IL PD CHE VERRA…SUPERARE IL CONFORMISMO CONCETTUALE CHE E’ LA PRINCIPALE CAUSA DELLA SCONFITTA

Intervista a Luciano Neri

da L’Altrapagina
a cura di Simone Cumbo

Qual è la percezione che all’estero si ha dell’Italia, è veramente così negativa? E quale quella sullo schieramento di centrosinistra?
«La considerazione che si ha del nostro Paese è pessima, veramente. E credimi, non lo dico per spirito di appartenenza. Era già abbastanza negativa prima delle performance di Berlusconi, per tante fondate ragioni che a noi paiono normalità e che all’estero, per fortuna, continuano ad essere anomalie. Come quella di un paese che ha pezzi consistenti del proprio territorio direttamente controllato dalle organizzazioni mafiose, o come la corruzione politica o il razzismo legittimato per legge e con voto del parlamento. In molti Paesi europei, anche per effetto della crisi e della crescita della paura sul futuro, sono nati partiti razzisti e separatisti come la Lega, ma il Fronte Nazionale di Le Pen in Francia o i gruppi xenofobi in Germania non sono al governo, sono marginali e minoritari. In Italia la Lega è al governo e anzi detta l’agenda del governo. Le vicende successive di veline e minorenni e dei loro rapporti con il Presidente del Consiglio hanno drammaticamente abbassato il livello di credibilità non solo e non tanto di Berlusconi e della compagine di governo, ma del sistema Paese e dell’Italia nel suo complesso. Finalmente anche la Cei ha sentenziato che il libertinaggio, specialmente se coinvolge minori, è un fatto grave e quando coinvolge personalità pubbliche non può essere considerato un fatto privato. Ora che si sono pronunciati i vescovi speriamo che anche il Pd sia meno prudente e affermi con forza il principio etico che i comportamenti personali del ceto dirigente hanno sempre valenza politica».
Tu hai in diverse occasioni espresso perplessità su come il Pd è nato e sullo stesso percorso congressuale e sulle primarie tra Franceschini e Bersani. Quali sono le ragioni?
«I tempi, nella vita come in politica, sono determinanti. Una scelta giusta fatta al momento sbagliato diventa una scelta sbagliata. Il Pd doveva nascere nel 1996 con l’Ulivo, ma gli apparati l’hanno impedito e Prodi non ha avuto la lungimiranza e il coraggio di forzare per costituire quel soggetto politico che gli elettori avevano fortemente chiesto con il voto. Così il Partito democratico è nato tardi e male, con oltre 10 anni di ritardo. Ed è nato solo formalmente perché sostanzialmente deve ancora nascere. Il pericolo che vedo è che con il congresso e con le primarie, se non verranno gestite con serietà e lungimiranza, il progetto del Pd rischia di fallire prima ancora di nascere».
Perchè tu vedi così alto il rischio nel mentre, almeno sulla carta, si avvia un processo di decisione democratica?
«Franceschini e Bersani sono due candidati assolutamente capaci, stimabili e onesti. Ma le primarie devono essere un confronto sulla politica, sulle scelte economiche, sul modello di società, sulla democrazia, fuori e dentro i partiti. E su queste domande vedo un gravissimo deficit che è soprattutto culturale, che non ci fa comprendere quanto la sconfitta della sinistra, in Italia e in Europa, abbia radici lontane e profonde. Noi in Italia discutiamo ancora di comunismo quando in Europa è superata anche l’esperienza socialdemocratica. E nel frattempo non comprendiamo come è cambiata la società, non rispondiamo con la necessaria radicalità di pensiero e di azione ai drammi crescenti, materiali ed esistenziali, delle persone in carne ed ossa. Siamo prigionieri di un conformismo concettuale che è la principale causa della sconfitta».
Eppure nonostante le sconfitte la sinistra europea è quasi interamente dominata da partiti socialdemocratici, e lo stesso Pd al parlamento europeo è in coalizione con il gruppo socialista.
« Non si può prescindere dalla realtà, in Europa tutti i partiti socialisti e socialdemocratici sono stati sconfitti, e pesantemente. In Francia come in Germania, in Italia come in Spagna, e la sconfitta elettorale è il prodotto del fallimento della loro missione politica, quella della costruzione dell’uguaglianza. Mai come oggi il mondo è caratterizzato da ineguaglianza, all’interno dei singoli paesi e tra paesi ricchi e paesi poveri. La perdita di radicamento sociale e di consenso elettorale delle forze politiche progressiste nate nell’Ottocento è determinato dalla incapacità di trovare una ragione sociale altrettanto robusta quanto quella che ne determinò la nascita. I lavoratori, gli operai di oggi numericamente sono gli stessi degli anni ’80, non sono scomparsi. A questi si aggiungono tanti giovani disoccupati e tanti nuovi precari prodotti dall’impoverimento del ceto medio. E non stupisca se tanti di loro votano Lega o centrodestra, è più utile riflettere sulla nostra difficoltà di relazionarsi con loro, con le loro domande, con le loro ansie, con le loro paure. Anche noi siamo prigionieri di una idea sottosviluppata di sviluppo, neppure dopo la crisi economica mondiale siamo riusciti a dire una cosa forte e inequivoca: che mercati finanziari senza più regole non possono e non debbono più esistere. Semplicemente perché, come la storia ci ha insegnato, mercati finanziari sfrenati producono solo speculazione e impoverimento, non nuovo sviluppo. E producono deperimento dei sistemi democratici. Sono l’antitesi di una economia sociale e sostenibile. E oggi, nonostante le loro responsabilità nella determinazione della più grave crisi economica della storia, gli squali finanziari tornano ad imperversare e il G8 non va oltre inutili raccomandazioni».
