La silenziosa immigrazione nel periodo dell’Era Fascista e perche’ amo la mia Patria, la mia Italia

Sono nato in Sicilia, una delle piu’ belle isole nel Mar Nostrum, Mare Mediterraneo, crocevia di molte civilta’ ricca di cultura e maestra d’accoglienza, scritttori e poeti l’hanno magistralmente descritta ed ammirata, ma una terra molto spesso abusata ed abbandonata, il suo popolo e’ colto erudito sapiente e consapevole di fare scorrere i secoli con rassegnazione ma affidandosi alla saggezza dei proverbi popolari come fosse un culto al servizio del pensiero nell’infinito alimentata dalla pura ed incontaminata filosofia.

In terra siciliana si formo’ un popolo che ha la capacita’ di esercitare il suo potere e la virtu’ di sapere obbedire nella speranza di realizzare un loro migliore sogno. Haime! Perduto nello spazio del nostro cosmo immenso e talvolta molto piccolo per spaziare in liberta’. Non conosco alla perfezione la terra che mi ha dato i natali, ma l’ho rivisitata piu’ volte ed apprezzata crescendo con i miei genitori raccontandomi la vita sociale e la vita quotidiana di tutti i giorni ed immaginando, laddove il lavoro mancava allora, come manca tutt’ora. Sono artisti nati e discutono le cose da quelle futili a quelli a livello scientifico ed alla fine in ognuno dei discorsi c’e’ un saggio finale o l’intelligente morale. I piu’ fortunati o i piu’ dotati si fermano e prgrediscono nel loro mondo.

Per nessun motivo desidererebbero lasciare la loro terra. Ma la natura e’ quella che decide, quando manca spazio e lavoro per vivere si e’ costretti a emigrare. Quindi, dalla mia Sicilia, con i miei genitori dovetti emigrare in un luogo un po piu’ generoso offrendo spazio e un po di lavoro ai miei genitori. Ho iniziato la mia corsa con la prima tappa da emigrante che dal sud che approdava sulle spiagge del nord Italia. Era l’epoca del Regno d’Italia governato dal regime Fascista. In Sicilia alla mia eta’ di 5 anni, non potevo giudicare e capire cose fosse il Regno d’Italia e che cosa fosse realmente il regime Fascista, mi ricordo che nel 1936 l’anno della proclamazione della conquista dell’ Impero dell’Abissinia e che il suo Imperatore cerco’ scampo chiedendo asilo politico in Inghilterra.

Queste le uniche cose che ricordo e che ovviamente non ero in grado di che cosa fosse successo 4 anni dopo ovvero nel 1940 con l’inizio del II conflitto mondiale. Ritornando al mio discorso, gia’ allora chi’ decideva di trasferirsi con famiglia come quella mia, due genitori e due figli, non era cosi’ facile come accade con l’immigrazione regolare o clandestina che oggi approdano nel nostro territorio nazionale, ma vogliono avere i diritti e si dimenticano che nella bilancia ci sono anche i doveri da rispettare nell’ambito di tutta la societa italiana. Per carita’ non e’ mia intenzione addebitare colpe di questa natura, ed e’ per questo motivo che riprendo il mio discorso della mia emigrazione nel periodo della prima infanzia nella localita’ che i miei genitori decisero di eleggere loro residenza.

All’indirizzo del personale e funzionari che sviluppano il difficile compito delle problematiche dell’immigrazione non facili da risolvere con decreti leggi o normative di fonte municipalizzata. Questo discorso vale anche per coloro che si dedicano alla politica e che al parlamento occupano ruoli nell’ambito della maggioranza ed altri nel ruolo d’opposizione. Un suggerimento spontaneo e sincero, un principio fondamentale da rispettare, quando si intende decidere il varo di una legge soprattuto quando sono coinvolte molte vite umane ed indipendentemente dalla loro nazionalita’, dalla loro religione, dal colore della pelle e dalla condizione sociale, e vi e’ la manifesta volonta’ di approvare il varo di una legge o nel caso specifico: normative applicative riservate agli immigrati, seguito sempre dall’apertura di un piu’ ampio dibattito parlamentare. Isolare nel frigorifero frizioni o rancori dovute a ideologie di qualunque colore o stagione, ma discutere seriamente evita- tando l’avvantaggiare una delle due piu’ importanti protagonisti della politica, ma tenere presente, che gli immigrati non sono persone da trasferire o da gettare come se fossero pacchi o contenitori inservibili. Poi stabilire quanti e quali risorse ha a disposizione la nostra nazione da mettere in campo a favore di questa povera e sfortunata gente in cerca di un tetto e di un lavoro.

