La grande speranza “bianca” (lettera aperta a Valter Veltroni)

Gentile Valter Veltroni,

lei di certo ricorderà quando l’America e l’Europa dei W.A.S.P. (White Anglo Saxon Protestant, ma diavolo, nomen omen, significa anche Vespa), cercavano un campione “bianco” da contrapporre, per il titolo dei Pesi Massimi, ai “neri” dominanti. In verità, io tifavo per i neri, più bravi, più eleganti e (ahimé) anche più belli. Ogni “speranza bianca” comunque (mi viene in mente Frank Bruno, o, in tempi di apartheid, il sudafricano Coetzee), si è rivelata, prima o poi, un flop.
Nel desolato panorama politico nazionale, lei è stato per noi l’equivalente positivo della “grande speranza bianca”, che poteva opporsi alla marea del grigio (non dico “nero”, per evitare connotazioni politico-razziali) che avanzava ed avanza. Mi perdoni: devo dirle che non ho mai militato in alcun partito, tanto meno nel suo, a parte un’esperienza di pochi mesi, a quattordici anni, nel Fronte della Gioventù, quando temevo il comunismo sovietico e, nella mia ingenuità, credevo in una destra liberal-sociale.
Ma non sono neppure un pentito: schifato, ho capito subito e sono andato via, più lontano possibile, rifugiandomi, casomai, nell’Ezra Pound combattente contro l’Usura e la follia del tempo, paladino del “credito sociale” (espressione allora eretica, oggi di moda), alla ricerca di una solida impostazione per la sua Città di Dioce, il Pound dell’essere uomini non distruttori (nulla di più distante dal simbolo imbecille degli attuali abitatori di una fantomatica CasaPound).
Ebbene, caro Valter, nonostante la mia mancanza di fiducia indotta dai fatti e il mio forzato anarchismo, le confesso che, per un periodo non breve, ho creduto in lei, tanto da votare perfino alle insulse primarie del nuovo partito, che già nasceva con i simboli sbagliati, troppo simili a quelli di un più abile avversario. E non sono stato il solo a darle fiducia. Ora capisco che la mia, la nostra speranza, derivava dallo stesso motivo che l’ha condannata alla sconfitta, cioè il fatto che lei non è un “politico”, non nel senso che diamo oggi a tale termine bistrattato.
Quindi, non potevamo vincere. Nel momento in cui il grigio si fa ovunque più intenso, fino a sconfinare nel nero, siamo ancora qui, un poco più perduti, a chiederle: “Cosa ci resta? Verso quale orizzonte possiamo indirizzare i nostri difficili passi? Possiamo solo fare parte per noi stessi?” Mentre anche l’ottimismo della volontà sembra abbandonarci, sommerso da tonnellate di lustrini e di promesse vane, non mi attendo risposte, eppure…

Sandro Cordeschi

scordeschi@yahoo.com

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