Da tempo settori della politica e dell’economia insistono sul tema della rimessa in discussione del paradigma dello sviluppo fondato sulla crescita. Non sembra che questo tema sia al centro delle riflessioni del Pd. Tu non credi che meriterebbe una maggiore attenzione nella elaborazione delle nuove strategie economiche?
«Assolutamente sì. Il dinamismo economico ha senso solo se è agganciato alla giustizia sociale e alla sostenibilità ambientale. Il consumismo bulimico di prodotti sempre più inutili non ci fa stare meglio, non ci fa essere più felici. Consumiamo tutto e non godiamo di niente, consumiamo tempo, aria, acqua, territorio, relazioni. Consumiamo valori fondamentali dell’esistenza umana rincorrendo il miraggio del guadagno, della ricchezza, dell’interesse finanziario. Un modello che provoca devastazioni sociali e ambientali nei paesi del sud del mondo, oltre a inarrestabili esodi verso i nostri paesi che non saranno certo fermati da disumane politiche di respingimenti o da leggi razziste come quelle approvate dal centrodestra pochi giorni fa».
Eppure più d’uno, anche all’interno del Pd, ha detto che i respingimenti vanno bene…
«La ritengo una posizione sbagliata, inumana e che non fa i conti neppure con la storia del nostro Paese. I respingimenti sono illegali, lo dice l’Onu, lo dice l’Europa, perché impediscono la formulazione della richiesta d’asilo per chi ne ha diritto e rischia la vita nel proprio paese. Siamo ipocriti, peggioriamo le condizioni di invivibilità dei paesi poveri, anzi costruiamo il nostro benessere sulla loro miseria, e non vogliamo neppure subire gli effetti delle scelte che facciamo. Non riconosciamo neppure il diritto delle persone a tentare di sopravvivere. Mai l’ingiustizia e la povertà sono state così grandi come adesso. La Fao ci dice che un sesto dell’umanità soffre la fame, 100 milioni in più rispetto al 2008. Eppure i paesi ricchi spendono meno di un quinto dei 15 miliardi di euro stanziati per i paesi poveri dal vertice di Roma dell’anno scorso. E l’Italia, che con la finanziaria ha addirittura dimezzato del 56% gli aiuti allo sviluppo, è la meno credibile in assoluto. Con queste politiche facciamo offesa alla nostra stessa storia, la storia di un paese che ha 60 milioni di persone di origine italiane sparse nel mondo, che ha esportato tanta gente per bene, ma anche tanta mafia. Compreso quel criminale di Micheletti, bergamasco con passaporto italiano, responsabile del colpo di stato in Honduras. Altra cosa è affrontare seriamente le questioni della sicurezza e della legalità, cose serie. Ma se in Italia la più grande impresa è la mafia, con un fatturato che da solo potrebbe colmare l’intero debito pubblico del paese, allora il problema è nostro, della politica soprattutto. Dimenticare questo e trasformare in parafulmine gruppi di disperati alla deriva è semplicemente cinico e controproducente. E se il Pd, o qualsiasi altro partito, non si occupa di questo, non analizza in profondità e non fornisce risposte concrete, a cosa serve ?».
I contenuti sembrano in ombra nel dibattito del Pd mentre si fa strada lo scontro tra vecchio e nuovo.
«Il nuovo non si ha per autoproclamazione, né tantomeno per cooptazione di personale “d’allevamento”. Ho avuto la fortuna di conoscere e stimare una persona come Vittorio Foa, una figura lontana dal falso mito del potere e giovane, intellettualmente e politicamente, fino alla sua morte. Il nuovo è il prodotto di ciò che si propone non dell’età anagrafica. Sento poco ad esempio parlare in questo dibattito di come riformare il sistema dei partiti in Italia, di come far recuperare dignità a strumenti che l’hanno persa con una occupazione clientelare e lottizzatrice di tutti i settori della società, da quelli amministrativi a quelli economici e finanziari. Una democrazia sostanziale è il prodotto dell’equilibrio tra settori indipendenti della società. Sento parlare poco dell’urgenza di separare le funzioni di dirigente di partito da quello di responsabile istituzionale. Eppure sono due funzioni distinte che hanno finalità molto diverse. Sento poco parlare di rotazione degli incarichi, processo che, questo si, produrrebbero automaticamente il ricambio dei gruppi dirigenti».

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