Desidero esprimermi cautamente con il mio cristallino esempio legata alla mia infanzia approdato come detto in una localita’ del nord Italia. In quel periodo il Regno d’Italia ed il regime Fascista non ebbero le risorse, che oggi grazie alla sua organizzazione, l’italia economicamente non soffre, come in realta’ tutta la societa’ italiana all’epoca non vissero galleggiando nella lussuria tant’e’ che nell’ambito dell’aristocrazia e negli ambienti della Famiglia Reale, anche i francobolli per la corrispondenza privata venivano controllati i costi, non era una banalita’, ma l’osservanza di un principio inviolabile che il privato non penalizasse le regole della spesa pubblica, altro che benefici e privilegi con le automobile blu, che costituiscono un’armata di mezzi messi a disposizione dalle autorita’ dell’amministrazione pubblica di questo periodo repubblicano.

Il sacrificio e la rinuncia era d’obbligo e per traferirsi, le famiglie da un capo all’altro della nostra bella penisola italica, prima di fare i bagagli ed i biglietti del treno, doveva sapere in quale localita’ decideva di stabilirsi, doveva avere un famigliare o un amico dello stesso paese che avrebbe garantito di che famiglia si parlava, e se il capo Famiglia avesse un titolo di studio, un mestiere a fare l’operaio presso una ditta o fabbrica interessato ad assumerlo o da indipendente come forza lavoro, livello artigianale, erano necessarie buone referenze per poter riensirsi in un’altro nuovo ambiente.

Erano piccole cose, ma quelle regole funzionarono molto bene nell’interesse di tutti. Questo non vuole dire che le leggi del governo fascista venissero accolte con alti indici di grandimento, ed erano individuabili le prime provocazioni contro le famiglie immigrate dal sud al nord Italia. Queste situazioni le ho avvertite personalmente per molti anni, poi una volta integrati completamente nel nuovo ambiente sociale tutto filava liscio e c’era poca cronaca nera, non perche’ ci fosse una legge che proibisse riportare su giornali tali notizie, ma raramente emersero fatti tragici che purtroppo accadono oggi ed in grande quantita’, al punto che mi viene la curiosita’ d’interrogarmi e’ veramente questa la mia Italia e la mia patria?

Il mio pensiero suggerisce: Se qualcosa non funziona nella nazione? L’ordine costituito ha il dovere, i mezzi e gli strumenti per rasserenare tutto e tutti. Dalle cose vissute e da quelle del presente, e mi sono chiesto su quale mondo vivo: Perche’ amo la mia Patria e la mia Italia? Perche’ sin dai miei primi anni ero orgoglioso come lo sono tutt’oggi un vero italiano in patria, e fuori dai confini nazionali. Ho vissuto per un lungo periodo di anni, nel nord est d’Italia, estrema regione italiana nord orientale confinante con l’Austria e la Jugoslavia. Due etnie legate alle citate nazioni e la comunita’ italiana, a ciascuna nelle loro case parlarono il loro dialetto o nella loro lingua d’origine. L’Italiano non era obbligatorio, ma era la circostanza logica che venisse parlata da tutti in quanto citta’ italiane.

