di Antonio Di Giovanni
Non meno di qualche mese fa ho scritto proprio su questo sito un articolo sull’infibulazione, una tradizione orribile perpetrata sulle donne africane, un atto di violenza ingiustificabile e inqualificabile compiuto in nome di una fantomatica quanto improbabile tradizione religiosa. Oggi apprendo tristemente che ad Aceh, nella provincia nord – occidentale dell’Indonesia, nelle prossime settimane diventerà legge la condanna a morte tramite lapidazione per le donne che si rendono responsabili di adulterio e la fustigazione in pubblico per le probabili relazioni prematrimoniali, in applicazione delle norme penali della ‘sharia’. Questa non è altro che il complesso di norme religiose, giuridiche e sociali direttamente fondate sulla dottrina coranica. In essa convivono regole teologiche, ritualistiche, morali insieme a quelle che noi chiameremmo norme di diritto privato, affiancate da norme fiscali, penali, processuali e di diritto bellico. ‘Sharia’ significa, alla lettera, ‘la via da seguire’, ma si può anche tradurre con la locuzione: ‘legge divina’. Secondo quanto dichiarato dal Vicepresidente del parlamento autonomo locale, la normativa gode di un vasto consenso sociale e politico, malgrado vi sia chi vi si oppone in nome del rispetto dei diritti umani e della moderna Costituzione. Certo, è difficile per noi oggi comprendere cosa significhi obbedire ad una legge che possa ritenersi ‘rivelata’, stabilita da Dio e che, pertanto, è l’unica valida. Noi di laici.it continuiamo a pensare che possano coesistere le leggi del codice laico con quelle del codice religioso, proprio perché siamo figli di colui che per primo si ribellò alla vista di un’adultera condotta alla lapidazione. Tutto ciò fa rabbrividire, poiché il non rispetto verso le donne nei Paesi musulmani è inconcepibile. Solo per rendere l’idea di ciò, si sappia che in Pakistan, a causa dei decreti ‘Hudood’, promulgati nel 1979, molte donne rischiano punizioni crudeli. Ad esempio, il crimine detto ‘zina’ (rapporti sessuali extraconiugali volontari) può essere punito con la pubblica flagellazione e la lapidazione. Rischiano l’accusa di ‘zina’ le donne che sono state violentate, che denuncino o meno l’aggressione subita. E se si rimane incinta a seguito di uno stupro non denunciato, una donna può essere accusata di ‘zina’. Inoltre, per una donna che denuncia uno stupro, l’onere della prova grava su di lei. Parecchie donne pakistane hanno accusato degli uomini di violenza carnale, in passato, ma non sono riuscite a provarlo in Tribunale, dove invece gli imputati sono stati assolti e le querelanti sono state accusate ‘zina’. Mi percorre un senso di grande disagio mentre scrivo questo articolo e mi riesce difficile pensare che il mondo sia inerte, davanti a questo genere di situazion’. Per carità, si muovono associazioni come Amnesty International e altre come l’IHEU in Gran Bretagna. Ma andrebbe fatto di più, molto di più. Bisogna aumentare le campagne di protesta e spingere i Governi di tutte le nazioni a pronunciarsi ufficialmente contro la ‘sharia’ e fare in modo che vengano aboliti i Tribunali islamici presenti in occidente, al fine di favorire la difesa dei diritti umani individuali contro le imposizioni religiose. Anche perché l’Islam non nasce come religione discriminante in base ai sessi. La conferma di questa asserzione ci viene fornita da una persona che certo non può essere accusata di essere fautrice del fondamentalismo islamico: l’iraniana Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace nel 2003. In un’intervista pubblicata sul ‘Corriere della Sera’ del 26 gennaio 2004 la Ebadi, musulmana convinta e praticante, oltre che personaggio simbolo per le sue battaglie in tema di diritti umani, ha affermato che la distinzione dei diritti tra i due sessi “non è sancita nelle fonti primarie, bensì in una prassi maturata successivamente, che ha visto il sesso maschile mutare certe leggi”. Fra i primi musulmani che diedero fiducia al profeta Maometto spiccavano due figure femminili: la moglie Aisha e la figlia Fatima, andata in sposa ad Alì. Ciò dimostra che l’Islam non nasce assolutamente come religione discriminante in base ai sessi. Il Corano stesso non effettua distinzioni, ricordando che la rivelazione è indirizzata alla stessa maniera a musulmani e musulmane. Quindi, solo con l’avvento del ‘wahabismo’, l‘ideologia purista predicata dal teologo Wahab nel secolo XVIII, venne sancita la sottomissione della donna. Interpretata, poi, con i tempi moderni, furono imposte molte altre discriminazioni: divieto di lavorare, di guidare la macchina, obbligo di indossare vestiti che coprano il corpo fino alla caviglia . Questa è stata la vera distorsione della religione islamica professata da Maometto. Al riguardo, si deve ricordare che il ‘wahabismo’ non è mai divenuto ideologia maggioritaria nell’Islam, essendo religione di Stato solo in Arabia Saudita. Ed è proprio in questo Paese, uno dei più fedeli alleati dell’Occidente, che i precetti di Wahab trovano applicazione ancora oggi e le violazioni dei diritti della donna sono evidenti. Quando si parla di soppressione dei diritti delle donne nel mondo musulmano, gli abitanti dei Paesi cosiddetti civili ed evoluti, dovrebbero recitare il mea culpa giacché, per ragioni politiche, troppo spesso è stato chiuso un occhio su violazioni palesi avvenute in Stati considerati amici. (Laici.it)