di Pierluigi Sorti
Una combattiva signora, non proveniente dalle fila del partito, da decenni con decoro sulla scena politica nazionale ed europea ma, soprattutto, donna di libero pensiero, Emma Bonino ha scelto di candidarsi alla presidenza della regione Lazio.
E’ bastata questa novità per provocare uno sbandamento pauroso del Partito laziale e nazionale che si è trovato nudo di fronte a sé stesso.
Nei consessi di partito, segreterie, assemblee regionali, circoli di partito, le reazioni dei dirigenti sono state insieme di disorientamento, afasia e financo di ipocrisia.
Il tentativo di contrapporre una candidatura, di “prestigio nazionale”, abbastanza presto rivelatosi spuntato, per rinuncia dei nominativi via, via, proposti, ha lasciato il passo a una reviviscenza freudiana di necessario ricorso alle primarie.
Troppo tardivo e,visibilmente, solo strumentale; se ne è accorto lo stesso Pier Luigi Bersani, considerato che analoga procedura non era stata preventivata, anzi nemmeno adombrata,
per alcuna delle candidature espresse in precedenza.
Iniziale, parallelo sconcerto si è diffuso in tutto il partito, la cui base tuttavia, in un risveglio di coscienza critica, non ha esitato a giudicare una classe dirigente, visibilmente preda di irresponsabili rivalità intestine e incapace di scelte non ispirate alle convenienze personali.
Era forse fatale che la militanza di base, cessando un habitus reverenziale troppo liso, perorasse l’ abbandono della vocazione, tutta dirigenziale, di parlare, come Cicerone, “pro domo sua” per imboccare la strada maestra dell’ agire “ pro domo omnium”