Social Card al tornasole

Ricordo quando i ministri Tremonti e Sacconi hanno mostrato lo scorso novembre in conferenza stampa la social card. Entrambi sorridenti e sicuri, fieri della loro proposta, un piccolo contributo per combattere la crisi finanziaria che attanaglia il nostro paese, due esperti e competenti policy makers che hanno scelto un nome inglese per la loro idea.
Poi qualche settimana fa, in occasione del Forum Economico Mondiale di Davos, lo stesso Tremonti è stato intervistato da Geoff Cutmore della CNBC. Quando il giornalista inglese ha chiesto cosa ne pensasse della situazione di Unicredit e dell'economia italiana il Ministro è andato via senza rispondere e senza salutare, lasciando il giornalista basito.
Nell'introdurre il servizio per la CNBC, Cutmore ha detto : “Sono stato corrispondente da Davos durante il Forum Mondiale dell'Economia per diversi anni, ma non ricordo una situazione come questa, dove durante un'intervista, l'intervistato abbia troncato la mia domanda per poi andarsene” . Chiaramente le Tv ed i giornali italiani non hanno parlato della cosa o l'hanno messa in secondo o terzo piano.

C'è una cosa molto grave in questo tipo di comportamento, in questo modo di far politica.
E' molto facile recitare la parte di politici sicuri e responsabili quando si gioca in casa, con i mezzi di informazione dalla propria parte e dove i giornalisti non fanno nessun tipo di domanda.
All'estero, e soprattutto sulle televisioni anglosassoni, non funziona così e quando un giornalista fa il suo lavoro, ovvero fa domande, egli si aspetta anche delle risposte.
Ho voluto raccontare l'aneddoto non per sollevare polemiche sulla censura dei mezzi d'informazione italiani, ma per sottolineare la pochezza dei nostri Ministri. Gli stessi che, quando torna utile, diventano esterofili e si inventano dei nomi inglesi come social card (che letteralmente non vuole dire nulla), malgrado, come abbiamo visto, non abbiano nessun tipo di familiarità con la politica internazionale e le sue regole.

La social card ci è stata descritta come supporto alla persone che hanno un reddito molto basso e che stanno affrontando questi mesi di crisi internazionale. Sono quaranta euro al mese che possono essere spesi solo in determinati posti e per determinati prodotti. Ma l'impatto mediatico che ne è scaturito è stato enorme ed i giornali e le televisioni vi hanno dato grande spazio.
Sono riusciti a fare passare ancora una volta l'incompetenza e l'impreparazione politica del Governo Berlusconi per un grande successo.

Non è un mistero che il ruolo e lo scopo ultimo della politica e di un Governo sia quello di aumentare il benessere dei propri cittadini e indirettamente anche la loro soddisfazione nei confronti della vita. Questo è il significato intrinseco del fare politica e del fare funzionare bene un Paese.
La Danimarca ha un sistema di ammortizzatori sociali, per esempio, che rasenta la perfezione. Se un individuo perde il lavoro gli viene erogato un sussidio per un periodo limitato di tempo, ma durante quel periodo egli è obbligato a formarsi e a reintegrarsi con il mondo del lavoro e indirettamente con la società nel suo insieme. Vengono predisposti corsi formativi da parte del Governo ed in questo conteso il mercato del lavoro è liquido e flessibile, ma offre comunque delle garanzie ai cittadini. Sarà forse un caso che secondo il “Satisfaction with life index” la Danimarca è prima?

Quaranta euro al mese non risolvono nessun tipo di problema e questo è oggettivo, ma è spiacevole sentire anche dal centro sinistra frasi del tipo: “E' poco ma in fondo è meglio di niente”.
Perché, in questo caso, è davvero meglio niente.
La dignità è qualcosa di unico, fa parte della personalità e quindi ha un valore inestimabile, con quaranta euro al mese invece lo Stato tenta di comprare quella dignità, con la conseguenza di aumentare quel senso di esclusione sociale e di infelicità che un individuo con un reddito misero o disoccupato già ha.
Non viene dato nessun incentivo per ripartire, per riprovarci, per tentare di alzare la testa e conquistare quel diritto ad una vita migliore; anzi il risultato è quello di una stigmatizzazione formale della persona, una sorta di conferma. Il ricevere la social card equivale a dire “Tu sei l'ultimo, l'ultimo degli ultimi, e per questo se almeno vuoi mangiare eccoti la tessera”. L'andare a fare la spesa e pagare con la social card, mentre magari la persona davanti a noi paga un chilo si pasta con una banconota da 100 euro, serve solo ad aumentare la percezione di ingiustizia e di impotenza, e la percezione di quanto a quell'ingiustizia siamo incatenati e contribuiamo ad alimentare.

Questo è il punto, la politica italiana degli ultimi anni ha spostato il baricentro su temi che non sono più l'individuo nella sua unicità e specificità. Il fatto che come esseri umani abbiamo dei diritti fondamentali,che non possono essere monetizzati e per i quali abbiamo combattuto per più di 400 anni. Quei valori stanno venendo dati per scontati, ed il dare per scontato determinati principi e non celebrarli tutti i giorni vuole dire essere a pochi passi dal dimenticarli.
Stiamo assistendo ad un processo inverso del progresso che se non viene arrestato avrà conseguenze profonde anche sulle generazioni a venire.
Stiamo per perdere coscienza del fatto che tutti hanno il diritto di trovare un proprio ruolo nella società, tutti hanno il diritto di portare il loro piccolo contributo, tutti hanno il diritto di perseguire, nei modi che ritengono più opportuni, la propria idea di felicità. Questo è il ruolo della politica: dare a tutti quei mezzi e quelle possibilità ma quei mezzi e quelle possibilità non sono l'elemosina.

La social card è una cosa riprovevole che dovrebbe indignare i cittadini in quanto tali. Lo stato alza le mani e dice chiaramente di non essere più in grado di fornire gli strumenti basilari, per questo tenta di nascondere il sole con un dito compiendo una campagna mediatica per un contributo di quaranta euro al mese.
La cosa più raccapricciante è che grazie a questo sistema il cittadino, o meglio, l'individuo sente anche l'intrinseco dovere di ringraziare.
La sinistra italiana avrebbe dovuto, o almeno dovrebbe, riprendere in mano questo tema ma è sconfortante sapere che fino ad ora non ci sia stato nessun intervento rilevante in questo senso.

Le mie non sono considerazioni filosofiche astratte sulla società occidentale, anzi al contrario sono spunti che andrebbero presi dalle forze della sinistra che in fondo ha sempre incarnato questi valori.
Il Presidente del Partito Socialista Europeo, Poul Rasmussen, ha detto cose simili a Madrid lo scorso dicembre, è un peccato che i leaders italiani non le abbiano ancora raccolte.
Vorrei infine ricordare che non è un caso se con le parole “speranza” e “mondo migliore” un senatore nero dell'Illinois, sconosciuto fino a qualche anno fa, è diventato Presidente del paese più potente del mondo.

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy