NIENTE SARA’ PIU’ COME PRIMA

Una riflessione collettiva per il Congresso della Cgil

Presentazione

Niente sarà più come prima. Spesso sui giornali, alla Tv ci capita di leggere o ascoltare queste parole riferite alla attuale crisi generale del paese, dell’economia e della politica internazionale.

Niente sarà più come prima, ma ci accingiamo a vivere un Congresso della Cgil in cui rischiamo di non considerare seriamente questa locuzione.

Al tempo di una crisi che non finisce, se non nelle parole interessate di chi ha potere e ricchezza, la Cgil azzarda una possibile rottura in due documenti congressuali contrapposti.

Si dice che lo spartiacque starebbe nel come si intende affrontare il fatto, rilevante, dell’accordo separato sul modello contrattuale. Si dice che vi è chi lo vorrebbe emendare, chi invece lo vorrebbe scardinare. Si dice…

Eppure quest’organizzazione antica e moderna del movimento operaio italiano si trova in una delle situazioni più complicate e più pericolose della propria storia, almeno del secondo dopoguerra.

Rischio di isolamento, attacchi diretti delle controparti datoriali concertate con la destra al governo, accordi separati sono le spezie di una minestra alquanto velenosa che si vuole fare letteralmente ingoiare alla Cgil.

La Cgil è, così, in palese difficoltà e gli esiti contrattuali degli alimentaristi e delle telecomunicazioni, che hanno evitato l’accordo separato, non sono però esaltanti. Per queste ragioni crediamo sia importante individuare alcune priorità: strumenti della redistribuzione del reddito, stabilizzazione del lavoro, una nuova struttura del salario, un salario sociale. E non siamo convinti che a queste difficoltà debba corrispondere necessariamente la contrapposizione di un congresso con diverse mozioni.

In questa situazione abbiamo appreso delle divisioni nella Commissione Politica ed abbiamo avuto l’opportunità di leggere sui giornali i testi per ora approntati nella suddetta Commissione.

Siamo rimasti colpiti ed amareggiati dalla virulenza di alcune valutazioni, che riteniamo ingenerose per quanto hanno fatto in questi mesi ed in questi ultimi anni non solo e non tanto i dirigenti bensì tutte le donne e tutti gli uomini iscritti, militanti, simpatizzanti della Cgil.

Se questi saranno i toni del Congresso, saranno toni che a noi non piacciono.

Per questi motivi proponiamo pubblicamente alcuni temi, su cui abbiamo riflettuto e lavorato in questi mesi, con questo nostro contributo, che non vuole essere il prodromo di un documento congressuale, per redigere il quale non abbiamo né titolarità né capacità adeguate.

Quello che presentiamo è semplicemente, appunto, un contributo. Lo consideriamo aperto, nel senso che chiunque si ritroverà nelle fondamentali considerazioni che qui svolgiamo potrà apporvi la propria firma e semmai un proprio apporto.

Noi crediamo sul serio che questo appuntamento congressuale possa e debba rappresentare un concreto momento di riferimento politico e sindacale per il paese.

Confidiamo che il Congresso della Cgil possa e debba rappresentare un serio tentativo di innovazione della stessa nostra Organizzazione, in un momento in cui anche a sinistra e tra i progressisti è possibile delineare un quadro politico aggiornato ed unitario.

Oggi con il termine ‘innovazione’ si può dire tutto ed il contrario di tutto. Ben consci della ambiguità dell’ espressione abbiamo cercato di declinarla e connotarla con alcune proposizioni.

Critica al nuovo autoritarismo nella società e nelle aziende; necessità di nostre risposte di respiro europeo (salario minimo intercategoriale, reddito sociale, nuovo stato sociale); stabilizzazione e tutela reale del lavoro, possibilità di nuova occupazione; elementi di un nuovo modello contrattuale e di una nuova struttura del salario; idee per un piano del lavoro, per la coesione sociale e la democrazia sindacale; un abbozzo per una fisionomia della Cgil adeguata ai tempi.

Tali sono i temi su cui abbiamo qui svolto il nostro ragionamento. Di sicuro in molti potranno obiettare, correggere, aggiungere, dissentire, depennare.

Proprio perché consideriamo questo nostro intervento come aperto ed unitario siamo disponibili ad ogni discussione ed ogni modifica unitaria.

Siamo, dunque, convinti della esigenza di un dibattito chiaro ed unitario, che serva non a emendare o scardinare, bensì a tentare di cambiare, in positivo. Lo siamo perché crediamo che il Congresso della Cgil possa farci dire davvero che niente sarà più come prima.

