Publio Fiori: "Un cattolico non può essere tale solo nella sfera privata"

di Cristiana Zarneri

Publio Fiori, nel corso della propria carriera politica è stato vicepresidente della Camera dei Deputati, sottosegretario al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, sottosegretario alla Sanità e Ministro dei Trasporti e della Navigazione, nonché esponente di spicco della Democrazia cristiana e di Alleanza nazionale. Attualmente è Segretario nazionale del partito della Rifondazione Dc.

On. Fiori, lei è convinto che il connotato religioso sia rilevante tra le priorità ideologiche di una forza politica?
“Non si tratta del connotato ideologico: la religione è un’altra cosa e non dobbiamo confonderla con la politica. Tuttavia, alla base di alcune religioni, come ad esempio quella cattolica, ci sono valori che sono valori civili, valori naturali e valori costituzionali, poiché inseriti nella nostra Costituzione: la difesa della vita, la difesa della dignità della persona, l’eguaglianza, i diritti fondamentali indicati dall’articolo 2 della Costituzione, il principio di solidarietà, il principio di sussidiarietà. Quindi, religione e politica sono due cose diverse. Certo, chi è cattolico non è che possa esser costretto a professarsi tale solamente all’interno della propria coscienza: c’è anche, e ci deve essere, un modo per testimoniare l’essere cristiani nella vita civile e nella vita politica, battendosi per alcuni provvedimenti che vadano nella direzione della realizzazione di quei valori”.

Proprio in questi giorni, la Corte d’Assise di Milano ha emesso una sentenza di condanna contro le nuove Brigate Rosse: può raccontarci dell’efferato agguato di cui lei fu vittima il 2 novembre 1977? Perché proprio lei?
“Fu una scelta che le Brigate Rosse attuarono poiché stavano tentando di ‘abbassare’ il livello del terrore: fino a quel momento avevano colpito i vertici, per cui, in sostanza, tutti gli altri esponenti si sentivano tranquilli. Ma quando misero in atto l’attentato contro di me, che in quella fase ero presidente del gruppo Dc alla Regione Lazio, loro mandarono un messaggio preciso a tutta la classe politica ‘intermedia’ dicendo: “Attenzione! Adesso scendiamo e cominciamo a colpire anche i dirigenti locali”. Quindi, si trattò di un segnale per allargare l’area del terrore anche ai quadri periferici del partito. Oltre a ciò, io avevo condotto una campagna elettorale, quella delle amministrative del 1975, soprattutto nelle borgate, svolgendo un’azione politica di carattere sociale e, naturalmente, questo disturbò moltissimo le Brigate Rosse, che pretendevano di avere il monopolio del rapporto con la gente”.

Con le sue idee, non sempre lei è sembrato ‘rientrare’ pienamente all’interno degli schieramenti politici di cui ha fatto parte: perché?
“La risposta è molto semplice: io ho sempre inseguito con coerenza alcuni ideali. E ogni volta mi sono trovato a dover constatare una sostanziale ‘diversità’ fra quello che era il mio progetto ideale e quello che poi era, invece, il progetto concreto da realizzare. Ho sempre trovato, sia nella Dc, sia in An, una discontinuità fra quello che si scriveva o si diceva e ciò che si faceva. Per cui, spesso sono entrato in conflitto con gli apparati dirigenti, prima della Dc, poi di An”.

Un esponente politico che lei, oggi, ritiene valido?
“Ce ne sono diversi, sia nel centrodestra, sia nel centrosinistra. Manca, tuttavia, il politico che ritengo indispensabile per risolvere i problemi del Paese, come ad esempio De Gasperi. Tuttavia, alcuni esponenti sono molto validi”.

Nel 2006, lei ha fondato il Partito della Rifondazione Dc “per recuperare”, come lei ha affermato, “un senso popolare della politica diverso da quello attuale”: cosa significa questa ‘formula’?
“Significa che la politica si sta imbarbarendo, che si sono persi i valori. La politica si è buttata sull’individualismo: ognuno cerca di promettere cose che non può mantenere. E’ una politica che asseconda gli istinti più bassi, che non guida la società con una leadership forte, una leadership eticamente e, soprattutto, moralmente motivata. Bisogna cambiare la politica per recuperare un nesso fra etica e politica medesima”.

Quali sono state le scelte laiche di Fini che l’hanno portata alla rottura?
“A Fiuggi avevamo scritto un testo, le famose ‘tesi’ di Fiuggi, in cui il riferimento al cattolicesimo politico era molto evidente. Ma successivamente, Fini ha preso alcune decisioni, come quella sul referendum per la fecondazione assistita e altre, per le quali ritengo sia uscito da quel solco. Io ci ho parlato, ho visto che si trattava di una rottura, di un ‘deragliamento’ rispetto a quanto avevamo deciso a Fiuggi. E quindi ho ritenuto che non vi fossero più le condizioni politiche per continuare quel discorso”. Laici.it

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