I DELLA ROBBIA IN UNA GRANDE MOSTRA DI CERAMICHE AD AREZZO

Uno dei capolavori di Andrea della Robbia nella basilica di San Bernardino all’Aquila

L’AQUILA – Si è aperta ad Arezzo, dal 21 febbraio e fino al 7 giugno, una grande mostra con i capolavori dei maestri Della Robbia – Luca, Andrea, Giovanni e Girolamo – famiglia di scultori e ceramisti insigni, messi a confronto con i protagonisti del tempo: Donatello, Verrocchio, Rossellino, Filippo Lippi, Pollaiolo, Pisanello, Perugino, Ghirlandaio, Leonardo, Sansovino e Domenico Veneziano. Non a caso l’esposizione “I Della Robbia. Il dialogo tra le Arti nel Rinascimento” è aulica, non lascia dubbi di sorta sul valore dell’evento. Titoli cubitali sui giornali, pagine ed inserti speciali, si tratta d’un viaggio affascinante nell’arte rinascimentale, in particolare tra quelle produzioni ceramiche dove sugli altri colori dominano il bianco ed il blu, sculture meravigliose in terracotta invetriata che furono innovazione per l’epoca e cifra d’una famiglia di artisti, a cominciare da Luca della Robbia (Firenze, 1400-1481) che ne fu il capostipite. L’innovazione stava nell’applicare alle sculture un rivestimento di smalto di maiolica, trattato in due cotture e colorato con ossidi metallici. Riferisce lo storico Giorgio Vasari: “Luca della Robbiiola scultor fiorentino, il quale s'affaticò ne i marmi lavorando molti anni. Et avendo una maravigliosa pratica nella terra, la quale diligentissimamente lavorava, trovò il modo di invetriare essa terra col fuoco, in una maniera che non la potesse offendere né acqua né vento. E riuscitoli tale invenzione, lasciò dopo sé eredi i figliuoli di tal secreto”. L’effetto sui loro lavori fu eccezionale, tutte le corti e gli amanti dell’arte d’Europa fecero a gara per assicurarsi un’opera dei Della Robbia che, intanto, tenevano gelosamente segrete le tecniche dei procedimenti di pittura e smaltatura delle proprie sculture. Luca della Robbia, il primo, formatosi nella bottega di Donatello, e suo nipote Andrea (1435 – 1525), allievo del Verrocchio, quindi i figli di Andrea, Giovanni e Girolamo: questa la famiglia dei più grandi scultori ceramisti del Rinascimento. Centotrentuno le opere dei quattro Della Robbia in mostra, giunte dal Louvre di Parigi, dai Musei di Berlino e Amburgo, da altre collezioni pubbliche e private, insieme a tante opere “in dialogo” degli artisti loro contemporanei. A fianco dell’evento espositivo, infine, predisposti anche cinque itinerari nella provincia aretina, che nelle chiese conserva la maggior concentrazione di terrecotte invetriate, per ammirare le opere di questi sommi artisti toscani. Ma ora un po’ di pazienza, dobbiamo fare un salto temporale andando dietro di qualche secolo.
“Eamus, fratres, ad Aquilam. Non subsisto possum, ad Aquilam, ad Aquilam, ad Aquilam missus sum”. La notte del 30 aprile 1444 Bernardino degli Albizzeschi, 64 anni, sfinito ed emaciato dalla malattia e dalle penitenze aveva salutato per l’ultima volta i frati del convento della Capriola, nei pressi di Siena. Vincendo le loro pressanti e preoccupate implorazioni a restare in città, spinto da una grande forza interiore, in compagnia di quattro confratelli s’era dunque messo in cammino verso l’Abruzzo, in quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Un viaggio lungo, faticoso e pieno di sofferenze. Quasi alle porte di Aquila, Bernardino da Siena ebbe in visione San Pietro Celestino, con la predizione che egli sarebbe diventato il quarto protettore della città, accanto a San Massimo, Sant’Equizio ed al medesimo Papa Santo della visione. Giunto all’Aquila, nel suo convento di San Francesco, sentendo vicina la morte, Bernardino chiese ai confratelli d’essere deposto, spoglio e con le braccia aperte a croce, sul nudo pavimento della sua cella. Poco dopo, al vespro di quel mercoledì, spirò. Era il 20 maggio del 1444. Con tutte le sue forze aveva desiderato transitare alla vita eterna non nella sua terra toscana (era nato a Massa Marittima l’8 settembre 1380), ma ad Aquila, la bella città che più amava, dove aveva molto predicato l’Osservanza, insieme ai suoi fedeli discepoli Giovanni da Capestrano e Giacomo della Marca, con grande influenza nella vita spirituale, sociale e civile della città, in forte affermazione in tutta Europa.
Giovanni da Capestrano, predicatore e condottiero di grande carisma, già uomo di legge, gli era stato molto utile nel difenderlo dall’accusa nel processo per idolatria, perché Bernardino soleva predicare l’adorazione del Nome di Gesù, rappresentato nel monogramma IHS impresso su una tavoletta dorata, tuttora conservata all’Aquila nel Museo del convento francescano di San Giuliano. Giacomo della Marca, dedito alle opere di carità e di sostegno materiale ai poveri, aveva costituito i Monti di Pietà, praticamente inventando quello che sarebbe poi diventato il sistema bancario. Con ciò impartendo un notevole impulso al cambiamento della mentalità cittadina, con concezioni mercantili e creditizie fino ad allora mai praticate dalle vecchie famiglie aquilane. Enorme impressione e generale commozione aveva procurato alla città la scomparsa di Bernardino da Siena. Gli aquilani avevano ottenuto che le sue spoglie riposassero all’Aquila. Il processo di canonizzazione, subito avviato in Vaticano, aveva in appena sei anni portato alla santificazione di Bernardino da Siena. E tuttavia, nonostante i buoni propositi annunciati subito dopo la scomparsa, a quasi dieci anni dalla morte del Santo ancora nulla si muoveva riguardo la promessa della città di costruirgli una degna basilica dove avrebbe dovuto essere traslato e conservato il suo corpo. Fu a questo punto che l’infaticabile Giovanni da Capestrano, in giro per l’Europa a predicare il pericolo d’una penetrazione turca nel continente, indirizzò agli Aquilani una lettera aperta, una durissima reprimenda alla città per non aver ancora edificato a San Bernardino la promessa basilica.
