HO RICEVUTO DUE MAIL, E ALLORA…

Breve esempio di una infamia infinita
di Filippo Giannini

La prima mail: . La seconda mail sarà proposta alla fine del pezzo.
Prima osservazione: il sistema perverso nato nel dopoguerra approfitta dell’ignoranza storica degli italiani per propinare loro una storia mai esistita, con lo scopo di salvaguardare il proprio tornaconto di casta, basato sulla truffa, sul ladrocinio e, soprattutto, sulla menzogna. A questo scopo – passo quindi alla seconda osservazione – dato che qualsiasi confronto SERIO fra l’attuale sistema e quello dell’infausto, deprecabile Ventennio risulterebbe deleterio per gli attuali vermetti-furbetti, i quali possedendo democraticamente tutta l’informazione, possono artatamente plasmare la storia a proprio uso e consumo. D’altra parte, avendo battezzato l’adorabile tiranno (da una espressione di Bernard Shaw) con l’espressione, di male assoluto, espressione mai sufficientemente indicata come cretinissima, ebbene che male assoluto sarebbe se la sua attività di governo non venisse accompagnata da una serie senza fine di malefatte, di trivialità, di oscenità e chi più ne ha più ne metta, sino al punto (non davvero ultimo) che su Focus di un paio di anni fa, una giornalista fece una scoperta sensazionale: Mussolini portava le mutande foderate di pelo di coniglio perché aveva il pene freddo.
Torniamo al soggetto dell’articolo ricordando che questo argomento fu da me trattato già qualche tempo fa.
Allora, gli italiani nella guerra etiopica usarono o no i gas asfissianti? Prima di entrare nel merito sarà bene ricordare che quando l’Italia affrontò quell’impresa, Francia e Inghilterra profetizzarono che, qualora il nostro Paese fosse riuscito a vincere quella guerra, questa sarebbe durata non meno di cinque anni e con perdite inimmaginabili. Grande fu lo scorno della “Perfida Albione” allorquando quel conflitto si risolse per noi vittoriosamente in una manciata di mesi. Ecco allora venir fuori il motivo: “Hanno vinto perché usarono i gas asfissianti”. E’ sempre difficile tentare di confutare certi argomenti, quelli cioé che riguardano “il feroce volto del fascismo”, il minimo che può capitare al malcapitato che si dovesse avventurare nell’impresa sarebbe quella di essere marchiato di “revisionismo”, il che equivale ad una infamia.
In occasione del cinquantenario dell’impresa etiopica ed esattamente il 3 ottobre 1985, il primo canale televisivo della RAI, mandò in onda una trasmissione che doveva essere rievocativa e la direzione fu affidata ad Angelo Del Boca. Come è ormai uso in casi del genere, il programma “non prevedeva” alcuna controparte e, di conseguenza, lascio al lettore stabilire il livello di quello che doveva essere una tale ricostruzione storica.
Angelo Del Boca, è l’autore del volume “I gas di Mussolini” e non centellina le accuse di “brutalità” e “la ferocia del tiranno” a danno di quell’infelice Paese: l’Etiopia.
Per inquadrare il grado di attendibilità dell’Autore, trascrivo quanto ha riportato a pagina 45 del libro in questione: . E’ oltremodo strano che uno “storico”, fornito di ampia documentazione, senta la necessità di ricevere approvazione alle sue tesi da parte di un giornalista anche se del prestigio di Indro Montanelli. Nella realtà il De Boca asserisce una grossa inesattezza; infatti Montanelli in data 12 gennaio 1996 su “Il Messaggero” ribadisce: . Alla domanda: Montanelli rispose: .
Prima di passare alle “testimonianze vissute”, per inquadrare nel suo insieme quanto si sta trattando, è interessante riportare:
a) un altro passo del volume in questione, dove l’Autore attesta: . Non è certamente una garanzia di indipendenza di giudizio questa dichiarazione: un ricercatore non può scrivere “contro qualcosa o qualcuno”;
b) una precisazione del De Boca che attesta che i bombardamenti chimici continuarono fino al ‘39, nella fase di ‘pacificazione’ delle colonie conquistate. Precisa lo ‘storico’: . I “documenti” a cui Del Boca fa riferimento sono noti da diversi anni, ma quel che non è noto è la conseguenzialitità con cui si giunse a quei “documenti”, non la loro reale autenticità, e attesto questo perché da troppi anni, per motivi che nulla hanno a che vedere con la Storia, troppi falsi hanno circondato gli avvenimenti di “quei” venti anni. E passiamo alle “testimonianze vissute”.
Pietro Romano, “Il Giornale” del 18/2/96: . Il Colonnello Giuseppe Spelorzo in data 18/3/96 mi ha, fra l’altro, scritto: . Sempre il Colonnello Spelorzo, ma in data 12/6 ha ribadito: . Uno dei punti nodali è “la maschera antigas”. Nessuno, per quanto ne sappia, ha mai accennato che il nostro contingente avesse in dotazione quel tipo di protezione; infatti se il vento avesse cambiato improvvisamente direzione (e in quelle latitudini la cosa era più che probabile), l’iprite avrebbe investito coloro che l’avevano lanciata e disporre della “maschera” doveva essere il minimo della prevenzione. Segue l’interessante dichiarazione del Sig. Giovanni De Simone su “Il Giornale d’Italia” del 23 marzo 1996:<(...) In A.O.I. non vennero usati i gas. Se così fosse stato io sarei stato il primo a saperlo prestando servizio al Sim ove giungevano decrittati tutti i messaggi della intera rete radio del nemico captati dal “Centro intercettazioni” di Forte Bracci; un vero libro aperto per noi in possesso di “decifratore”. Mai rilevata una parola sui gas>