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Un contributo per il congresso della Cgil

Siamo al declino delle teorie e delle pratiche liberiste dell’ economia. Ciononostante, attraverso la crisi, i gruppi imprenditoriali e le destre politiche tendono sempre più a ridefinire le gerarchie aziendali e sociali con un mix di nuovo liberismo, assistito dallo Stato, ulteriore abbassamento di salari e diritti ed autoritarismo. Perciò la destra al governo sta preparando uno Stato minimo ed etico, per cristallizzare all’infinito un nuovo autoritarismo politico e sociale.

Tutto questo mentre, invece, sarebbe più adeguato sostituire al solo paradigma del PIL quelli della piena occupazione, della redistribuzione della ricchezza e degli aumenti dei redditi dei lavoratori e delle classi popolari. Poiché è ormai evidente che oggi è più importante redistribuire, stimolare i consumi e soddisfare i bisogni primari – e su ciò imprimere una diversa direzione alla dinamica economica, più compatibile socialmente e con l’ambiente.

Ed esempi in tal senso, a partire dalle nuove politiche del Presidente Usa Barack Obama e dalle proposte della Commissione europea guidata dal Premio Nobel Joseph Stiglitz, ormai iniziano a diventare realtà. Tanto che Nicolas Sarkozy accoglie in questi mesi, su invito di una Commissione di studio presieduta dal premio Nobel Joseph Stiglitz, la proposta di un nuovo rivelatore dell’economia quale il principio di “progresso economico”, non più basato solo sul PIL ma pure sul benessere e sulla soddisfazione delle persone. La Commissione Stiglitz, infatti, propone di valutare come indici di ricchezza le condizioni di vita materiale, il livello di sanità, l’educazione, le attività personali, la partecipazione alla vita politica, l’ambiente, la sicurezza. Al riguardo il Segretario generale dell’OCSE si è vincolato a dare impulso alla diffusione dei nuovi parametri a livello europeo.

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Un nuovo autoritarismo e risposte di respiro europeo

In Italia, purtroppo, i segnali sono opposti e pare che l’autoritarismo berlusconiano trovi un proprio sostegno materiale in alcuni fenomeni maturati anche in questi mesi.

Anzitutto, corre l’obbligo di fotografare come in questa crisi vengano al pettine e si rendano ancor più visibili alcune divisioni nella società che ne minano la coesione: la divisione tra giovani, lavoratori e non, e lavoratori anziani; la conseguente suddivisione tra chi una pensione decente l’avrà e chi no; la separazione tra lavoratori delle piccole aziende e quelli delle medie e grandi. Il che fa dire dell’esigenza di riattualizzare uno strumento quale un piano generale del lavoro.

Oltre a ciò, ulteriori e gravi fatti di scomposizione consistono nell’accordo separato sul modello di rinnovo dei contratti nazionali, che snatura il sindacato, norma la riduzione dei salari e degli stipendi, destruttura il contratto nazionale ed inibisce il diritto di sciopero; su quello, sempre separato, nel settore metalmeccanico; oppure il disegno di legge sul diritto di sciopero nei trasporti, che anticipa le volontà generali della destra e di Confindustria: cioè, abolire in sostanza il diritto di sciopero e sanzionare e controllare il conflitto sociale. Un fondamento, però, più robusto consiste nel voler estendere, da parte del governo e delle classi proprietarie, la precarizzazione del lavoro. Nel rendere strutturale, così, un approccio al lavoro fatto di paure e sottomissioni.

Altro tema che contribuisce molto, ad esempio, ad accentuare una difficoltà nei rapporti tra i giovani ed il sindacato consiste nella negazione di un futuro pensionistico per loro dignitoso, del resto connesso alla precarietà. Chi ha meno di quarant'anni, e non è più nemmeno giovane, sa che avrà una pensione non sufficiente per la soddisfazione dei bisogni minimi. E se si affronta questo campo di discussione, non si può non cogliere un tema correlato, quello del salario sociale.

Per cercare di connettere gli obiettivi di pensioni decenti per il futuro e un sistema di garanzie e diritti sociali per tutti è bene, a nostro avviso, sottolineare una proposta di salario-reddito minimo intercategoriale, che dovrebbe configurarsi anche come un minimo pensionistico, reintroducendo una sorta di sistema retributivo per uno zoccolo duro delle future pensioni, come aveva fatto l’ex ministro Cesare Damiano.

In breve, si può pensare ad una quota in forma di salario minimo intercategoriale per chi lavora, di reddito per chi non lavora, di minimo pensionistico per chi è in pensione. Tre voci, per il lavoratore, per il disoccupato e per il pensionato, che in realtà sarebbero la solita cosa, che si potrebbe chiamare reddito sociale unitario (RSU): reddito perché riguarderebbe tutti (lavoratori, disoccupati, pensionati); sociale perché corrispondente alla necessità di soddisfazione dei bisogni primari di tutti; unitario perché sarebbe di pertinenza dell'intero territorio della Repubblica. L' RSU dovrebbe essere legato ad un meccanismo di scala mobile automatica annuale, e rivalutabile complessivamente ogni cinque anni.

