Mafia, depone Spatuzza e cita Silvio Berlusconi

Il processo d'appello a Torino al senatore Marcello Dell'utri, accusato di concorso in associazione mafiosa, è cominciato con la richiesta di revoca della testimonianza del pentito di mafia Gaspare Spatuzza.
Istanza respinta dalla seconda sezione della Corte d'appello di Palermo.
È dunque partita nell'aula bunker 1 del palazzo di giustizia la deposizione del collaboratore di giustizia, citato come teste al processo d'appello al senatore Marcello Dell'Utri dal pg. Spatuzza depone dietro un paravento bianco, con il volto coperto da un passamontagna, circondato da alcuni agenti.

Le rivelazioni del pentito di mafia
«Cosa nostra è un'associazione mafioso-terroristica. La definisco così perché dopo il '92 ci siamo spinti un po' oltre, in un terreno che non ci appartiene: alludo alle stragi di Firenze, dove morì la piccola Nadia e all'attentato a Costanzo». Queste le prime parole del pentito.
«Dopo le stragi di Capaci e Via d'Amelio abbiamo gioito, perché Falcone e Borsellino erano nostri nemici; mentre i morti di Firenze e Milano non ci appartenevano. Lo dissi a Giuseppe Graviano, quando lo incontrai a Campofelice di Roccella nel '93», ha poi detto Spatuzza. Il collaboratore di giustizia ha definito «anomale», nella consueta strategia di sangue di Cosa Nostra, le stragi di Firenze, Roma e Milano del '93. Anomalia che il pentito spiega in quanto quegli eccidi rientravano in una strategia terroristica. «Quando rappresentai a Giuseppe Graviano – ha aggiunto -, che mi aveva incontrato per parlare di un altro attentato ai danni dei Carabinieri, questa mia debolezza, lui mi rispose: 'È bene che ci portiamo un po' di morti dietro, così chi si deve muovere si da una smossa'».

Poi Spatuzza cita Silvio Berlusconi. È un incontro avvenuto nel '94 al bar Doney di Via Veneto, a Roma, prima del fallito attentato all'Olimpico, l'episodio centrale della deposizione, davanti alla corte d'appello di Palermo, in trasferta a Torino, del pentito Spatuzza.
Spatuzza si incontra, in quella occasione, con Giuseppe Graviano, che «aveva un atteggiamento gioioso, come chi ha vinto all'enalotto o ha avuto un figlio».
«Ci siamo seduti – dice Spatuzza – e disse che avevamo chiuso tutto e ottenuto quello che cercavamo e questo grazie alla serietà di quelle persone che avevano portato avanti questa storia, che non erano come quei quattro socialisti che avevano preso i voti dell'88 e '89 e poi ci avevano fatto la guerra. Mi vengono fatti i nomi di due soggetti: di Berlusconi…, Graviano mi disse che era quello del Canale 5». Oltre al presidente del Consiglio, il pentito cita anche l'imputato, il senatore Marcello Dell'Utri. «C'è di mezzo un nostro compaesano, Dell'Utri», ha detto Spatuzza, citando Graviano. «Grazie alla serietà di queste persone – ha aggiunto – ci avevano messo praticamente il Paese nelle mani».
Spatuzza riferisce che temeva di parlare di Berlusconi. «I timori di parlare del presidente del Consiglio Berlusconi erano e sono tanti. Basta vedere che quando ho cominciato a rendere i colloqui investigativi con i pm mi trovavo Berlusconi primo ministro e come ministro della Giustizia uno che consideravo un vice del primo ministro e di Marcello Dell'Utri».
Il pentito ha anche raccontato la sua conversione religiosa e ha riferito di aver sostenuto sei esami in una scuola teologica. Raccontando le fasi che lo hanno portato a collaborare con la giustizia ha detto: «Se avevo messo la mia vita nelle mani del male, perchè ora non dovrei essere disposto a perderla per fare il bene?».

Per molto tempo Spatuzza si è ritrovato nel carcere di Tolmezzo con il fratello di Giuseppe Graviano, Filippo Graviano: «nel 2004 lui stava malissimo, io gli parlavo dei nostri figli, di non fargli fare la nostra fine… Ho avuto la sensazione che stava crollando». Poi Spatuzza comincia a parlare con il procuratore Vigna, «che era al termine del suo mandato e che per questo voleva chiudere con me. Mi disse che bisognava mettere tutto nero su bianco… Io non me la sono sentita e sono tornato al carcere di Tolmezzo. Lì dissi a Filippo Graviano di questo colloquio con Vigna, lui stava male, e allora mi disse di far sapere a suo fratello Giuseppe che se non arrivava qualcosa da dove doveva arrivare, allora bisognava parlare ai magistrati».
Il pm chiede spiegazioni sulla frase «da dove doveva arrivare» e qui Spatuzza ritorna al riferimento di Berlusconi e Dell'Utri. Spatuzza prosegue: «Nell'87 Giuseppe Graviano mi disse che dovevamo sostenere i candidati socialisti alle elezioni. All'epoca il capolista era Claudio Martelli. A Brancaccio facemmo di tutto per farli eleggere e i risultati si videro: facemmo bingo».

Una bomba all'Olimpico, ma il telecomando non funzionò.
Quando incontrai Graviano a gennaio del '94, a Roma, mi disse che l'attentato all'Olimpico si doveva fare a tutti i costi, così gli davamo il colpo di grazia». Spatuzza ha raccontato in aula le fasi preparatorie dell'attentato, quando la mafia imbottì una macchina di esplosivo, «utilizzando una tecnica – dice Spatuzza – che nemmeno i talebani hanno mai usato». I boss, oltre all'esplosivo, utilizzarono tondini di ferro, che avrebbero dovuto rendere più devastante l'effetto della deflagrazione. «Lasciammo la macchina – ha proseguito – fuori dallo stadio.
Io e Benigno ci spostammo a Monte Mario. Benigno diede l'impulso al telecomando, ma grazie a Dio l'esplosione non avvenne».

Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2009/12/pg-gatto-deposizione-spatuzza.shtml?uuid=8dbdb488-e0b1-11de-a09d-2edcfd03e907&DocRulesView=Libero

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