E ancora “Il Giornale d’Italia” del 29/4/96, il Sig. Giulio Del Rosso testimonia: .
Lo stesso Winston Churchill nella sua “La Seconda Guerra Mondiale”, a pag. 210, esclude l’uso dei gas nei seguenti termini: .
Vittorio Mussolini che all’epoca era al comando di una squadriglia di bombardieri mi disse: . Non so se il Del Boca, nel suo libro, ha ricordato che ai prigionieri caduti in mano abissina venivano riservati trattamenti diabolici: l’evirazione era la norma comune.
Non è male ricordare un fatto che traumatizzò l’opinione pubblica nazionale: il 13 febbraio 1936 a Mai Lahlà operava, ubicato imprudentemente oltre il Mareb, un cantiere Gondrand. Su questo opificio piombò una banda di 2000 guerriglieri abissini al comando del Ras Immirù, che dopo aver ucciso in modo atroce tutti gli operai, torturarò, come sapevano fare, l’ingegnere milanese Cesare Rocca fino ad ucciderlo. Violentarono ripetutamente la moglie Lidia Maffioli e, prima di finirla, le misero in bocca i testicoli del marito. Nel caso del genere, contro gli autori di simili misfatti, l’uso dei gas sarebbe stato più che motivato. Le Convenzioni de l’Aja e di Ginevra tra l’altro stabilivano: <(...) La rappresaglia è, cioé, un atto di violenza isolata nel tempo e nello spazio, avente lo scopo di imporre il rispetto del diritto in relazione ad una violazione subita>. E ancor più chiaramente precisavano: . E veniamo allora ai “Gas di Mussolini”, citando una nuova testimonianza, questa volta di Alberto Franci (Voce del Sud, 18/5/1996): . Per quanto mi risulta i casi del cantiere Gondrand, del tenente Minniti e delle pallottole dum-dum non vengono ricordati dal Del Boca. Ed ora giungiamo ai citati telegrammi di autorizzazione. Il 2 gennaio 1936 il capo del fascismo telegrafa a Graziani e per conoscenza a Badoglio: . Evidentemente in attesa delle decisioni ginevrine in merito alle attività irregolari degli etiopi e della loro condanna, tre giorni dopo e precisamente il 5 gennaio, Mussolini inviò a Badoglio il seguente telegramma: . I toni duri si ripetono nel telegramma “Segreto”, sempre a Badoglio, del 29 marzo: . Il 10 aprile un nuovo telegramma, questa volta a Graziani, il Duce ordina: . Pochi giorni dopo, il 17 aprile, un nuovo telegramma ordina: . Per inciso è da notare che il Duce usava il Lei che, in teoria, il regime aveva abolito.
Gli episodi sopra indicati (che poi non erano tali, ma la norma), non erano “propaganda fascista”, ciò è dimostrato dal fatto che vennero denunciati anche dai Governi pre-fascisti, in occasione delle disastrose spedizioni effettuate in quel periodo e in quelle località. In merito a quegli avvenimenti accaduti alla fine del XIX secolo, il Del Boca attesta: . Non so se queste dichiarazioni possono essere tacciate di impudenza o di cos’altro; infatti evirare i prigionieri e sotterrarli vivi (notizie di fonte inglese) era una “maniera cavalleresca” di condurre la guerra. Altra testimonianza interessante è quella dello storico scozzese Denis M. Smith, non certo sospetto di nutrire simpatie per il regime mussoliniano, esprime uguali perplessità; nella sua biografia su “Mussolini” riconosce che: .
Ugualmente interessante è quanto ha scritto il signor Francesco Deosanti (“Giornale d’Italia” dell’1/4/96): Il Sig. Deosanti così continua: . Che una nave trasporti ‘iprite’ non prova che quel gas sia stato usato per scopi bellici. Infatti, durante la Seconda Guerra Mondiale e precisamente dopo l’8 settembre 1943, alcuni bombardieri tedeschi colpirono delle navi alleate alla fonda nel porto di Bari. Una di queste trasportava un gas venefico, probabilmente ‘iprite’. La nave, centrata da una bomba, si incendiò diffondendo il gas letale nel centro abitato che causò centinaia di morti. Ancor oggi il fatto è accuratamente celato, anche se tanti fusti di quel pericoloso gas giacciono, tutt’ora, nel fondale Adriatico. Una nave alleata trasportava ‘iprite’ e nessuno ha mai accusato gli alleati di averlo usato per fini contrari alle Convenzioni Internazionali. Per concludere. Nel compilare questo articolo contattai il generale Angelo Bastiani, presidente del gruppo Medaglie d’Oro, recentemente scomparso. Alla mia domanda, sdegnato mi rispose: .
Giro le domande a chi ne sa più di me: 1) perché nessun milite italiano fu mai fornito di maschere antigas? 2) Perché il Negus, benché fosse di casa alla Società delle Nazioni, mai denunciò l’uso di ‘armi illegali’ da parte degli italiani?
Proverò a dare io stesso una risposta: qualora i gas fossero stati usati, in ogni caso per motivi di rappresaglia che, come ho scritto era un atto previsto dalle Convenzioni Internazionali, il Negus avrebbe dovuto riconoscere i casi del cantiere Gondrand, le torture al tenente pilota Minniti, l’uso delle pallottole dum-dum e tanti altri casi che in questa sede sono stati omessi.
Come all’inizio annunciato propongo la seconda mail proveniente dal lontano Canada; ecco il testo trascritto come mi è giunto: .

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