CRISI: LA CONSOB PARLA DI "ASFISSIA"

DOPO GLI ALLARMI DEL GOVERNO, DI CONFINDUSTRIA E DI BANCA D’ITALIA, PERFINO LA CONSOB TEME PER LE NOSTRE PMI

di M. Sironi

Rischio di asfissia, mancanza di ossigeno, necrosi di interi settori produttivi: da qualche tempo la finanza italiana ha adottato un gergo da “ER, medici in prima linea”, espressamente utilizzato quando si parla del nostro gia’ vivace tessuto industriale, cioe’ per intenderci dell’esercito dei 180.000 piccoli e medi imprenditori su cui riponiamo le nostre speranze per una rapida uscita dalla crisi. A loro infatti dobbiamo il 68% del l’export nazionale (dati Istat). Parlare di asfissia potrebbe sembrare una delle tante mode ricorrenti: qualche anno fa tutti i top manager delle societa’ quotate in Piazza degli Affari si sentivano in dovere di “creare valore per gli azionisti”, e lo hanno fatto dando il via ad una grandiosa stagione di stock option (a loro riservate per lo piu’), e di generosi dividendi.
Ma nessuno si stupisce se Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, parla del rischio di asfissia per i suoi associati. A memoria d’uomo nessun presidente di Viale dell’Astronomia si è mai lamentato perche’ il costo del denaro era troppo basso. Quanto alla Banca d’Italia, il governatore Draghi nelle “Considerazioni Finali” del 31 maggio scorso ha detto che “non si puo’ chiedere alle nostre banche di allentare la prudenza nell’erogare il credito”: ovvio che no, essendo proprio questa prudenza la ragione per cui il nostro sistema ha retto il colpo delle ecatombi finanziarie di Oltre Oceano. Ma, ammette Draghi, il rischio di asfissia è serio per il mezzo milione di imprese con meno di 20 addetti, che peraltro danno lavoro a due milioni di persone. E non solo per loro: secondo dati raccolti da via Nazionale l’otto per cento delle imprese italiane si è sentito rispondere un “no” alla richiesta di finanziamento (contro meno del tre per cento nel 2007), mentre da ottobre scorso in poi a piu’ del dieci per cento è stato chiesto di rientrare anticipatamente dai prestiti accordati.

Cosi’, salomonicamente, Draghi ha passato la palla alle banche raccomandando loro di “affinare la capacita’ di riconoscere il merito del credito”, evitando di applicare alla clientela “procedure di credito automatizzate”.

Fin qui tutto nella norma. Prevedibili le reazioni del mondo politico e industriale: il Governo ha rafforzato il Fondo di Garanzia per le PMI mentre Enrico Letta, forse il piu’ apprezzato economista della sinistra, faceva appello al “dovere collettivo” di salvaguardare i nostri cento distretti industriali dal rischio di de-industrializzazione. Brillantemente , Barclays e Confindustria insieme si sono inventate il “rating di filiera”, che sta per diventare legge, cioe’ un giudizio di affidabilita’ da assegnare alle reti tra imprese (non solo i tradizionali distretti industriali ma anche le filiere piu’ lunghe che travalicano la dimensione locale) per facilitare l’accesso al credito.

Ma il segno dei tempi lo ha dato Lamberto Cardia, presidente della Consob – Commissione Nazionale per le Societa’ e la Borsa – che il 13 luglio scorso, nel suo tradizionale “Incontro con la Comunita’ Finanziaria” si è unito al coro: “solo le imprese di piu’ grandi dimensioni – ha detto preoccupato – riescono a reperire sul mercato capitale proprio e a collocare prestiti obbligazionari. Gran parte delle imprese medio piccole trova difficolta’ “. I dati gli danno ragione: nel lo scorso anno – dice la relazione Consob per il 2008 – le nostre societa’ quotate hanno fatto aumenti di capitale tutti a pagamento per 7,3 miliardi contro i 4 miliardi del 2007, mentre ben poco denaro (solo 143 milioni) è stato raccolto tramite IPO, cioe’ la procedura di ammissione di una nuova societa’ in Borsa.

Crollate anche le emissioni di obbligazioni , ma – si badi bene – solo se l’emittente è una societa’ non finanziaria, perche’ invece le emissioni obbligazionarie delle nostre banche (che pure figurano nel listino di Piazza degli Affari) sono andate alla grande, con un incremento del 72%. Per non parlare delle cartolarizzazioni sui mutui, quadruplicate da 16 a 56 miliardi. La lettura del fenomeno è abbastanza chiara: le banche affrontano la penuria di liquidita’ con gli strumenti che hanno a disposizione, e del resto se non sono loro a fare il pieno per prime come potrebbero distribuirlo in giro? Ma per il piccolo e vivace esercito delle imprese formica il fido bancario resta la sola possibilita’ di sopravvivenza.

Perche’ non c’e’ niente da fare, e Cardia lo sa bene: ai nostri “brambilla” la quotazione in Borsa non interessa, neppure in un segmento di Piazza degli Affari pensato apposta per loro come il MAC ( Mercato Alternativo dei Capitali) dove i requisiti per l’ammissione sono veramente esigui. Nato due anni fa per accogliere centinaia di PMI, oggi le societa’ quotate sono solo cinque, numero in curioso contrasto con quello dei posti nel consiglio di amministrazione del MAC medesimo (24 seggi). E sconcerta anche una notizia di due giorni fa: è stato nominato un collegio incaricato di disciplinare eventuali OPA (offerta pubblica di acquisto), cioe’ l’operazione tramite la quale una delle cinque societa’ in listino potrebbe decidere di uscirne, ricomprandosi le azioni in circolazione. Che questa nuova nomina sia un gesto scaramantico?

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