Nel 1980, nella prima delle sue numerose visite all’Aquila da Pontefice, Giovanni Paolo II, all’interno della Basilica in ginocchio davanti all’urna che di san Bernardino custodisce incorrotte le spoglie, volle ricordare la storica ammonizione di San Giovanni da Capestrano agli Aquilani. “La spirituale emozione invade il mio cuore – disse papa Wojtyla – al pensiero che la costruzione di questo tempio, segno di un’interrotta devozione al santo religioso, fu voluta ed incoraggiata da un altro santo, Giovanni da Capestrano, grande apostolo e difensore dell’Europa e tanto venerato in Polonia per la sua azione pastorale incisiva e riformatrice. Egli, infatti, indirizzò da Cracovia – come voi ben sapete – un caloroso appello ai cittadini dell’Aquila, affinché erigessero un degno monumento al proprio confratello e maestro, elevato agli onori degli altari dal Papa Niccolò V, nel 1450, sei anni dopo la morte. San Bernardino, per imperscrutabile disegno di provvidenza, concluse la sua operosa giornata terrena tra le mura di questa amata città”.
In effetti la sveglia data agli Aquilani da Giovanni da Capestrano con quella lettera, ed una seconda missiva del 12 maggio 1254 diretta “ai Signori della Camera” – i governanti municipali – per ricordare che “tucto lo mundo edifica lochi ed ecclesie bellissime a san Bernardino…” , impressero una svolta alla situazione. Tanto che in quello stesso anno, sotto la direzione di Giacomo della Marca, iniziarono i lavori di costruzione della basilica sul colle dominante la vallata e con magnifica vista a mezzogiorno, nel quarto di Santa Maria Paganica accanto all’Ospedale San Salvatore, anch’esso voluto da Giovanni da Capestrano. “La basilica – annota puntualmente mons. Orlando Antonini, Nunzio apostolico in Paraguay, in Chiese dell’Aquila (ed. Carsa, 2004) – molto probabilmente progettata da frate Francesco dall’Aquila che ne diresse i lavori dall’inizio fino al 1489, fu principiata nel 1454 (…). Nel 1458 si gettavano le fondamenta della cappella del Santo, sulla fiancata destra della costruzione (…). Nel 1459 si iniziava anche il vasto complesso conventuale a quattro chiostri, porticati ad archi ogivali, loggiati ed il grande refettorio dei frati. Interrotta per tre anni nel 1461, a causa del terremoto di quell’anno che ne fece crollare alcune parti in costruzione, la fabbrica fu ripresa nel 1464, con alcune modifiche, e condotta al termine sostanzialmente nel 1472, anno nel quale il corpo del Santo vi fu traslato dalla chiesa di San Francesco”.
In una seconda fase venne dato inizio ai lavori per la realizzazione della facciata, rimasta però incompiuta fino ai primi del Cinquecento per la scomparsa (nel 1504) di Silvestro dell’Aquila, l’artista e architetto che aveva diretto fino a quel punto l’opera. Nel 1506 Papa Giulio II aveva fortemente esortato gli aquilani a completare al più presto la basilica. L’incarico fu quindi affidato all’architetto e pittore Nicola Filotesio, più noto come Cola dell’Amatrice. Questi curò i lavori con grande passione, riuscendo in poco tempo a terminare la fascia più bassa della facciata, con i tre portali, come testimoniato da un’incisione sull’angolo sinistro del cornicione. Completata definitivamente nel 1542, la suggestiva facciata rinascimentale, elegante e maestosa, luminosa per il candore della pietra che il sole illumina per gran parte del giorno, si sviluppa con una struttura su tre fasce orizzontali sovrapposte, in ognuna delle quali si inseriscono quattro coppie di colonne, rispettivamente di stile dorico, ionico e corinzio. Si forma così un armonioso disegno a nove quadrati su tre livelli: i tre in basso contengono i portali, quelli delle due fasce alte sono occupati alternativamente da finestre tonde e dal simbolo di San Bernardino, il monogramma IHS. La curiosa finestra centrale sopra al portale principale è invece un modifica fatta dopo il terribile terremoto del 1703. La basilica presenta una pianta a croce latina, con tre navate sulle quali si aprono cappelle laterali, recanti cupole ottagonali. Lo stile che caratterizza l'interno è quello ricco del barocco, rappresentato esemplarmente dal soffitto in legno policromo e dorato, opera di Ferdinando Mosca da Pescocostanzo, al quale è attribuito anche l'organo monumentale. A sinistra dell'altare maggiore, nella cui abside insiste un prezioso coro ligneo, s’ammira l'elegante sepolcro a Maria Pereyra Camponeschi, realizzato da Silvestro dell'Aquila, scultore allievo di Donatello. Al centro della navata destra l’imponente mausoleo di San Bernardino, interamente cesellato a bassorilievi marmorei, anch’esso opera dell’insigne scultore aquilano. Le spoglie del Santo sono racchiuse in un'urna d’argento moderna, in sostituzione dell'originale trafugata dai Francesi nel corso dell'invasione del 1799. All’interno della basilica opere pittoriche di Francesco da Montereale, Pompeo Cesura, Giulio Cesare Bedeschini e Girolamo Cenatiempo.

