Per il Congresso della Cgil NIENTE SARA’ PIU’ COME PRIMA

Parte terza

Per una coesione sociale e repubblicana, per la democrazia sindacale

A fronte di quanto detto necessita, non solo una mobilitazione sindacale, ma pure un impegno della Cgil e del movimento sindacale per la coesione sociale .

Per ricomporre il lavoro, oggi, è obbligatorio affrontare l’argomento che riguarda sia una nuova confederalità sia la democrazia sindacale, da perseguire, questa, anche attraverso una campagna per una legge sulla rappresentanza democratica sindacale.

Se un sindacato vero si qualifica per la sua autonomia e la sua capacità ed autorità salariale e contrattuale, si deve capire fino in fondo che questa autorevolezza sindacale non può prescindere da un mandato e da una verifica dei lavoratori. La ricomposizione del lavoro abbisogna di questa nuova rappresentanza democratica per non andare, come vorrebbero in molti, verso una pratica ossificata di sindacato neocorporativo, gestore delle ricadute sociali delle scelte delle imprese e dei governi. Ed al contempo, non si può evitare una autoriforma, su tali basi democratiche, della pratica confederale.

Pensiamo, infatti, che sia giusto accorpare contratti nazionali e categorie, ma riteniamo pure che in tale processo di accorpamento non possa e non debba venire meno la prassi ed il ruolo della confederalità. Anzi, la necessità di dare un quadro unitario e generale all’azione sindacale, così ricomposta nelle categorie, corrisponde, secondo noi, anche ad un complementare ruolo di orientamento, mobilitazione ed unificazione, a livello nazionale e locale, della Confederazione.

Una Confederazione, tra l’altro, che rafforzi il rinnovamento ed il pluralismo dei propri gruppi dirigenti, delle proprie strutture e delle forme di azione ed intervento sindacale. Dando così rilievo ad un lavoro sindacale collettivo autonomo da padroni, governo e partiti, e arricchito dal libero e proficuo confronto interno delle idee.

E’ proprio con questa libera impronta confederale che intendiamo contribuire all’obiettivo di una società democratica che comprenda il lavoro, dandogli cittadinanza e dignità. Ma per dare dignità e cittadinanza occorre anche che i lavoratori possano eleggere democraticamente i loro rappresentanti nelle Rappresentanze Sindacali Unitarie e svolgere referendum vincolanti di mandato e di verifica degli accordi.

Se la democrazia oltrepassa realmente i cancelli dei luoghi di lavoro, allora, si può e si potrà affrontare anche quei nodi da tempo irrisolti che si riferiscono alla partecipazione dei lavoratori alle scelte di sviluppo aziendali, dando così finalmente attuazione all’art. 46 della costituzione.

Ma partecipazione alle scelte, significa innanzitutto, rafforzare la contrattazione e la democrazia sindacale, a partire dalle piccole imprese, iniziando ad agire per una griglia di diritti universali, che stimolino gli stessi piccoli imprenditori contoterzisti a innovare l’ organizzazione del loro lavoro.

Per questo occorre una estensione pure graduale dei diritti, a partire dal reintegro, nel caso di licenziamento senza giusta causa, anche nelle aziende sotto i 15 dipendenti, tanto per citare un esempio, prevedendo se necessario anche delle agevolazioni. Ed occorre una estensione della democrazia, creando anche nelle piccole imprese una nuova ed estesa filiera di rappresentanza democratica sindacale. Una estensione che può contribuire, tra l’altro, ad un rapporto fecondo con quella parte del lavoro che non rappresentiamo e che è comunque fondamentale, pensiamo alle varie figure dei collaboratori ed a tanti altri.

La Confederazione Generale Italiana del Lavoro

E’ evidente che per tutte queste ragioni cercare di trovare una piena sintonia con i soggetti presenti oggi nel mondo del lavoro significa per la Cgil connettersi realmente con le loro nuove esigenze e domande, pensiamo ai giovani lavoratori, precari e non, del Nord e del Sud, alle donne, agli immigrati.

Vogliamo, anzitutto, soffermarci sul fenomeno dell’immigrazione, per dire di come siano molte le variabili che minano l’efficacia delle politiche pubbliche in materia.

