On. Franco Narducci (PD): Lo scudo fiscale minaccia il lavoro transfrontaliero

Ci risiamo! Ancora una volta una legge dello Stato italiano colpisce in modo deplorevole un rilevante numero di cittadini, poiché durante il suo iter di approvazione non sono state valutate gli effetti e le ripercussioni che avrebbe avuto su una significativa parte di popolazione.

Stiamo parlando delle lavoratrici e dei lavoratori frontalieri che quotidianamente o settimanalmente varcano il confine con la Svizzera, dove sono occupati, una forma di emigrazione antica che si perde nel tempo, con una dimensione numerica impressionante: sono più di 40 mila i frontalieri occupati in Svizzera, provenienti dalle Regioni italiane di confine, 17 mila circa dalla Provincia di Varese e 15 mila da quella di Como.

Una consistenza destinata ad accrescersi per effetto della mobilità occupazionale e delle disposizioni di legge per l'accesso al mercato del lavoro elvetico, frutto degli accordi bilaterali stipulati con l'Unione Europea e relativa introduzione della libera circolazione delle persone e alle facilitazioni in materia di permessi di residenza: si può essere frontalieri pur essendo domiciliati a Palermo, Roma, o Berlino.

La conversione del decreto legge 3 agosto 2009, n. 103, recante disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009”, meglio nota come “Scudo fiscale” per l'emersione e il rimpatrio dei capitali esportati all'estero, ha suscitato moltissime preoccupazioni tra i lavoratori frontalieri per quanto concerne l'applicazione sia dello scudo stesso, sia per la circolare n. 43/E emanata dall'Agenzia delle entrate per “l'emersione di attività detenute all'estero”.

Lo scudo fiscale – approvato fra mille polemiche dal Parlamento italiano – pone molti interrogativi ai lavoratori frontalieri che, come accade ovunque, hanno un conto salario in una banca svizzera sul quale il datore di lavoro versa la retribuzione dovuta. Spesso il predetto conto resta acceso per custodire i risparmi messi faticosamente da parte, anche ad attività lavorativa terminata.

L'Agenzia, nell'ambito dell'azione di contrasto agli illeciti finanziari internazionali, ha inviato dunque circa 40 mila comunicazioni a contribuenti che negli ultimi cinque anni sono stati iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero.

Il questionario allegato alla comunicazione, oltre a richiamare alcuni specifici obblighi dichiarativi (redditi prodotti all'estero e soggetti in Italia all'imposta personale sul reddito o a imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e degli investimenti e delle attività finanziarie suscettibili di produrre redditi di fonte estera imponibili in Italia), reca le sanzioni previste in caso di inosservanza.

La lotta all'evasione e agli illeciti finanziari è sacrosanta ma qui non stiamo parlando di persone che hanno trovato rifugio nei paradisi fiscali, bensì di persone che per decenni hanno attraversato il confine (in molti casi in condizioni di traffico e climatiche durissime, basti pensare ai passi alpini), trovando un impiego nell'edilizia, nella costruzione di strade e tunnel, o in fabbrica. Sono cittadini che hanno regolarmente pagato le tasse in Svizzera – come disposto dagli accordi sulla doppia imposizione fiscale – ed hanno contribuito, va detto al loro merito, a sviluppare l'economia dei Paesi di confine evitando anche lo spopolamento di interi comuni. Questa distinzione è doverosa e va fatta.

Al Ministro Tremonti – valtellinese e quindi ben a conoscenza di queste problematiche – chiediamo di intervenire a fare chiarezza e ad esonerare questi lavoratori sia dallo scudo che dal monitoraggio fiscale.

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