Leggi un estratto di “Altai”di Monica Mazzitelli
“Altai” è il nuovo romanzo del collettivo Wu Ming, appena uscito per Einaudi Stile Libero. Dopo la fatica del romanzo americano “Manituana”, una pausa nella progettata trilogia per tornare alle atmosfere del primissimo romanzo del collettivo (al tempo denominato “Luther Blissett”): il celeberrimo “Q”, campione di vendite in Italia e tradotto in svariate lingue.
La storia di “Altai” (il nome ornitologico di una razza di predatori) si svolge a partire dal 1569, qualche anno dopo la conclusione di “Q”, mettendo a confronto le due grandi potenze del Mediterraneo: Europa e Impero Ottomano. Un agente segreto della Serenissima nascostamente ebraico viene usato come capro espiatorio per un attentato incendiario all’Arsenale ed è costretto a fuggire a Costantinopoli. Lì viene accolto dal suo supposto nemico, Giuseppe Nasi, giudeo alleato del Sultano Selim II, che vuole conquistare una terra per crearvi un regno rifugio per gli ebrei di tutto il mondo. Dal suo sogno, un assedio scellerato alla città cipriota di Famagosta e, a seguire, la disfatta ai danni degli Ottomani nella battaglia navale di Lepanto, che segnerà l’inizio del declino del Regno d’Oriente.
Quale urgenza narrativa o di altro tipo vi ha portati a scrivere questo romanzo invece che il secondo libro della serie nordamericana iniziata con “Manituana”?
Il termine urgenza è quello giusto. All'inizio avevamo pensato a un momento commemorativo del decennale di “Q”, un racconto che riprendesse i personaggi che avevamo lasciato a Istanbul, nell'epilogo di “Q”. Ma qualcosa premeva, il materiale chiamava a gran voce e voleva essere pensato, meditato e narrato. Abbiamo scritto in tempi ristretti, spinti da un senso di ineluttabilità. C'era l'esigenza di confrontarsi con il nostro romanzo più venduto e famoso, la necessità di elaborare il lutto causato dalla fuoriuscita di Wu Ming 3 dal collettivo, la voglia di focalizzare lo sguardo su una vicenda lineare, conchiusa, in cui i personaggi si risolvessero all'interno di un arco narrativo netto, più lineare rispetto a quanto avevamo fatto in precedenza. “Altai” è nato così.
Il legame politico con “Q” è molto forte, anche se in “Altai” la tonalità malinconia è più preponderante rispetto a quella di dieci anni fa. C’è una delusione politico-sociale verso quell’ “altro mondo” che prima di Genova 2001 sembrava a portata di mano, ma che alla fine non pare ancora possibile?
È troppo facile lasciarsi deludere dalla storia. Spesso è un modo per non ammettere d'aver deluso se stessi. Il movimento altermondialista aveva ragione quando criticava i meccanismi di finanziarizzazione dell'economia e le tendenze liberiste del capitalismo globale. Dopo Genova c'è stato l'11 settembre, il tentativo di procrastinare lo scoppio della crisi attraverso la guerra. Tentativo di ben corto respiro e a conti fatti fallimentare. Anche questo il movimento lo aveva previsto, qualcuno addirittura lo aveva scritto già nel 2003. Quella stagione politica è stata l'ultimo grido d'allarme prima della recessione planetaria che ha fatto mimetizzare i liberisti di tutto il mondo. Avere avuto ragione però non può essere una consolazione. Oggi ci si pone il problema di come riuscire a essere seminali. Dieci anni fa raccontavamo la storia di un rivoluzionario di passaggio; in “Altai” i personaggi si interrogano su come far sedimentare le proprie esperienze, su cosa resterà “dopo” il loro passaggio.
Ci sono molti riferimenti all’attualità nel romanzo, dai barconi clandestini alla religione come arma e contrapposizione di poteri, più molti altri. C’è stata una volontà di essere ancora più esplicitamente politici rispetto a “Manituana”, dove certi significati erano più nascosti nell’allegoria?
Non credo. Quelli che citi sono i motivi più immediati alla superficie della trama. In realtà le tematiche cruciali del romanzo si trovano probabilmente negli strati profondi della vicenda narrata. Riguardano la questione dell'identità personale, il rapporto tra individuo e comunità, il conflitto tra i generi, l'espiazione delle colpe. Sono temi che hanno evidentemente a che fare col presente, ma che non si legano a una contingenza politica immediata.
In “Altai” è molto consapevole la ricerca linguistica. Oltre a trovare nel lessico numerosi lemmi stranieri di almeno cinque lingue diverse, hanno spazio i libri pilastro delle 3 grandi religioni mediterranee: cattolicesimo, islam e ebraismo. Si ha l’impressione che questa par condicio linguistico-teologica sia fortemente voluta. È così?
Non ci sediamo a tavolino cercando di scrivere storie politicamente corrette. L'equilibrio e l'attenzione per ognuna delle religioni del Libro era necessaria, quasi doverosa, parlando di quel Mediterraneo e di quell'impero. Sul versante linguistico, abbiamo sempre guardato con interesse alle lingue minori e ai cosiddetti dialetti. L'intreccio linguistico serve a rendere conto della complessità e dell'intreccio culturale nel Mediterraneo di quei tempi – e anche di questi, a dire il vero.
Luther Blissett e Wu Ming sono stati – mediante l’utilizzo di internet – tra i grandi teorizzatori e anticipatori della riappropriazione dal basso dei media e della diffusione orizzontale dei saperi, anche attraverso l’utilizzo del copyleft. Al tempo dei social networks (e del successo di una manifestazione nata dal web come il No B Day), quali pensate siano oggi le potenzialità della rete?
Le potenzialità della rete rimangono elevate e in buona parte ancora inespresse. Ma non è una tecnologia a essere di per sé liberante. Il mondo della rete riflette le dinamiche di dominio e i conflitti del mondo “reale”. Internet non è un'utopia realizzata, è il medium più potente che l'umanità abbia mai conosciuto.