Quel che è certo, è che un fenomeno di queste dimensioni non si affronta, come oggi in Italia, concentrandosi solo sugli effetti, anziché sulle cause e sulle necessità del paese investito dai flussi migratori. Infatti, dal reato di immigrazione clandestina, alla denuncia in ospedale degli irregolari; dalla immersione delle rimesse a nuove tasse sui rinnovi: il rischio è quello di una frattura insanabile nella società.

Non ce ne stiamo, forse, accorgendo, ma il pacchetto di misure proposto e approvato dal Governo ha cambiato lo status dei 4 milioni di immigrati regolari che lavorano e vivono nel nostro Paese, senza contare la situazione degli irregolari. Non più cittadini con diritti formalmente alla pari degli italiani, ma una società di serie B con norme e regolamenti a parte.

La sanatoria effettuata a settembre non ha risolto tutti i problemi, essendo stata selettiva e parziale: una sorta di regolarizzazione, cioè, che non ha saputo – o meglio non ha voluto – comprendere tutti i lavoratori che avrebbero potuto accedervi.
Oggi questi quattro milioni di cittadini immigrati, cittadini stranieri che risiedono in Italia, chiedono di essere integrati nelle nostre comunità provinciali, di avere pari opportunità di accesso ai servizi sociali, reali diritti di cittadinanza, sociale e sindacale. Dalle/gli immigrati/e proviene una domanda di tutela individuale e collettiva, e di una rappresentanza sempre più complessa e articolata.

E’ un fatto incontrovertibile che il lavoro svolto dai cittadini migranti soddisfi i forti bisogni di manodopera del nostro paese, nondimeno le condizioni di quei lavoratori sono spesso precarie, caratterizzate da consuete situazioni di sfruttamento e da un’alta incidenza di infortuni gravi o mortali. Per tali ragioni, in Italia la situazione è grave: questo governo di chiara impronta di destra sta imponendo politiche sociali segnate dall’intolleranza e dal sospetto per ogni diversità, con l’intento di orientare il senso comune verso posizioni di vero e proprio razzismo.

Perciò la CGIL deve continuare, semmai con più forza, a svolgere quel ruolo di rappresentanza effettiva per dare uno sbocco di impegno e mobilitazione democratica e civile adeguata alle domande dei lavoratori immigrati ed alle loro rivendicazioni, per far sì che ci sia una inversione di tendenza, per non cadere in un oblio e in un rifiuto culturale che impediscano processi di inclusione. E contrastare ogni azione di esclusione, convinti come siamo che questo possa essere l’antidoto migliore contro un futuro di frammentazione sociale e di conflitti.

La CGIL, insomma, crediamo debba e possa essere ancor più veicolo di dialogo ed integrazione tra tutti i lavoratori e i cittadini. Un veicolo che assuma con coerenza l’obiettivo di un nuovo senso comune, di un nuovo spirito del tempo, in cui l’insicurezza si sconfigga con il rafforzamento dello stato sociale, con il superamento della precarietà del lavoro, con la negazione delle forme di competitività che esasperano l’individualismo, con città e paesi che favoriscano la possibilità di relazioni sociali fra persone e tra realtà diverse.

E’ infatti proprio in situazioni di incontro, di conoscenza e di convivenza che tutti possiamo sentirci più sicuri.

Pensiamo, perciò, ai tanti che ancora non rappresentiamo o con cui abbiamo difficoltà ad avere rapporti, che non conoscono diritti e contrattazione, buste paga regolari ed orari contrattuali. Sono molti. E’ quel mondo del lavoro frammentato, disseminato, senza referenti sindacali ed esposto ad abusi, arbitrii e ricatti che non conosce la prassi del soccorso, della solidarietà e della esigibilità dei diritti.

Questa azione sindacale, oggi, può e deve avere caratteristiche adeguate e dunque non solo di autorità vertenziale ma pure, come agli albori del movimento operaio, di mutua assistenza e solidarietà.

Stiamo, infatti, assistendo al florilegio di contenziosi nelle aziende, che spesso rifiutano di applicare le stesse norme contrattuali; contenziosi su lavoro, diritti, scuola, casa, servizi.

