Ferragosto in carcere

Come altri miei colleghi, ho raccolto l’invito dei Radicali a passare il “Ferragosto in carcere”. Così, venerdì, ho visitato la struttura di Sollicciano a Firenze e l’attiguo Istituto per minori, dedicato alla memoria di Mario Gozzini (padre della riforma carceraria, scomparso giusto dieci anni fa), conosciuto dai più come Solliccianino. Sabato, invece, sono entrato nel penitenziario di Massa, la mia città.

Dico subito che, mentre al ‘Gozzini’ e a Massa ho trovato sì problemi, ma anche occasioni di lavoro, impegno culturale e ambienti vivibili, son rimasto impressionato del degrado e anche del disfacimento fisico del più grande carcere di Firenze. Qui oltre al sovraffollamento, che caratterizza l’intero sistema carcerario italiano ed alla carenza del personale, è ormai venuta meno ogni parvenza di umanizzazione della pena, è scomparsa la filosofia del recupero e del reinserimento del detenuto, ogni progetto scolastico, formativo e lavorativo. Gli stessi agenti di custodia rischiano l’abbruttimento. La presenza, infine, ben oltre il 50%, di stranieri, lascia ormai spazio soltanto all’azione dei mediatori culturali.

Del resto, l’idea di questa visite era (è) proprio quella di approfondire la conoscenza e denunciare, portare all’esterno la triste realtà che ogni giorno vive quella che io chiamo un’umanità dolente. Ma anche per vedere come operano (ed in quali condizioni) non solo gli agenti, ma anche i medici, gli infermieri, gli psicologi, gli educatori e come favorire il rispetto dei valori sanciti dall’art. 27 della Costituzione per il quale “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Intorno a questa ‘giornata particolare’ ho raccolto apprezzamenti, ma anche scherno e qualche battuta pesante. Su Facebook un’amica mi ha scritto “per carità…ammirevole iniziativa…ma prima di Caino…c'è Abele da tutelare…e non mi sembra che in Italia questo succeda sempre…”. Pur trovando in questo messaggio la conferma di quanto mi aveva confidato (”la pietà sta scomparendo”) Don Mario Bigali che ha accompagnato me e Severino Saccardi , Consigliere Regionale del Pd, nella visita tra le celle fiorentine, mi interrogo e cerco di capire perché molte persone, non necessariamente di destra e forcaiole, pensano che per chi delinque l’unica soluzione sia “buttare la chiave”.

Me lo spiego soltanto con il clima di paura che si è alimentato in questi anni nel Paese. Con l’impatto che si ha di fronte a chi sentiamo diverso da noi. Per l’ignoranza che si ha della situazione carceraria, dove dentro – insieme a fior di delinquenti – ci sono per lo più disgraziati e ladri di polli. A Massa, ad esempio, c’è un povero cristo (è proprio il caso di dirlo), solo al mondo, senza fissa dimora, che per aver rubato una decina di euro dalla cassetta delle elemosine s’è beccato 9 mesi di reclusione.

Ricordo, anni fa, un direttore che mi diceva: “Il carcere non è un posto per ricchi”. Aveva (ha) tragicamente ragione. I furbetti del quartierino, gli Agnelli che nascondono due miliardi di euro nelle banche svizzere, la mafia dei colletti bianchi, gli imprenditori senza scrupoli (i Tanzi, i Cragnotti, i Consorte) trovano sempre un buon avvocato che fa cadere in prescrizione i loro reati. E, forse, anche più d’uno fra gli uomini politici.

I dati che abbiamo raccolto sono drammatici. In Toscana siamo tornati al sovraffollamento del preindulto: 4.243 detenuti in 18 istituti (compreso l’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino) costruiti o ristrutturati per ospitarne 3.060. A Sollicciano ci sono 932 (di cui 98 donne) in una struttura pensata per ospitarne 458. A Massa 239 a fronte di 115 posti letto regolamentari. Ho visto celle di pochi metri quadrati in cui sono stipati ora 4, ora 5,a volte anche 6 detenuti. Letti a castello e letti a scomparsa. Gabinetti e docce in cui ciascuno di noi si rifiuterebbe persino di entrare. E’ vero. Hanno sbagliato. Devono pagare. Ma gli interessi che applichiamo loro sono spesso insostenibili. Roba da suicidio. E, infatti, sono molti, troppi quelli che non reggono. Suicidi e morti sospette. Fra i carcerati, ma anche fra gli agenti penitenziari. Anch’essi parte dell’umanità dolente. Seppur a part-time.

A Massa, un gruppo di detenuti mi ha consegnato una lettera che pesa in tasca come un sasso: “Onorevole, vorrebbe farsi portavoce del fatto che i detenuti non chiedono la luna, ma solo coerenza con leggi che, per definizione, non dovrebbero commettere crimini peggiori di quelli commessi dalle persone? E’ molto chiedere il rispetto minimo della dignità? E degli affetti?”.

Ne sono uscito con un senso di impotenza. A livello nazionale, a luglio 2006 (prima dell’indulto) c’erano 60.710 carcerati. A dicembre erano scesi a 39.005. Oggi siamo oltre quota 63.000. Molti di quelli usciti sono tornati dietro le sbarre. Senza alcun progetto di reinserimento anche chi è a fine pena sa che la libertà durerà poco. Aggiungiamo che da una settimana è reato anche la clandestinità. Basterà, quindi, arrestare i primi diecimila di quel milione e mezzo di clandestini che stima la Caritas per immaginare il disastro prossimo venturo.

Noi potremo anche ‘buttare la chiave’, ma non servirà a salvarci dalla marea che sta montando.

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