di Sandro Trento
Il 2009 è stato per l'economia italiana, e non solo, l'anno peggiore dalla fine della seconda guerra mondiale. Il Prodotto interno lordo è diminuito del 5%, a novembre il tasso di disoccupazione ha raggiunto l'8,3%, il dato più alto da aprile 2004. Il tasso di occupazione e' sceso al 57% e il numero di persone senza lavoro ha superato la quota dei due milioni, per la prima volta dal 2004. In un anno la disoccupazione e' cresciuta del 18%, si tratta di 313 mila persone in più senza lavoro rispetto all'anno precedente. La cassa integrazione guadagni è quadruplicata nel 2009, un anno orribile per l'economia italiana.
La cosa più preoccupante è che questo anno terribile, legato alla crisi internazionale, si inserisce in realtà in un andamento molto preoccupante che l'economia italiana sperimenta da tanti anni. L'Italia si sta impoverendo rispetto agli altri Paesi, se poniamo pari a 100 il Prodotto interno lordo pro capite medio dell'Unione europea, a 27 paesi, scopriamo che nel 2001 il Pil pro capite italiano era 100,17, cioè eravamo più ricchi rispetto alla media. Nel 2006 eravamo scesi al 100,3 e nel 2008 siamo scesi al 99,5, ossia siamo più poveri rispetto alla media dei Paesi europei. Nel 2009 il Pil pro capite italiano è sceso ulteriormente al 98,8.
Stiamo diventando progressivamente più poveri rispetto al resto dell'Europa. Varie ricerche dimostrano che da oltre 20 anni siamo uno dei paesi avanzati dove più forti sono le diseguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza, e siamo uno dei paesi nel quale è maggiormente presente la povertà. Questa diseguaglianza crescente dell'Italia tende a persistere da una generazione all'altra, facendo in modo che il destino dei figli sia in gran parte dipendente dal destino dei genitori. In altre parole, si è fermato il meccanismo della mobilità sociale: i poveri tendono a restare poveri e i ricchi tendono a restare ricchi, e la distanza tra i due è sempre più marcata.
A fronte di una crisi cosi grande come quella del 2009, la peggiore del dopoguerra, e di una situazione economica più preoccupanti in Italia, il governo Berlusconi è rimasto sostanzialmente fermo. La manovra di bilancio dello scorso anno è stata molto limitata, una delle manovre più timide tra i paesi avanzati colpiti dalla crisi economica.
Nonostante siamo stati tra i paesi in difficoltà, il governo Berlusconi non ha messo una manovra adeguata per far fronte alla crisi, e questo spiega perché va male l'occupazione, aumentano i disoccupati e c'è un insicurezza crescente tra i lavoratori e i giovani, che sono tra le categorie più colpite perché usufruiscono di minori tutele rispetto alle generazioni più anziane.
Il paradosso italiano è che nonostante la manovra di bilancio fosse molto limitata il debito pubblico italiano è cresciuto di 10 punti percentuali dal 2008 al 2009, questo perché la spesa corrente dello Stato italiano è continuata a crescere. Il governo non è stato virtuoso, non ha rinunciato a fare una manovra di sviluppo per concentrarsi sul risanamento dei conti pubblici.
Non solo la politica fiscale non è stata adeguata alla crisi che sperimentavamo, ma non è stato fatto nulla negli altri campi: non si è parlato di riforme strutturali, non si è fatto alcun intervento che consentisse all'economia italiana che consentisse all'economia italiana di affrontare la situazione post crisi in una situazione migliore.
In queste settimane si sente parlare della necessità di fare riforme, ma il nostro timore è che le riforme che interessino al governo siano quelle che interessano la persona del Capo del governo, cioè le riforme della giustizia e non quella del benessere dei cittadini.
Noi pensiamo che sarebbe stato necessario avere il coraggio di affrontare già nel 2009, nel pieno della crisi, alcune questioni fondamentali. La prima è quella della riforma degli ammortizzatori sociali, era il momento di porre mano ad un sistema che potesse tutelare tutti i lavoratori, a prescindere dall'età, dal settore di impiego e dalla dimensione dell'impresa, per poter affrontare le situazioni di mancanza di lavoro con degli ammortizzatori sociali di carattere universale. Questa era una delle emergenze da affrontare.
Un altra questione importante è quella di ragionare fin da ora sulla necessità di una riduzione della spesa pubblica corrente. Bisognava mettere in cantiere delle riforme che incidessero sulla spesa pubblica corrente e abbassare le tasse, sia sul lavoro che sulle imprese.
Come terzo elemento, che noi pensiamo sia importante, bisogna riaprire una stagione di liberalizzazioni. Tornare ad aprire i settori chiusi alla concorrenza, per permettere ai giovani che vogliono aprire un'attività senza troppi ostacoli. La concorrenza è uno dei meccanismo che può consentire all'Italia di ritornare a crescere.
Se fossimo al governo faremo almeno queste tre cose per consentire al Paese di tornare a crescere. Dubitiamo che il governo Berlusconi abbia intenzione di porre mano a questo tipo di riforme.