Non a caso, allora, affiora nella quotidianità un bisogno di assistenza legale e di consulenza giuridica sui vari aspetti della vita dei lavoratori. Una necessità che si può riassumere in una prassi solidale di “avvocatura sociale”, cui la nostra Organizzazione deve e può dare ricerca e vigore, rimodulando e rafforzando confederalmente strutture già presenti e collegate alla Cgil.

Dentro questo percorso generale che abbiamo cercato di illustrare, davvero complesso ed articolato, deve trovare anche spazio una nuova idea di pluralismo politico dell’organizzazione. Un pluralismo che muova dal riconoscimento della diversità di idee e di punti di vista capaci di relazionarsi e ascoltarsi realmente ed unitariamente, di costruire mediazione rompendo ogni ipotesi di steccati precostituiti, figli di una idea di testimonianza che questa CGIL, di fronte alle sfide che ha davanti, non può più permettersi.

Ci pare, dunque, ormai chiaro che per riaprire una strada di rinnovato impegno sindacale occorre superare una idea di pura testimonianza e costruire una salto di qualità anche per la Cgil.

Queste sono le ragioni fondamentali che spingono a chiedere che si creino le condizioni per un congresso unitario, senza mozioni contrapposte, e che si verifichino le possibilità di trovare più i punti in comune che le divergenze, spesso dovute a logiche organizzative.

La drammaticità della crisi, il degrado della politica, anche a sinistra, i tentativi di isolamento della nostra Confederazione sono tali che esigono sia un reale dibattito sia una unità consistente sia una assunzione di responsabilità dei militanti e dei gruppi dirigenti.

Non vogliamo essere né ipocriti né ingenui. Non abbiamo velleità “terziste” e sappiamo che gli appelli unitari spesso cadono nel vuoto. Ciononostante pensiamo che i nostri iscritti, i nostri militanti, coloro che guardano alla Cgil come ad un punto di riferimento costante abbiano la urgente necessità di avere una organizzazione non dilaniata da scontri la cui essenza si riduce agli organigrammi ed alla politica organizzativa.

A questo, infatti, nonostante le enunciazioni, rischia di arrivare il nostro Congresso. Proprio nel momento in cui percepiamo che niente sarà più come prima.

Dalla crisi, infatti, nessuno uscirà come prima.

Ciò vale anche per noi. Non è e non sarà possibile riproporre la logica concertativa del 1993, poiché ciò vorrebbe significare comprimere ancor più i salari, gli stipendi e le pensioni. Di altro segno dovrà invece essere la nostra strategia. Una strategia che rimetta al centro la redistribuzione sociale, la democrazia sindacale, nuove norme e nuovi diritti universali, quali ad esempio il salario sociale.

L’obiettivo di una avanzata griglia di diritti non può, infine, prescindere dalla ricerca di elementi di un nuovo modello sociale ed economico compatibile con l’ambiente. Questa ricerca non può che essere complementare ad un’idea ed un obiettivo di un nuovo mondo multipolare che condanni l’uso della guerra come strumento di offesa.

Per tali ragioni, pensiamo utile, in un tempo ancor presente di guerre e distruzioni, porre al centro del nostro dibattito una proposta di strategia di uscita delle truppe italiane dalla guerra in Afghanistan. E di trasformare la presenza italiana in una presenza di pace e di assistenza, seguendo le orme di grandi costruttori di pace quali Tom Benettollo, Teresa Sarti Strada, lo stesso Gino Strada.

Sono temi, questi, propri del movimento operaio e sindacale sin dalle origini, appunto. Sono i temi della emancipazione e liberazione del lavoro, della libertà e della pace, ch’è sempre foriera di pane, lavoro e benessere per tutti.

Alessio Ammannati, Presidenza Direttivo CdLM CGIL Firenze
Bruno Carrà, Resp. Centro Lavoratori Stranieri Direttivo CdL CGIL Piacenza

Gianni Leoni, Direttivo Regionale Filt CGIL Toscana

Paolo Niccoli, Direttivo CdLM CGIL Firenze

Rossana Sebastiani, Direttivo CdLM CGIL Firenze

Walter Tacchinardi, Direttivo CdL CGIL Piacenza

3/3 – Fine – Le prime due parti del documento sono apparse sull'ADL del 4.11.09 e del 18.11.09.

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