MARCO TRAVAGLIO: COERENZA O DISONESTA’?

Come mai, così puntiglioso e meticoloso nel riportare finanche il numero d'iscrizione alla loggia massonica P2 di Tizio, di Caio e di Sempronio, Marco Travaglio sembra aver vissuto e vivere su un altro pianeta di fronte ai fatti ed ai misfatti che qui di seguito si riportano?
1994: al filosofo Giovanni Gentile l’onore di figurare nella storia della filatelia della Repubblica Italiana, nella galleria dei personaggi e degli eventi che meritano di essere celebrati perché di essi resti una testimonianza non certo effimera.
Giovanni Gentile accanto a chi, come Salvo D’Acquisto, si fece fucilare dai tedeschi in cambio della vita di 22 ostaggi, accanto ad eventi come la deportazione degli ebrei romani, l’eccidio dei fratelli Cervi, l’eccidio di Marzabotto, l’eccidio delle Fosse Ardeatine, chiari esempi di martirio.
Giovanni Gentile: “uno degli ingegni più lucidi della cultura italiana” che non ha avuto “nessuna partecipazione, né morale, né tanto meno materiale, ad atti di repressione”, si apprende da un volume di storia di Indro Montanelli (in collaborazione con Mario Cervi).
La storia: “unica materia che ho studiato seriamente”, non mancò di puntualizzare, fedele a se stesso, Indro Montanelli al riguardo.
Giovanni Gentile ucciso dai partigiani, ovvero da chi aderì alla Resistenza: “uno degli episodi, ma non il solo, e di scarsissimo peso risolutivo sugli avvenimenti”, ha ricostruito Montanelli sminuendo, sconfessando, quanto sostenne il 28 febbraio 1954 Piero Calamandrei:
“… gli italiani ancora non lo sanno quanta ne fu l’estensione e la grandezza… tutto questo i ragazzi non lo imparano: o forse imparano, su ignobili testi di storia messi in giro da vecchi arnesi tornati in cattedra…”.
Se il nome di Piero Calamandrei può mettere in imbarazzo un certo numero di persone, anche a causa di chi, di generazione in generazione, ricorda ciò che gli aggrada, non si dovrebbe avere alcuna perplessità sul monito dell’allora Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, non fosse per altro che per la puntualità con cui si rivolgeva al popolo sovrano, che in merito alla storia ebbe un inequivocabile avvertimento:
“Storico è colui che scrive le cose vere. Chi vuole che le cose siano andate in un altro modo non è uno storico, ma uno che imbroglia”.
Ma “i soli a sostenere la legittimità morale dell’impresa” – l’uccisione di Giovanni Gentile – “furono i comunisti”, ha ricostruito Indro Montanelli citando Tizio, Caio e Sempronio perché la sua non fosse scambiata per un’opinione preconcetta: porre sempre e comunque i comunisti in cattiva luce.
Proprio Indro Montanelli, che poneva quale credenziale la sua partecipazione ai gruppi di “Giustizia e Libertà” per sentirsi autorizzato a “fare storia” ed a “farla fuori dei miti e delle leggende”, così come, ovviamente, Mario Cervi, perché allora giovanissimo ufficiale di complemento in Grecia, deportato dai tedeschi.
Questo per dire che è davvero singolare il fatto che un aderente ai gruppi di “Giustizia e Libertà” o chi, comunque, pretendeva di fare storia e di farla fuori dei miti e delle leggende, avesse potuto ignorare i “Nuovi Quaderni di Giustizia e Libertà” in cui si legge a chiare lettere:
“Gentile… che sul 'Corriere della Sera' continua imperterrito a predicare la concordia fra le parti, come si trattasse di una divergenza di opinioni su problemi interni di lieve entità, e a un popolo straziato e sfinito raccomanda tolleranza, anzi ingenua e riconoscente fiducia per coloro o colui che in vent’anni di gestione dispotica, incontrollata, ha trionfalmente condotto quel popolo alla rovina, e nel discorso inaugurale di Firenze concede anche nella forma stessa, ché di pensieri non è più questione, alla volgarità rozza e disperata della propaganda fascista, questo Gentile ha firmato oramai la sua condanna”.
“Nuovi Quaderni di Giustizia e Libertà” che sbugiardano chi dà a bere che “i soli a sostenere la legittimità morale dell’impresa” – l’uccisione di Giovanni Gentile – “furono i comunisti”, chi, evidentemente, pur vantando di aver aderito ai gruppi di “Giustizia e Libertà” (sempre ammesso che sia vero), non ha alcun rispetto né per i suoi perseguitati politici, né per i suoi morti, né per le nuove generazioni che dovrebbero imparare la storia d’Italia su nobili testi di storia, opera di chi mai potrà venire accusato di disonestà morale.
