anno della decima Conferenza della parti sulla diversità biologica. Secondo l'Iucn, Unione internazionale per la conservazione della natura, il piano strategico della conferenza delle parti dovrà strutturare una visione per il 2050, rivedere gli obbiettivi per 2015/2020 ed individuare obbiettivi realistici e misurabili per il 2015 con una reportistica continua sui progressi di anno in anno.
Obiettivi ambiziosi che però non riflettono l'impegno di governi, amministrazioni e cittadini. Secondo SciDev, un network di informazione e ricerca scientifica, nonostante i pomposi annunci il tema biodiversità invece che incalzare i cittadini sta perdendo sempre più interesse tra il pubblico. Colpa del clima, dei media e del disinteresse qualunquista. Il mix del cocktail è variabile, ma gli ingredienti per SciDev sono questi.
L'allarme sul disinteresse per la salvaguardia della biodiversità è stato lanciato da Robert Watson, ex direttore del Pannello Intergovernamentale sul Cambiamento Climatico durante una conferenza sul tema a Londra. «Il rischio che l'ambiente stia raggiungendo un punto di non ritorno per quanto concerne gli equilibri biotici è rimasto pressoché inascoltato dai media», ha spiegato Watson. «Un'assenza sistematica – ha denunciato – su televisioni e giornali».
«Il problema non è mai stato comunicato a fondo o bene», spiega Andrea Bonisoli Alquati, ricercatore in ecologia animale per l'Università statale di Milano. «In Italia c'è la percezione che la natura è un passatempo per appassionati. Solo quando esistono ripercussioni immediate e visibili sulla salute, la gente si attiva. Andrebbe fatta più educazione nelle scuole e comunicazione sui media. Bisogna scegliere un messaggio forte, legato agli impatti economici. L'economia ambientale analizza il valore economico della biodiversità, sia di specie che di ambienti. La stabilità degli ecosistemi offre infatti una fornitura di servizi costante: le foreste ad esempio garantiscono l'assetto idrogeologico, la potabilizzazione dell'acqua, la liberazione da inquinanti di vario tipo, il sequestro del carbonio e via dicendo. Ogni ecosistema offre un servizio, un bene primario come risorsa, i cui equilibri non vanno incrinati oltre una certa soglia. Se dovessimo pagare questi servizi che sono molto preziosi, dovremmo sborsare cifre ingenti, pari a un multiplo del Pil italiano».
Un pool di scienziati, in un articolo di qualche anno fa pubblicato su Nature, ha stimato che l'intera biosfera produce servizi per un valore tra i 16 e i 54mila miliardi di dollari all'anno. Ma oggi potrebbero essere molti di più. Secondo un articolo su BioScience del 2007 gli ecosistemi più preziosi svolgono servizi per 200 mila dollari per chilometro quadrato all'anno. La biodiversità come assets del territorio e delle economie ad esso legate quindi potrebbe diventare un buon argomento nella comunicazione economica e in quella generalista. Mettendola in questi termini qualche orecchia di più potrebbe tendersi. Secondo Gaspare Caliri, del centro universitario bolognese Etnosemiotica, «il problema è che la comunicazione ambientale è spesso in bilico tra due tipi di discorso diversi: quello scientifico, che ha il suo impianto di giustificazioni teoriche e le sue narrazioni coerenti e quello politico, con giustificazioni etiche e narrazioni differenti. Il senso comune per interpretare e spiegare i fenomeni è costretto ad oscillare tra questi due mondi».
Con una conseguente perdita di efficacia sul grande pubblico.Se poi i maestri non danno il buon esempio è la fine. Il 5 febbraio il Telegraph ha svelato che l'Ue ha intenzione di riclassificare le piante per biocarburanti cresciute su terreni deforestati come “foreste”. «Uno sfregio alla biodiversità», spiega ancora Bonisoli «e un pessimo esempio ».
Intanto, in Italia il governo continua a parlare di nucleare come di un'energia pulita. E in troppi l'assecondano.
Emanuele Bompan da Terra