Finalmente, in conclusione di questo viaggio circolare, torniamo ai Della Robbia. Non a caso. Giacché nella seconda cappella della navata destra della basilica risplende una magnificente pala d'altare in terracotta smaltata bianca su fondo azzurro. Una vera meraviglia. E’ di Andrea della Robbia. Commissionata all’artista, la portarono da Firenze all’Aquila per la propria cappella di famiglia all’interno della basilica gli Oliva Vetusti. Quella famiglia ha avuto un grande ruolo nella storia dell’Aquila del Cinquecento. Proveniente da Norcia, annota l’insigne storico Raffaele Colapietra, la famiglia Oliva Vetusti diede alla città arcidiaconi e uomini di chiesa molto autorevoli. Al centro della pala, una splendida Resurrezione, c’è Gesù che risorge dal sepolcro, con due figure di santi a destra e sinistra e, a terra, soldati che dormono. Nella parte superiore il Redentore pone, con atteggiamento molto dolce, una corona sul capo della Vergine. Su ognuno dei due lati quattro gruppi di angeli adoranti completano il gruppo centrale. Nella predella insistono quattro bassorilievi raffigurano nell’ordine l’Annunciazione, la Natività, l’Adorazione dei Magi e la Presentazione di Gesù al Tempio. “Lo stile è di singolare purezza – scrive in una nota critica Charles Perkins – ed assomiglia al Raffaello sotto l'influenza del Perugino. La composizione ha un livello molto alto, come il dipinto di Raffaello in Vaticano, sullo stesso soggetto”. In conclusione, un’opera splendida che dovrebbe stare esposta ad Arezzo accanto ai 131 capolavori dei Della Robbia. Comprensibilmente ciò non è possibile, ma sarebbe di grande interesse. Chi tuttavia voglia davvero apprezzare questo capolavoro di Andrea della Robbia non ha che da venire all’Aquila. Lo troverà in tutto il suo splendore all’interno d’un altro gioiello dell’arte rinascimentale, il più prestigioso in Abruzzo e tra i più belli in Italia: la basilica di San Bernardino.

gopalmer@hotmail.com

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