di Raffaello Morelli
L'on. Castagnetti ( importante esponente prima della DC, poi della
Margherita ed ora del Partito Democratico ) ha dichiarato :” noi
abbiamo due appartenenze, una alla Chiesa, una alla politica. Per
me, come per Franceschini, per tutti noi cattolici, insomma, il vero
“capo” è lui: il Papa.”
Questa dichiarazione virgolettata attribuita all'on. Castagnetti dal
primo quotidiano nazionale centra il cuore del problema, decisivo
per l'Italia, del rapporto tra politica e religione. E non conta neppure
se l'attribuzione è puntuale oppure no. Se non lo fosse potrebbe
essere prontamente smentita, ma anche in tal caso, a parte il suo
vero autore, compendierebbe con grande efficacia il vero nodo
tuttora non sciolto del confronto politico italiano.
Ciò che rende così diversa ed irrigidita la politica italiana rispetto a
quella dei grandi paesi occidentali, non è affatto il rapporto tra livello
di religiosità e istituzioni ( almeno negli Stati Uniti i credenti sono
assai più numerosi e praticanti che da noi ). E' la circostanza che da
noi molti credenti ( che soprattutto sono cattolici perché cattolico è il
credo largamente più numeroso ) non sono stati ancora capaci di
sciogliere il nodo del loro personale rapporto tra le proprie
convinzioni religiose e le regole che presiedono alla convivenza con
gli altri.
Da un secolo e mezzo ( con conferme sia nell'esperienza
applicata sia nella progressiva accettazione da parte di altre culture
) , la cultura liberale ha indicato come strada maestra del vivere
insieme la separazione dei ruoli, quello istituzionale dello Stato che
regola la convivenza democratica e quello religioso della Chiesa cui
lo Stato garantisce ogni espressione pubblica delle credenze
individuali. Di fatto, tuttavia, in Italia la cultura della separazione è
sempre più apertamente contestata e comunque mal sopportata da
quei cittadini che, pur non appartenendo ad ordini ecclesiali,
vorrebbero, per spirito cortigiano, imporre nella convivenza
comportamenti comunitari. Innanzitutto una identità religiosa
univoca ove le diversità non sono ammesse ( o se ammesse, solo
con uno statuto speciale che le rinchiude in una sorta di ghetto ). Di
conseguenza, nel discutere le regole che lo Stato è chiamato di
volta in volta a stabilire, il confronto e il dibattito politici non si
svolgono sulle culture, sulle idee e sulle proposte civili che
consentano una convivenza il più possibile rispettosa della libertà
dei cittadini membri. Il tentativo è modellare le istituzioni pubbliche
sulla fede religiosa che i cortigiani dichiarano prevalente.
Per raggiungere il loro scopo, i cortigiani ricorrono spesso anche a
totali falsità, come quando sostengono che in Italia sarebbe in
pericolo la libertà di religione. Ma a parte queste assurdità che
trovano udienza solo in piccole cerchie di tifosi e non nel grosso
dell'opinione pubblica, i cortigiani riescono a diffondere una grave
confusione concettuale anche in personaggi politici di primo piano.
Specie in un paese come il nostro, in cui è forte l'abitudine ad
essere formalmente ecumenici e a nascondere le differenze dietro i
miti del conformismo e dell'unità in modo da impedire la libertà
individuale dei cittadini. E così , anche politici di primo piano, fanno
completa confusione circa i principi e le persone che devono
presiedere al processo di confronto democratico per costruire le
istituzioni.
In una democrazia anche solo un pò ispirata al principio della
separazione, è fisiologico che un capo religioso esprima come
meglio crede i suoi dettami religiosi, che, per definizione, sono
rivolti ai suoi credenti e sono atti di proselitismo verso gli altri
cittadini, senza alcuna valenza sul piano civile. Il fatto non
fisiologico – e pericoloso per la convivenza – è che questi uomini
politici, con i loro comportamenti, si sforzino di applicare quei
dettami nelle istituzioni. E per di più inducano altri cittadini, credenti
o no, a riconoscere la guida politica ad una fede religiosa e ad un
gran sacerdote, chiamando a riconoscere come capi persone mai
sottoposte a scrutinio democratico e mai liberamene elette dai
cittadini.
Questa propensione , che in Italia è ancora oggi molto diffusa
(principalmente nei due partiti più grossi), provoca la rigidità politica.
Fa danno al paese. Ed è potenzialmente preoccupante perché
spalanca le porte alla logica dei fondamentalismi, che non è
davvero riferibile esclusivamente all'estremismo islamico. Per
dissolvere tale rigidità, non basta che questi uomini politici non
dicano queste cose. Occorre che questi uomini politici divengano
capaci di sciogliere questo loro nodo personale, separando il credo
privato dalla politica pubblica. E cambino la loro mentalità in senso
più liberale. Accettando che la convivenza è solo tra diversi. Per
natura.
Raffaello Morelli
25 marzo 2009