Giovanni Gentile che assunse dopo l’8 settembre del ’43 il compito di attirare gli intellettuali alla repubblica neo-fascista pronunciando un discorso tutto improntato ai vecchi temi a lui cari: “ogni forza è forza morale, anche se è la forza del manganello”, quando Montanelli dà a bere – non essendosi mai corretto – che non ha avuto “ nessuna partecipazione, né morale, né tanto meno materiale, ad atti di repressione”.
Giovanni Gentile principale promotore del giuramento – decreto legge, in data 28 agosto, intitolato “Disposizioni sull’istruzione superiore” pubblicato dalla “Gazzetta Ufficiale” l’8 ottobre 1931 – che imponeva ai professori universitari di ruolo e incaricati di essere fedeli al re e al regime fascista e di esercitare l’ufficio d’insegnante col proposito di formare cittadini devoti al regime.
2009: l’onore di figurare nella storia della filatelia della Repubblica Italiana è spettato ad Indro Montanelli.
Proprio a chi mai si è pentito – essendone andato sempre fiero: “non ho nulla di cui pentirmi” – di aver comprato nel 1935 una 14enne eritrea e di averla in seguito rivenduta.
Proprio a chi sollecitò il richiamo alle armi per essere partecipe attivo della guerra che prevedeva lo sterminio totale degli ebrei (e non solo), in perfetta sintonia con il regime fascista: “Occhio dunque agli ebrei. Se essi sono – come i fatti documentano – fra i nostri nemici dichiarati, i nemicissimi, non perdiamoli di vista. Si direbbe che il pensiero della guerra abbia fatto un poco dimenticare una delle principali ragioni della guerra, che è un’Europa senza ebrei e quindi, e prima di tutto un’Italia senza i medesimi. Discriminare è giusto, ed abbiamo discriminato”. Indro Montanelli che vantava, al contrario, di non aver condiviso le leggi razziali.
Proprio a chi non ebbe alcun rispetto né per i vivi né per i morti mentendo spudoratamente, come quando scrisse, un esempio su una miriade, di non essere stato al servizio dell’organo ritenuto dal Partito fascista il più importante per la propaganda del regime, il Ministero della cultura popolare: “il mio nome di sicuro non c’è”, quando risulta, eccome, tra coloro i quali da esso furono assoldati traendone vantaggi e profitti, lasciandosi corrompere, per ammissione dello stesso Montanelli che a proposito di tali rapporti scrisse: “certo, si trattava di una forma di corruzione”.
Proprio a chi non perdeva occasione per rivendicare: “Nel 1937 Mussolini e i suoi leccapiedi mi espulsero dal partito fascista e mi radiarono dall’Albo dei giornalisti per disfattismo”, con l’orgoglio di chi non si è piegato al regime e con tutta l’acredine e il disprezzo che si può avere per i leccapiedi, come se non fosse stato lui a dare la miglior lezione su come si lecchino i piedi scrivendo, nel maggio del 1939, nella premessa al suo libro “Albania una e mille”: “Chiamato a visitare l’Albania…”, lui espulso dal partito fascista e radiato dall’Albo dei giornalisti per disfattismo (quando si finiva al confino o in carcere per molto, ma molto meno), “consegnai questo mio , ‘panorama’ a Chi di dovere”, con la deferenza e l’ortografia appropriate che distinguono una casta dall’altra.
“Il primo dovere di un amico è quello di dire all’amico le sue manchevolezze”, dimostrandosi ben conscio, in tutto e per tutto, di che cosa significasse far fronte ai propri doveri di fascista. “E dunque questo libro sarà utile specialmente al popolo schipetaro. Ma spero che lo leggano con un po’ d’interesse anche gl’Italiani, perché essi si sono ormai assunto, verso l’Albania, un grave compito. Questo compito – ne siano certi i miei amici albanesi – l’Italia di Mussolini lo assolverà. Lo assolverà in pieno”, quando si fece egli stesso garante di quell’Italia di Mussolini e dei suoi leccapiedi che lo aveva espulso e radiato dall’albo dei giornalisti per disfattismo.
Proprio a chi invitò sulla prima pagina de “Il Giornale”, in un “controcorrente” tanto fulminante quanto velenoso, l’Università di Genova a cacciare il professore che faceva studiare Dario Fo. Università di Genova che doveva, come se non bastasse, vergognarsi di annoverare un professore così indegno.
Proprio a chi non lesinava di dare lezioni a destra e a manca redarguendo: “tener fede ai propri errori quando i fatti ci hanno dimostrato che tali non sono non è coerenza. E’ disonestà”, quando i fatti, un numero considerevolissimo, lo sbugiardano, lo sconfessano per aver alterato senza alcun ritegno la verità.
Come mai Marco Travaglio ammette: “Chi non ha padrini politici, e peggio ancora si comporta da cittadino esercitando fino in fondo i propri diritti, non esiste”, e poi si fa garante del sistema discriminatorio da lui stesso denunciato?

(Indirizzo e-mail per contattare l’autore: silvanostrazza@libero.it)

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