Ancora ne risento di quei chilometri infiniti del 30 maggio a Roma: chi l’ ha organizzato il percorso, con la questura, forse li ha percorsi su un ‘ auto o meglio pensati da casa, da una redazione, aspettando gli esiti. Dopo le 15 eravamo a Piazza Maggiore in centinaia e l’aria era pesante: è passata una colonna di scout, terrorizzata, tra i corpi seduti in attesa dell’ inizio.
Si salutavano fra loro, sciogliendosi a gruppetti e riformandosi, quelli di Rifondazione, quelli che contavano…Non ci si riconosce più, eppure sono passati 8 anni come l’8 dell’infame G, a Genova. Non c’erano cartelli eclatanti, immagini da immortalare, se non una marea, via via sempre più grande di stranieri di tutte le etnie e giovani della società globale, precaria e instabile, come una pioggia estiva. Siamo diventati migliaia, in quella marcia da esodo senza ricerca di confini. Ho pensato a chi ci vedeva da fuori, avrebbe fatto schifo l’ammasso di sudati, di straccioni, di facce segnate dalla vita, di ragazze e ragazzi arrabbiati. C’era chi ci crede davvero che l’identità non ha bisogno di permessi ed eravamo molto pochi, a conti fatti, venuti anche da altre città italiane, rispetto ai milioni che ne scrivono: meglio parlarne fuori, da quel gruppo umano che reclama diritti calpestati.
Dopo tre ore sotto il sole a tenere con due “straniere” uno straccio di striscione per strade dove non c’era nessuno, dico nessuno, all’altezza del circo Massimo ho mollato, non ce l’ho fatta e sono tornata indietro, verso Viterbo. So che è finita a Piazza Navona, “tranquillamente”. Metropolitana e treni affollati di turisti per il ponte, e ancora corpi meglio vestiti, più accettabili dalle televisioni, valige con cartelli d’aereo, evasioni veloci. A casa ho visto le foto, quelle che contavano. Incidenti all’altezza di Piazza Vittorio: ero esattamente là, davanti a quella strada. Abbiamo fatto immediatamente cordone, invitato tutte e tutti ad andare avanti, a non accettare provocazioni e i fotografi, molti di più di quei quattro o cinque, di corsa lì a far godere poi i guardoni della notizia, che vengono dall’estrema destra-dall’estrema sinistra, chissà…
Nessuno, statene certi, di quelli che c’erano, ha fatto mai corsi di formazione alla pace e non violenza, pagandoli per giunta. Nessuno è andato a passare le vacanze nei paesi disastrati del mondo ad erigere una scuola, nessuna delle giovani o meno donne parla di ponti con quelle lontane, le sorelle…
Stavano là quelle che fanno le badanti, le cameriere, le serve alla società civile italiana, stavano là gli operai sottopagati, quelli che raccattano i lavori rifiutati, stavano là gli studenti che si trastullano, quegli zozzi dei centri sociali, là i rifiuti dell’Italia, in rappresentanza di quelli che non ci sono venuti per milioni di giuste ragioni.
Non offro immagini, immaginatelo tutto l’orrore che vi mette addosso l’ insicurezza, la perdita delle vostre certezze, di quanto avete. Di immagini se ne volete, ci hanno abboffato, c’è una Galleria degli Orrori universali a disposizione, aggiornata in tempo reale. Le zone rosse, della vergogna, si fanno sempre più vaste, come la Crisi e si riducono le folle, diventeranno numeri da lager, lo sono.
Ognuno si “sfoga” a modo suo, anch’io l’ho fatto, una volta ancora, come un ex-voto senza nessuna grazia ricevuta o chiesta.
Doriana Goracci