Le culture e le tradizioni delle tre nazioni si diversificavano nella forma e sostanza, ma il forte spirito civico riusci’ a coalizzare il comune vivere rispettando le leggi italiane. Non ricordo che ci fossero attriti di carattere nazionalistico, per onesta’ non intendo nascondere che nel 1941-1942 zona confinaria per ragioni puramente cautelative, ci fu un provvedimento che nelle Citta’ e rispettive Province di prima frontiera. Ci fu un periodo dell’obbligatorieta’ a coloro che si rivolgessero negli uffici pubblici, furono soggetti all’ordine perentorio e tutti obbligati a parlare in italiano, fin qui, era tollerabile, ma l’obbligatorieta’ non fece distinzione di chi fosse giovane e parlasse due o tre lingue, o gli anziani non in grado a comprendere l’italiano e per questi motivi ci fu come un senso di colpa per chi non fosse in grado a dialogare nella nostra lingua. Ho citato l’episodio, ma come fatto di cronaca che non ebbe reazioni o contraccolpi nella quiete pubblica che si respirava in quell’angolo confinario anche se eravamo entrati nel cuore del II conflitto mondiale.

Questi episodi sono un po la chiave di lettura, perche’ vivere in una societa’ multietnica comportava anche la capacita’ che fossero sempre vive le nostre origini e rivendicandone la nostra indiscutibile italianita’. Questo non mi ha impedito a frequentare ed allargare le mie amicizie con ragazzi e ragazze dalle piu’ svariate origini e sono stato sempre amico di tutti. La politica nazionale di allora era semplice: non rinnegare per nessuna ragione le origini e la nostra nazionalita’, la difesa della lingua e della cultura italiana, ma senza provocazioni che potesse urtare il tuo vicino che era nato nella nazione con una bandiera che ovviamente non poteva essere il Tricolore.

Perche’ amo la mia Patria e la mia Italia. Perche’ in quelli anni dal 1940 al 1945, ho frequentato l’ambiente dell’associazione cattolica italiana l concetti della Patria e Nazione erano di casa (non a caso la lingua ufficiale della Citta’ del Vaticano e’ l’Italiano). I sacerdoti ed i missionari italiani sono visibili in tutte le parti del mondo, non solo parlano in italiano. ma sono i veri difensori delle nostre radici delle nostre tradizioni e difendono e diffondono la lingua e la cultura italiana. Sono fiero dell’opera dei Sacerdoti Italiani per tutto quello che hanno realizzato e costantemente impegnati nel loro difficile ruolo di missionari della Chiesa Cattolica Aoostolica Romana. Perche’ amo la mia patria e la mia Italia? Nell’ essere italiano crebbe il mio orgoglio ed educato ad amare la mia Patria e la mia IItalia, da quando ero un bimbo d’Italia nella mia citta’ adottiva, cosi furono tutti i bimbi d’Italia in tutte le altre citta’, durante il Regno d’Italia ed il regime Fascista, (dal 1925 al 1943) venne modellata una gioventu’ schietta e sincera, dedita allo studio e chi ai mestieri, la formazione professionale programmata nell’ambiente universitario.

Non credo si possa dimenticare, che le citta’ erano silenziose e gli operai tranquilli e operosi nelle fabbriche, gli impiegati ed i funzionari negli uffici, i commercianti nei loro negozi, una disciplina direi volontaria e una pulizia sulle strade e nei giardini, c’era il tempo da dedicarlo alla parrocchia, ma c’erano anche i tempi dedicato allo studio ed al dopo scuola, a tutte le discipline sportive ed ampio spazio al giuoco del calcio lo sport piu’praticato ed amato dagli italiani e fu d’esempio perche’ furono campioni del mondo di calcio nel 1934, campioni olimpionici di calcio nel 1936 e campioni del mondo di calcio nel 1938.

La formazione giovanile nelle colonie durante le ferie estive offerte gratuitamente ai figli delle famiglie meno abbienti e non. E che dire dell’organizzazione delle Ferrovie dello Stato, partenze ed arrivo all’ora esatta. Nelle Scuole a tutti i livelli massimo rispetto agli insegnanti, maestri e professori. Alle Universita’ ancora con piu’ rispetto nei confronti dei docenti. Forse mancarono i libri di testo per tutti, ma all’occorenza si rimediava e il grado d’insegnamento molto elevato sia nelle scuole elementari, medie tecniche liceali e universitarie. Se le scuole italiane non avessero avuto l’adeguata preparazione culturale, come mai ci sono state tanti scienziati e fughe di cervelli anche durante il periodo del ventennio?

