URSS 1989 E STATI UNITI 2009 DUE CRISI, MA MOLTO DIVERSE

A distanza di venti anni dalla fine dell’Unione Sovietica anziché essere alla fine della storia, come aveva profetizzato Francis Fukuyama nel 1992, siamo, dentro una crisi strutturale profondissima del sistema capitalistico che rischia di travolgere nella sua rovinosa caduta il mondo intero.
Quali sono, secondo lei, le similitudini e le differenze della fine dei due regimi?

Pietro Ancona, pietroancona@tin.it

Caro Ancona,
il suo confronto è suggestivo. Gli avversari del capitalismo potrebbero addirittura sostenere che la crisi del credito è una sorta di pena del contrappasso, inflitta dalla storia ai presunti vincitori della guerra fredda. Credevano che il collasso dell’Urss dimostrasse la superiorità del mercato sulla proprietà pubblica dei mezzi di produzione.
Dettero lezioni di capitalismo ai Paesi ex comunisti.
Si servirono del Fondo monetario internazionale e di altre istituzioni per imporre le regole con cui questi Paesi avrebbero dovuto ricostruire i loro sistemi economici. Condizionarono aiuti e assistenza all’osservanza dell’ortodossia liberale. Ma ecco che vent’anni dopo gli arroganti maestri del capitalismo trionfante appaiono travolti dall’applicazione dei loro stessi principi.
Questa versione dei fatti piacerà ai «no global», ai socialisti massimalisti, ai nostalgici del comunismo e agli eredi dell’anarco-sindacalismo.
Ma non tiene conto di alcune fondamentali differenze fra le due crisi. Quella del sistema sovietico cominciò dopo un lungo periodo di stagnazione durante il quale l’Urss non era neppure riuscita a fare buon uso degli straordinari introiti petroliferi provocati dall’aumento dei prezzi dopo gli shock del 1973 e del 1979. Gorbaciov capì che il regime aveva smesso di funzionare e credette di potere rimettere in moto la macchina del comunismo stagnante con alcune riforme: le aziende familiari, l’impresa socialista, una iniezione di neo-leninismo e una maggiore trasparenza (glasnost) dei pubblici apparati.
Quelle riforme non dettero alcun risultato positivo, ma ebbero l’effetto di rendere evidenti le pecche del sistema e di generare un pubblico dibattito. Nei suoi ultimi anni l’Urss, quindi, fu prigioniera di una contraddizione.
Le riforme non funzionavano, ma la glasnost permetteva di constatarlo pubblicamente.
Per un regime che aveva vissuto di silenzi, ipocrisie e falsi trionfi, questa combinazione fu fatale. Si potrebbe sostenere che la morte dell’Urss fu dovuta in gran parte alle buone intenzioni del riformismo gorbacioviano.
Nei malanni del capitalismo vi sono due importanti differenze. In primo luogo la stretta creditizia è scoppiata dopo due decenni di straordinaria crescita economica in molti Paesi del pianeta. La crisi ha bruciato e continuerà a bruciare molta ricchezza, ma non potrà distruggere le case costruite, le infrastrutture realizzate, l’innovazione tecnologica e la ricerca scientifica dell’ultima generazione.
Gorbaciov cercava di ricostruire sulle macerie di un sistema fallito. I riformatori del capitalismo ricostruiranno su fondamenta molto più solide. In secondo luogo il sistema sovietico si è dimostrato impermeabile a qualsiasi adattamento. I suoi amministratori conoscevano soltanto le regole del Gosplan ed erano afflitti da una sorta di insormontabile pregiudizio ideologico verso la proprietà privata. Il capitalismo ha dimostrato di possedere flessibilità, pragmatismo e una forte attitudine alla spregiudicata sperimentazione di formule nuove. Commetterà altri errori, ma finirà per trovare la strada giusta e ricomincerà a crescere.

http://www.corriere.it/romano/

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