A nostro parere, questo insieme di problemi abbisogna di risposte di ordine politico e sociale dimensionate sul livello europeo: la definizione di un salario minimo europeo intercategoriale per tutti i lavoratori della Comunità; una estensione, in Italia, degli ammortizzatori sociali che porti il paese nella media europea; un aumento delle indennità di cassa integrazione verso le medie europee; un blocco dei licenziamenti per quelle aziende che abbiano presentato negli ultimi cinque anni utili di bilancio e l’utilizzo forzato dei contratti di solidarietà al posto delle mobilità e dei licenziamenti; il ripristino di una lotta all’evasione fiscale ormai dimenticata dal governo Berlusconi.

Sulla questione fiscale è importante sottolineare, purtroppo, come il sistema fiscale ancor oggi si fondi sostanzialmente sul lavoro dipendente. La pressione fiscale sul lavoro dipendente ha ormai livelli inaccettabili, sia sul versante della tassazione diretta sia su quello della tassazione indiretta, lievitata negli ultimi anni.

Per tali ragioni deve e può essere chiara ai lavoratori ed ai cittadini la necessità di un sistema fiscale riformato e progressivo, che attenui la pressione fiscale sul lavoro dipendente, partendo dal recupero del drenaggio fiscale a favore dei lavoratori e individuando sgravi ed esenzioni fiscali per gli aumenti salariali contrattuali e non solo. Ed al contempo deve e può essere chiaro ai lavoratori che la Cgil ripropone al paese l’obiettivo della campagna contro l’evasione fiscale e per una imposta sui grandi patrimoni, contro le rendite ancor oggi persistenti e contro l’abuso delle agevolazioni alle grandi imprese.

Se è giusto, inoltre, inquadrare l’insieme dei problemi in una dimensione generale ed europea, è opportuno anche dettagliare alcune questioni emerse con maggiore vigore.

Pensiamo a quella riguardante il dibattito sul cosiddetto “contratto unico”.

La Cgil su questo capitolo non parte da zero e da tempo ha focalizzato il problema individuando e proponendo un nuovo concetto di subordinazione e levando via l'“area grigia” della parasubordinazione.

Oggi ci sono circa quaranta tipologie contrattuali. Ne sarebbero più che sufficienti quattro o cinque, facilitando anche in questo modo l’obiettivo di riunificazione del lavoro, ed intervenendo sull’abnorme pluralità di tipologie contrattuali atipiche ed a part time e sull’uso distorto delle collaborazioni e dei contratti a tempo determinato. E sarebbe necessario, abbassare i costi del lavoro a tempo indeterminato ed iniziare a far costare di più il lavoro non standard, che ha avuto un vero e proprio guizzo, dilagando in tutti i settori produttivi. A tale riguardo crediamo possibile la creazione di un “Fondo di sostegno al lavoro subordinato, parasubordinato, interinale” i cui indirizzi siano definiti annualmente da un Consiglio costituito da rappresentanze istituzionali nazionali e locali, dal sistema delle imprese, dai sindacati maggiormente rappresentativi, la cui sede potrebbe essere presso il Cnel.

Insomma, i percorsi della stabilizzazione del lavoro possono avere tappe intermedie, se però contestualizzate in un disegno che pone al centro del mercato del lavoro il contratto a tempo indeterminato, facendo dei contratti a termine le tipologie di lavoro eccezionali per momenti e casi di giustificata e comprovata eccezione. Ed anzi, cercando di ampliare la tutela reale, anche nel caso del famigerato articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, anche ai lavoratori della piccola impresa sotto i quindici dipendenti, favorendo incentivi fiscali per la buona occupazione nelle piccole imprese. Infatti, è pure sul versante finanziario e fiscale che vi è sempre più necessità di un nuovo modello di sostegno e accesso al credito delle imprese, soprattutto le piccole imprese.

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1. – Continua

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Alessio Ammannati, Presidenza Direttivo CdLM CGIL Firenze

Bruno Carrà, Resp. Centro Lavoratori Stranieri Direttivo CdL CGIL Piacenza

Gianni Leoni, Direttivo Regionale Filt CGIL Toscana

Paolo Niccoli, Direttivo CdLM CGIL Firenze

Rossana Sebastiani, Direttivo CdLM CGIL Firenze

Walter Tacchinardi, Direttivo CdL CGIL Piacenza

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