La bomba globale del debito pubblico

Mario Lettieri, sottosegretario all’Economia nel governo Prodi
Paolo Raimondi, economista

Un nuovo fantasma si aggira nelle stanze dei governi e nelle borse dei maggiori mercati mondiali: il debito pubblico!

Nel giro di pochi mesi è cresciuto a dismisura come una classica bolla pronta a esplodere. Si va ad aggiungere alle altre mine vaganti della finanza internazionale che fino ad ora si è sottratta a nuovi e più stringenti regole e controlli.

Negli Stati Uniti il debito pubblico nel 2009 aumenterà di 2.000 miliardi, il 22% in più in un anno, arrivando a circa 11.500 miliardi complessivamente.

Il PIL americano è intorno ai 14.000 miliardi, ma nei primi sei mesi dell’anno ha perso oltre 200 miliardi a causa della recessione economica che fa chiudere fabbriche, crea disoccupazione e riduce i livelli di vita della gente.

L’incidenza del debito pubblico dell’82% sul Pil americano sembra contenuta rispetto al livello italiano del 115%, ma occorre non dimenticare che gli USA vantano anche un debito privato di oltre 14.000 miliardi.

Si stima che nel 2009 l’Europa metterà sul mercato obbligazioni per 800 miliardi di euro. in massima parte per coprire i nuovi disavanzi.

In Germania il debito pubblico aumenterà di circa 200 miliardi. In Spagna il disavanzo è aumentato di 50 miliardi di euro in 7 messi e si teme che a fine anno possa salire all’8-10% del Pil. In Francia il ministro del bilancio calcola un aumento del debito del 10% nel 2009, pari a circa 130 miliardi di euro.

In Inghilterra, con un debito privato pari al 115% del Pil, la stampa denuncia che, a seguito delle nazionalizzazioni della Lloyds Bank e della Royal Bank of Scotland in crisi, il governo, accollandosi i loro titoli tossici, porterebbe il debito pubblico dal 46 al 150% del Pil! In Giappone il debito pubblico è già al 170% del Pil e aumenterà quest’anno di parecchie centinaia di miliardi di dollari.

In Italia da gennaio a giugno il debito pubblico è aumentato di 90 miliardi raggiungendo la vetta dei 1752,2 miliardi.

E le recenti proiezioni fatte dal FMI sul suo andamento nei paesi industrializzati sono ancora più cupe

Non è quindi esagerato parlare di un aumento del debito pubblico globale nel solo 2009 di circa 4.000 miliardi di dollari che dovranno essere coperti da nuovi titoli dello stato.

Non siamo dei monetaristi che vedono nel debito pubblico una perniciosa interferenza dello stato negli affari economici. Al contrario, crediamo che esso possa avere un importante effetto di stabilità e di stimolo, ma soltanto se viene usato virtuosamente per sostenere e promuovere i settori dell’economia reale, a cominciare dalle grandi infrastrutture che richiedono investimenti di lungo termine.

Allo scoppio della Grande Depressione del 1929 il debito pubblico americano era del 17% del Pil. Salì al 40% nel 1934, al 43% nel 1938 e al 121% nel 1946 per il gigantesco impegno nella mobilitazione militare e nella ricostruzione.

Però sosteneva investimenti nella produzione, anche quella bellica, che poi ebbe ricadute positive nei settori dell’economia civile, per cui il debito venne poi progressivamente riassorbito.

In questi mesi invece si è creato nuovo debito pubblico, in maggior parte neanche per sostenere le spesi correnti, cosa di per sé già problematica, ma per acquistare titoli tossici dalle banche. Solo una piccola parte è andata ad aiutare in modo concreto l’economia produttiva.

A partire dalla situazione patologica americana, molti si chiedono quale sarà l’effetto a medio termine di tanto debito e di tanta liquidità sull’inflazione.

Inoltre, si stima che l’anno prossimo gli USA e l’Europa dovranno rifinanziare enormi quantità di Obbligazioni del Tesoro in scadenza, rispettivamente per circa 3.000 miliardi di dollari e per 300 miliardi di euro.

Anche l’Italia nei prossimi 12 mesi dovrà rimborsare oltre 320 miliardi di vari titoli di stato in scadenza.

E’ difficile non immaginare che simili movimenti non provochino serie turbolenze sui mercati e sui tassi di interesse.

Il debito pubblico e i titoli di stato sono strumenti molto delicati e pericolosamente devastanti se usati male. L’emergenza della crisi ha erroneamente spinto molti governi a farne uso in modo sbagliato, cioè quasi esclusivamente per salvare istituti finanziari in bancarotta. L’idea che lo stato sia il creditore di ultima istanza funziona e crea stabilità se non se ne abusa. Il default dell’Argentina avrebbe dovuto insegnare qualcosa!

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