Il Tg1 censura anche la crisi

Per la prima volta negli ultimi dieci anni il rapporto tra deficit e pil è schizzato al 9,3%, si tratta di un record negativo che ha richiamato, ovviamente, l’attenzione non solo di tutti gli addetti ai lavori, ma anche dei media, comunque schierati. Una simile notizia, del resto, è destinata ad avere ripercussioni sulla vita presente e futura degli italiani. Nulla di più lontano dalle polemiche sulla vita privata di re Silvio, sulle cenette con gli amici giudici, o sulle confessioni del finto fidanzato della giovanissima Noemi, tutte cose che avevano sdegnato il nuovo direttore del Tg1 e lo avevano portato, con raro sprezzo del pericolo, a recitare un coraggioso editoriale nel quale ci ha spiegato perché mai e poi mai avrebbe fornito agli italiani notizie sui gossip e sulle vicende private di qualche potente, per altro editore di riferimento della stessa Rai.
Lo avevamo quasi preso in parola, persino commossi da tanta furia etica, e ci attendevamo titoli e inchieste a raffica sulle povertà, sulla crisi economica e sociale, sulle grandi emergenze internazionali e nazionali.
Per queste ragioni eravamo quasi sicuri che la notizia del deficit al 9,3 la avrebbe fatta da padrona nei titoli e sarebbe stata corredata da servizi e inchieste che ci avrebbero permesso di capire le cause e i rischi, riportando i diversi punti di vista, ma soprattutto fornendo le informazioni essenziali. Invece no!
La notizia è stata data in modo fugace nell'edizione delle ore 13,30 ed è stata cancellata dalla edizione principale delle 20 (la stessa cosa è accaduta nell'edizione serale del Tg2), con buona pace di tutti i richiami alla completezza dell'informazione solennemente invocati dal consiglio di amministrazione della Rai e dalla commissione di vigilanza.
La chiave di lettura di quanto è accaduto non va collegata al famigerato editoriale sul gossip e le inchieste di Bari, bensì alle minacce scagliate da Berlusconi contro quei media che ancora osano dare spazio alle notizie relative alla crisi. ”Basta con il catastrofismo, non investite più su quei giornali che danno spazio a questi temi…”, così ordinò il presidente editore e così stanno eseguendo i suoi fedelissimi che hanno messo sotto controllo le principali piazze mediatiche.
Il presidente non riesce a fronteggiare una devastante crisi economica e sociale, ai media di famiglia spetta il compito di bloccare le notizie, di non informare l'opinione pubblica, di ritardare almeno la percezione della gravità di quanto sta davvero accadendo.
La cancellazione della notizia, tuttavia, non può essere accettata o subita in silenzio, la scomparsa dei fatti, per usare il titolo di un bel libro di Marco Travaglio, rappresenta una pericolosa forma di inquinamento della corretta dialettica democratica, contro la quale vi è il dovere civico di reagire, ciascuno per la sua parte, a cominciare dalla autorità di garanzia che, almeno su questi temi,confermano una tradizionale pigrizia, per usare un eufemismo, ad alzare la voce nei confronti del signore di Palazzo Grazioli.
Il prossimo 14 luglio i giornalisti italiani, giustamente e legittimamente, scenderanno in sciopero contro la legge bavaglio sulle intercettazioni, ci auguriamo che, prima o poi, si apra anche un fronte contro quelli che si sono auto imbavagliati senza neppure bisogno di attendere una legge.
Dei loro bavagli, bavaglioli e grembiulini ci interessa poco, ma bisogna compiere ogni sforzo per strappare quella immensa benda che stanno tentando di calare sugli occhi, le orecchie e le bocche di milioni e milioni di italiani…

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