Non c’e’ che una spiegazione, in quel periodo, gli studenti studiarono e non vissero una vita allucinante supportata dalle dosi di droghe di ogni natura e che oggi a causa della liberta’ sfrenata senza confine si concede e si tollera senza preuccuparsi del flagello che fa nelle fila dell’umanita’. All’epoca le famiglie furono al centro della societa’ e lo Stato supporto’ nei limiti consentiti dall’economia ancora rurale, ma si avvertirono i primi segnali di una Italia industrializzata. Comunque le famiglie piu’ numerose, si accontentarono quello che trovarono nella mensa o a tavola. Anche se le condizioni di vita, distanti dall’agiatezza, gli italiani, orgogliosi ed umili si vestirono con sobrieta’ ed allo stesso tempo con dignita’. Non escludo che ci fossero altre fascie sociali piu’ fortunate che si esibirono in pubblico come se fossero artisti o cantanti, ognuno nel proprio binario.

Naturalmente non si poteva non amare la Patria e la mia Italia, affidata a un governo forte, stabile e fascista, scomodo probabilmente a qualche nazione emergente nello scenario della politica internazionale di quel radioso periodo storico. Ma per tutti gli italiani operosi, la politica nazionale non era affatto lontana dalla gente e nel limite delle poche risorse economiche contribui’ a migliorare la societa’ italiana e il Regno d’Italia. Come e’ possibile dimenticare l’enorme mole di costruzioni e non mi riferisco a poche o molte case o palazzi, ma terreni bonificati, di nuove citta’ costruite nel periodo del ventennio fascista ed altre istituzioni come testimonianze della loro efficienza ed operosita’ anche dopo il periodo post bellico.

Queste e’ la logica che aiuta a comprendere che cosa e’ il vero significato della mia patria.. Sono e saro’ orgoglioso per avere avuto la fortuna d’essere nato nella mia Italia., sempre disponibile ed a difenderla da ogni attacco di critiche ingiuste ed ingiuriose sia se promosse dall’interno o dall’esterno della mia Nazione.

Perche’ amo la mia patria e la mia Italia? Perche’ a pochi giorni dalla fine della II guerra mondiale, nella mia citta’ di residenza furono frequenti i transiti di soldati del Regio Esercito e d’occupazione di forze militari straniere da quello Tedesco, dal Corpo di partigiani italiani e jugoslavi e quello Anglo-Americano ed ogni periodo ha una storia a se. Ma tutte le citta’ d’Italia, escluse quelle dell’Istria, Fiume e della Dalmazia che ci furono tolte dal trattato di Pace del 1947, firmato a Parigi, sono rimaste nel tempo ancora dei baluardi di liberta’ e legata perennemente al Tricolore d’Italia. Dalla politica italiana di questi giorni, percepisco che la confusione, lo smarrimento, il vuoto politico e l’insano martellamento generato da qualche cosa o forza non identificabile, ed ho la sensazione che questa Italia, prova oggi, quello che fu oggetto oltre mezzo secolo fa. Le grandi nazioni, detengono il potere e hanno i loro indiscutibili interessi. Il protagonismo esercitato dall’Italia di oggi come quella d’allora, le nostre virtu’, i nostri talenti hanno una naturale grandezza e la voglia di fare una politica di equi-distanza non credo sia mai stata gradita, forse l’Italia condannata perennemente al ruolo di nazione e partecipazione e non e’ concesso il diritto al protagonismo? Secondo il mio modesto punto di vista, non sono i deboli e fievoli contrasti nell’ambito della politica interna italiana, ma se c’e’ qualcosa anomola e’ da ricercare altrove i mali che affliggono l’Italia. Comunque sia, amo la mia patria ed amo l’Italia.

On. Michele Frattallone, presidente del Comitato Tricolore per gli Italiani nel Mondo, Inc., candidato alle elezioni politiche 13-14 aprile 2008 –

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