di Alessandro Pedone
Uno dei paradigmi della finanza, per molti anni indiscusso, riguarda la convenienza dell'azionario nel lungo termine. Un libro di grande sucesso (“Stocks for the long run” di Jeremy Siegel) sostiene che nel lungo termine è meno rischioso investire in azioni che in obbligazioni poiché, secondo la tesi del libro, le azioni proteggono meglio dall'inflazione in archi temporali di due o più decenni.
Questa tesi, che oggi – dopo un decennio nel quale un portafoglio totalmente azionario si sarebbe ridotto di circa un terzo in termini reali – può apparire bislacca, è fondata sui dati storici dei rendimenti del mercato finanziario americano e per molti anni ha rappresentato una sorta di dogma nel mondo della finanza.
L'ultimo decennio ha messo a dura prova i sostenitori dell'investimento azionario e si stanno affacciando sostenitori di una tesi completamente opposta: i rischi dell'investimento azionario – secondo questa tesi – sono eccessivi e non sarebbe razionale investire in azioni.
Secondo questa visione l'andamento dei prezzi delle azioni è sostanzialmente casuale, l'oscillazione dei rendimenti è elevatissima nel breve termine e ciò può comportare – come ha comportato – anche rendimenti di lunghissimo periodo negativi, almeno in termini reali.
In altre parole se si investe per questioni importanti come la pensione: alla larga dalle azioni!
Quale delle due tesi è maggiormente condivisibile?
Premesso che chi scrive è un popperiano convinto (e quindi – in generale – ritengo che non esistano tesi vere, ma solo quelle non falsificate), in finanza chi sostiene la verità assoluta di una propria tesi sulla convenienza di una strategia finanziaria dimostra semplicemente di non capire nulla della materia.
Ciò premesso, ritengo che molte delle argomentazioni di partenza della tesi sull'irrazionalità dell'investimento azionario siano fondate. I mercati azionari si sono dimostrati, nel tempo, largamente imprevedibili. Le variazioni dei rendimenti sono amplissime (in un anno si possono avere variazioni in positivo o in negativo anche superiori al 50%, circa dieci volte il rendimento medio che ragionevolmente ci si può attendere, per quanto anche tale rendimento medio sia difficilissimo da stimare. Come dire: se vinci mediamente vinci uno, ma puoi vincere o perdere anche dieci).
La base di dati sulla quale si può lavorare per fare delle stime sul rendimento futuro non solo è relativamente contenuta (se la prospettiva è pluridecennale) ma anche difficilmente comprabile con il futuro, poiché i contesti storico-economici sono profondamente diversi.
In altre parole, i mercati finanziari sono in primo luogo fenomeni storico-sociali, non fenomeni fisici. L'applicazione di formule matematiche a questi fenomeni ha un valore molto relativo.
Last but not least, se la prospettiva d'investimento è pluridecennale, bisogna considerare che il valore delle azioni fra 30 anni sarà fortemente influenzato dal tipo di economia che ci sarà (e/o che si prospetterà) allora. E' possibile che le fondamenta dell'economia fra 30 anni non saranno molto diverse da quelle attuale, ma non è certo. Ci sono dubbi non trascurabili sulla sostenibilità del modello attuale fondato sulla crescita economica continua.
Pur condividendo tutte queste argomentazioni di partenza, non riesco a giungere alla stessa conclusione di chi ritiene irrazionale investire in azioni per questioni rilevanti.
Se è vero tutto ciò che abbiamo sopra esposto è anche vero che vi sono ragionevoli (e solide) argomentazione per ritenere che, mediamente, l'investimento in azioni debba essere più redditizio dell'investimento obbligazionario. Se, mediamente, le aziende non avessero profitti superiori al costo del denaro queste chiuderebbero ed altre iniziative più redditizie ne prenderebbero il posto. All'interno del contesto economico attuale l'investimento azionario è un opzione d'investimento altamente rischiosa, ma anche potenzialmente (ripetiamolo: p-o-t-e-n-z-i-a-l-m-e-n-t-e) molto redditizia.
Ciò che è irrazionale non è l'investimento azionario in sé, ma pretendere di usare strumenti apparentemente razionali in un contesto, come i mercati finanziari,tutt'altro che razionale.
Investire in azioni è una cosa adatta ad una percentuale relativamente piccola di persone.
E' necessario avere un'adeguata propensione e preparazione.
E' necessario comprendere che il rischio delle azioni è molto, ma molto superiore, a quello che mediamente viene rappresentato dai venditori di prodotti finanziari e che quindi è indispensabile affrontare l'investimento con strategie di controllo del rischio – rischio inteso come massima perdita tollerabile.
La strategia di investire in azioni da “cassettista” puntando al “lungo termine” è una strategia che può avere – astrattamente – anche vantaggi notevoli (primi fra tutti, la riduzione dei costi) ma nel concreto – per la mia esperienza professionale – è praticamente inapplicabile alla maggior parte degli investitori ed è senza dubbio fondata su presupposti falsi, ciò non significa che non possa essere anche molto redditizia.
In conclusione, ritengo che investire in azioni sia sensato e razionale, anche per questioni serie come la pensione, ma solo a patto di prendere atto della loro estrema rischiosità ed applicando strategie volte ad evitare che andamenti eccezionalmente negativi – rari, ma comunque possibili – dell'azionario non pregiudichino gli obiettivi minimi fissati nei progetti d'investimento.